Da Napoli parte la rivoluzione della prova scientifica nei processi

Eugenio D Orio 30/04/16
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Il 16 aprile è stato un giorno davvero particolare ed importante per il settore Giustizia. In quel di Napoli, la città più popolata dell’intero Sud Italia, spesso denigrato per ragioni di mancate opportunità e alta presenza di subcultura, si è svolto un convegno che ha ottenuto un eco di portata nazionale. Ciò a testimonianza del fatto che anche dai luoghi considerati tra i “più difficili” del nostro paese scaturisce e prende forma qualcosa di fruttuoso ed importante per noi italiani tutti.

Nel centro storico presso la Basilica di San Giovanni Maggiore si è svolto il convegno La prova scientifica e il suo corretto uso processuale, in cui un magistrato del Tribunale Penale di Roma, il dott. Francione, un biologo forense e criminalista, il dott. D’Orio e un criminologo, il dott. Delicato, hanno analizzato il “modus operandi” del far processi in Italia e hanno contestualizzato il tutto parlando di quanto le nuove tecnologie scientifiche, se opportunamente adoperate, possano esser strumento di infinito ausilio per attuare processi giusti.

COME MIGLIORARE I PROCESSI IN ITALIA?

Nel dettaglio, dell’analisi del sistema Giustizia, delle modalità con cui vengono impostati i processi e delle modalità con le quali vengono emesse le sentenze, ha brillantemente discusso il magistrato Francione, strenuo sostenitore dell’epistemologia di Karl Popper. Secondo questo filosofo della scienza i processi e le relative sentenze devono essere fondati su prove certe, scientifiche e dimostrabili, il che assicura una robusta e solida base ai magistrati per decidere senza il pericolo di condannare innocenti. Tale modello di procedura, che segue la categoria del moderno “Processo Scientifico”, risulta essere più che mai possibile grazie alle nuove metodiche tecnicoscientifiche, spesso di derivazione internazionale. Il loro corretto uso è la base su cui si forma la “vera” prova scientifica, con tutte le garanzie sia per la parte lesa che per la parte imputata, andando così in conformità con quello che è il Garantismo sancito nella nostra Costituzione.

Per meglio interpretare i nostri principi costituzionali, il magistrato Francione auspica l’evoluzione del sistema processuale da un modello indiziario (correntemente oggi in uso, e troppe volte dimostratosi fallace, con conseguenza di innocenti ingiustamente condannati e colpevoli ancora in libertà) verso un processo su modello scientifico, dove qualunque tesi raggiunga gli stessi risultati davanti a qualsivoglia sperimentatore in tal caso giudice. Solo con prove forti, intrecciate e inequivocabili si eviterà il formarsi di schiere colpevoliste e innocentiste, segno inequivocabile che non si ha prova della colpevolezza di un imputato alla sbarra al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il dott. D’Orio, specializzato nell’analisi delle fonti di prova bio-scientifiche, continuava l’argomentazione di Francione, ponendo l’accento non solo sulle peculiari caratteristiche del DNA, spesso impiegato nei processi, ma anche innovando con discorso incentrato sulla dinamica biologica della traccia. Ciò è estremamente importante ai fini processuali, in quanto è sì molto importante sapere il “nome e cognome” di colui che ha lasciato una traccia su una data scena criminis, ma è ancor più utile dimostrare il come, il quando e il perché quella data traccia biologica sia finita in quel punto.

Una novità davvero rivoluzionaria in grado di stravolgere l’esito di un processo intero come nel caso di Massimo Bossetti dove, anche ammesso che il DNA trovato su Yara Gambirasio sia suo, non per questo se ne può derivare che sia lui l’assassino perché bisogna dimostrare come quella traccia sia giunta su quel corpo per inferirne comportamenti omicidiari! Questa “innovazione procedurale da neoilluminismo“ – come la definisce Francione – potenzialmente potrebbe dar luogo ad un’imponente mole di richiesta di revisioni per processi archiviati in via definitiva!

Ancora, il criminologo Delicato ha anch’egli sposato tale nuova e moderna visione multidisciplinare impostata a favore del “Giusto Processo” e ha analizzato, a completezza di discorso, quanto i media hanno potere di fare nei cosiddetti “casi mediatici”. “Sono tanto forti da colpire l’attenzione di un pubblico immenso, una massa, e trasformare l’indagato in accusato, rendendolo colpevole ancor prima che un verdetto sia emesso”, queste le parole del dott. Delicato.

Parole molto importanti dai contenuti che devono necessariamente far riflettere in quanto tutto questo accanimento mediatico altro non fa che snaturare l’iter di un intero processo, coinvolgendo quanto meno inconsciamente giudici togati e soprattutto giurati popolari, andando così a condizionare lo stesso verdetto finale. E ciò è davvero molto grave in uno stato che si professa garantista come il nostro.

I tre professionisti del settore, auspicando lo “svecchiamento” di questo sistema Giustizia, hanno concluso il convegno annunciando che i tempi sono maturi per l’evoluzione di un processo scientifico “vero”. In ottica ipergarantista hanno proposto l’introduzione di due nuove figure processuali, il legale e il consulente “pro-incognito”, nella fase delle indagini preliminari dove vi è un indagato ancora non identificato per “nome e cognome”. Una volta che quelle indagini come nel caso Bossetti abbiano portato a individuare un possibile colpevole come potrà, infatti, egli contestare la correttezza o meno dell’assunzione e elaborazione del reperto soprattutto se esso sia stato consumato nell’esame?

Il Garantismo trova le sue radici proprio in questa sede, ossia nello start delle indagini; tutti i diritti di tutti i soggetti vanno opportunamente tutelati e, per far ciò, la migliore e più efficace soluzione è sicuramente l’inserimento di queste nuove figure processuali, a tutela di “incognito”, in modo tale da rendere il garantismo sancito nella Costituzione fattivamente attivo dall’inizio alla fine del processo.

 

 

 

Eugenio D Orio

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