La normativa dello straniero clandestino

istanze di depenalizzazione del reato di clandestinità

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L’art. 10 della Costituzione al secondo comma dispone che “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”

La riserva di legge è rimasta disattesa fino al 1998 anno in cui il legislatore ha emanato la legge n. 40/1998 “ Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, successivamente trasfusa nel d.lgs del 25 luglio 1998 n. 286, intitolato “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” .

Modifiche susseguenti sono intervenute con la legge 30/7/2002 n. 189(cd. Bossi-Fini) e con il D.L 241/2004 “ Disposizioni urgenti in materia di immigrazione”, convertito nella L.271/2004.

Lo straniero al quale viene applicata la normativa in esame è lo straniero irregolare o clandestino.La disciplina non si applica allo straniero comunitario, in conformità agli Accordi di Schengen, ( il termine ‘straniero’ non indica più la distinzione tra i propri cittadini nazionali e i cittadini di qualsiasi altro paese, ma si riferisce soltanto a “chi non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee” , art. 1 Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen).

Lo strumento con il quale viene “sanzionato” lo straniero clandestino è l’espulsione. Il T.U. sull’immigrazione n. 286 prevede due tipi di espulsione: quelle amministrative – poiché di competenze dell’autorità amministrativa (Ministro dell’Interno o prefetto)- e quelle giudiziarie – poiché di competenza dell’autorità giudiziaria .All’interno delle espulsioni amministrative (art.13 I c) devono distinguersi quelle provenienti dal Ministro dell’Interno “per motivi di ordine pubblico e sicurezza” e quelle del Prefetto (art13 c II).

L’espulsione amministrativa di provenienza prefettizia viene disposta, mediante decreto di espulsione immediata, nei confronti dello straniero clandestino (cioè nei confronti dello straniero entrato illegalmente nei territori dello Stato); nei confronti dello straniero irregolare ( cioè lo straniero lo straniero che al suo ingresso non abbia richiesto il permesso di soggiorno al questore nel termine degli 8 giorni lavorativi previsti dalla legge; lo straniero al quale sia stato annullato o revocato il permesso di soggiorno;lo straniero in possesso di permesso di soggiorno scaduto da più di 60 giorni durante i quali non abbia richiesto il rinnovo dello stesso) oppure verso stranieri titolari di permesso di soggiorno che siano considerati pericolosi o associati ad associazioni di tipo mafiosi, . E’ compito del Questore eseguire successivamente il decreto mediante accompagnamento del soggetto alla frontiera.

Ove tale modalità non sia possibile è previsto che lo straniero debba essere trattenuto presso un Centro di permanenza e temporanea assistenza ( art 14.I c) e, solo ove tale trattenimento non sia possibile o siano trascorsi invano i termini di permanenza, è previsto che il Questore ordini allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni ( art 14 5 bis).

Al fine di realizzare i principi del giusto processo, la Corte Costituzionale è intervenuta con la sentenza n. 222 del 8 luglio 2014 dichiarando l’illegittimità costituzionale del comma 5 bis nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida del provvedimento di espulsione davanti al Giudice di Pace debba avvenire in contraddittorio.

L’iter del procedimento di convalida è il seguente:
trasmissione degli atti al giudice di pace da parte del questore del luogo in cui si trova il centro, che deve avvenire senza ritardo e comunque entro 48 ore dal decreto (art. 14 comma 3);
fissazione dell’udienza di convalida da parte del giudice di pace territorialmente competente;
avviso tempestivo dell’udienza di convalida al difensore del cittadino extracomunitario, che può scegliere un difensore di fiducia

-informativa tempestiva dell’udienza di convalida al cittadino extracomunitario, che deve essere condotto nel luogo in cui il giudice di pace tiene udienza e che deve essere sentito “se comparso”: –celebrazione dell’udienza di convalida davanti al giudice di pace territorialmente competente, che ha luogo in camera di consiglio:

– partecipazione necessaria all’udienza di convalida del difensore, che rende necessaria la nomina officiosa in caso di assenza del difensore fiduciario, se del caso anche attraverso il ricorso ad un provvedimento analogo a quello previsto dal 4° comma dell’art. 97 c.p.p.;
partecipazione facoltativa all’udienza di convalida dell’autorità che ha emesso il decreto di espulsione, autorità che tuttavia non si identifica con quella che ha emesso il provvedimento soggetto a convalida, cioè il questore, perché il decreto di espulsione è emanato dal prefetto – – – –decisione sulla convalida da parte del giudice di pace, che deve intervenire entro 48 ore dalla trasmissione degli atti e con cui deve verificarsi: 1) l’osservanza dei termini legali per la convalida, 2) la sussistenza di requisiti dell’art. 13 in tema di espulsione, 3) la sussistenza dei requisiti dell’art. 14 in tema di trattenimento, cioè, in sostanza, del requisito dell’impossibilità di accompagnamento immediato alla frontiera del cittadino extracomunitario

Il procedimento di convalida dell’accompagnamento immediato alla frontiera ha invece per oggetto il decreto del questore che dispone l’accompagnamento alla frontiera cioè l’allontanamento immediato del cittadino extracomunitario dal territorio dello Stato, la cui esecuzione è però sospesa fino alla decisione del giudice di pace sulla convalida del decreto medesimo (art. 13 comma 5 bis 2° periodo), in attesa della quale, peraltro, il cittadino extracomunitario è soggetto a trattenimento in centro di permanenza temporanea e di assistenza, salvo che il procedimento di convalida sia definibile nel luogo in cui il decreto è stato adottato prima del trasferimento del cittadino extracomunitario nel centro.Requisito per la emanazione del decreto del questore è la possibilità di accompagnamento immediato alla frontiera del cittadino extracomunitario, possibilità che dipende dalla insussistenza della necessità di soccorrere quest’ultimo, di accertarne l’identità o la nazionalità, o di acquisire i documenti di viaggio, nonchè dalla disponibilità del vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo.

La l. 2009/94( c.d. pacchetto sicurezza), novellando il TU Immigrazione ( d.lgs 286/1998) ha introdotto l’art 10bis regolante la nuova contravvenzione dell’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato ( non applicabile al soggetto respinto). Il legislatore italiano ha ovviato alla “storica” mancanza di una sanzione penale sia per l’ingresso clandestino, sia per la mera permanenza illegale dello straniero non destinatario in precedenza di un provvedimento di espulsioneLa disposizione in esame prevede la possibilità che il Giudice di Pace, giudice competente, possa sostituire la sanzione prevista dell’ammenda ( in forbice edittale da 5.000 a 10.000 euro) con quella dell’espulsione.

Mediante il d.lgs. n. 94 del 2009 il legislatore ha reso penalmente rilevanti le condotte poste in essere dallo straniero extracomunitario in violazione della disciplina sull’ingresso e soggiorno nel territorio nazionale, condotte in precedenza sanzionate solo in via amministrativa con lo strumento dell’espulsione. Il parametro di riferimento per stabilire l’illegalità dell’ingresso o della permanenza nel nostro Paese è costituito, in entrambe le ipotesi di reato, dalle norme amministrative contenute nel T.U. Immigrazione e dell’art. 1 l. 28 maggio 2007, n. 68 (sulla disciplina dell’ingresso e soggiorni brevi). Queste disposizioni rappresentano il criterio fondamentale del giudizio di disvalore penale, racchiuso pertanto nella violazione delle regole amministrative dell’ingresso e del soggiorno. La norma punisce sia l’ingresso illegale che la permanenza illegale nel territorio dello Stato. E’ da escludersi il concorso di norme sulla base dell’espresso rapporto di alternatività in cui si trovano le due fattispecie (ovvero) della tutela del medesimo bene giuridico: l’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori.

Il nuovo reato d’immigrazione clandestina è stato di recente oggetto di una importante pronuncia della Corte costituzionale (sent. 8 luglio 2010, n. 250, Pres. Amirante e Rel. Frigo).
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le varie questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998.
In particolare, nelle ordinanze di rimessione si è dedotta la violazione dell’art. 25 secondo comma Cost., in quanto la disposizione censurata sanzionerebbe penalmente una particolare condizione personale e sociale ovvero quella di straniero “clandestino”, derivante dalla mera violazione delle norme che disciplinano l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, e non già la commissione di un fatto offensivo di un bene costituzionalmente protetto.
Per la Corte costituzionale, invece, il dedotto
vulnus costituzionale non è riscontrabile. Contrariamente a quanto sostiene il giudice rimettente, non si può infatti ritenere che l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, introducendo nell’ordinamento la contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, penalizzi una mera condizione personale e sociale quella, cioè, di straniero “clandestino”(o, più propriamente, “irregolare”) – della quale verrebbe arbitrariamente presunta la pericolosità sociale. Oggetto dell’incriminazione non è un “modo di essere” della persona, ma uno specifico comportamento, trasgressivo di norme vigenti. Tale è, in specie, quello descritto dalle locuzioni alternative “fare ingresso”e “trattenersi” nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1 della legge n. 68 del 2007.

Le recenti istanze di depenalizzazione del reato in oggetto hanno fatto ancora una volta leva sulla illegittimità della fattispecie, sanzionatrice, secondo tale orientamento, di una condizione meramente soggettiva.Sembra però che tali argomentazioni costituiscano più un velo della Maya e, dietro fondate istanze giuridiche, vi sia in realtà l’esigenza di aiutare le Procure ad uscire dal default causato dall’intasamento dai numerosissimi fascicoli aperti a causa di un reato a cui consegue una sanzione- l’espulsione- non concretamente eseguibile.La domanda che sorge spontanea è se in uno Stato di diritto il bisogno di pena deve rispondere ad una logica di eseguibilità della stessa, così venendo meno ove la sanzione di questa non sia eseguibile, oppure deve rispondere al solo disvalore penale della condotta e cercare quindi soluzioni alternative all’esecuzione della stessa. Si può depenalizzare un reato solo perché non si riesce ad eseguire la pena?[button color=”” size=”” type=”square” target=”” link=””][/button]

Alessia Ciavattini

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