Riforma PA: il Responsabile anticorruzione e l’inconsapevolezza dell’essere

Massimo Greco 06/06/16
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Una delle abitudini che ha contribuito non poco ad impedire di trasformare in vantaggio competitivo ogni tentativo di riformare la Pubblica Amministrazione è la tendenza del funzionario a banalizzare le novità ed a trattare in modo adempimentale i nuovi strumenti di volta in volta introdotti nell’ordinamento.

Non sembrano avere migliore fortuna gli adempimenti in materia di anticorruzione previsti dalla legge 190/2012 e quelli in materia di trasparenza previsti dal d.lgs n. 33/2013. La nomina del Responsabile in questi due vitali ambiti della P.A. da parte degli organi d’indirizzo politico sta avvenendo con le stesse modalità e, soprattutto, con la medesima indifferenza con la quale sono stati nominati in precedenza i Responsabili in materia di sicurezza negli ambienti di lavoro e in materia di rispetto del divieto di fumo. Né più né meno di etichette, rese ancora più asfittiche dall’assenza di indennità aggiuntive per l’assunzione di dette responsabilità.

Orbene, tralasciando la citata questione dell’assenza di indennità aggiuntive in capo all’individuato Responsabile anticorruzione che potrebbe comunque trovare spazio nell’ambito della contrattazione collettiva, la sottovalutazione del connesso livello di responsabilità è dimostrata anche dalla leggerezza/superficialità con la quale vengono nominati tali figure. Né può essere bastevole il fatto che la normativa di riferimento richiede la qualifica dirigenziale, atteso che il carico di lavoro e la complessità delle funzioni amministrative esercitate da ogni dirigente dovrebbe indirizzare la nomina verso chi non solo è nelle condizioni organizzative di svolgere tale complessa e gravosa funzione, ma anche verso chi ha dimostrato di avere competenza in materia di Pubblica Amministrazione sotto il profilo amministrativo e gestionale. Per le medesime ragioni, quindi, potrebbe non essere funzionale l’individuazione del Responsabile anticorruzione dei Comuni in capo al Segretario Generale.

Il Responsabile anticorruzione infatti, a differenza del Responsabile per la sicurezza nei luoghi di lavoro o del Responsabile per il rispetto del divieto di fumo, oltre all’elaborazione dell’aggiornamento annuale del Piano triennale anticorruzione, deve definire le procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, individuare il personale da inserire nei percorsi di formazione sui temi dell’etica e della legalità, verificare, d’intesa con il dirigente competente, l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione, monitorare le incompatibilità, le inconferibilità e i potenziali conflitti d’interesse in capo ai Dirigenti e Responsabili si servizio, mappare le aree a rischio diverse da quelle individuate dalla legge, monitorare il sistema dei controlli interni di legittimità, di regolarità tecnica, di gestione e strategico ed infine sviluppare gli accorgimenti organizzativi connessi alla trasparenza dell’azione amministrativa e quindi all’adozione del Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità.

Appare fin troppo evidente che l’esercizio di una siffatta funzione, che sostanzialmente mira al controllo delle modalità attraverso le quali viene assicurato il buon andamento e l’imparzialità della P.A., non può essere relegato nei ritagli di tempo, né delegato ai cosiddetti “Referenti”, atteso che il Responsabile anticorruzione oltre ad avere una diretta ed immediata responsabilità soggettiva nella prevenzione del fenomeno corruttivo così vastamente inteso, è altresì soggetto all’art. 40 del C.P. a tenore del quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare equivale a cagionarlo”.

Massimo Greco

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