Renzi e la sindrome dell’onnipotenza

Massimo Greco 01/02/16
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A quanto pare il 2016 sarà un anno decisivo per il futuro politico del Governo Renzi. A dire dello stesso, il banco di prova sarà rappresentato dal referendum confermativo che dovrebbe tenersi nel mese di ottobre, allorquando gli italiani saranno chiamati ad approvare, o meno, la riforma della Costituzione approvata dal Parlamento. Senza entrare nel merito delle singole disposizioni modificative della Costituzione, nel contesto delle quali quella di riforma del Senato si configura una vera e propria frittura mista dagli scontati ed indigesti esiti, è l’approccio alla questione che non ci convince e che, verosimilmente, contribuirà a votare per il “no”.

Il giovane e brillante Renzi, che non lesina bacchettate alla Merkel, strizzate d’occhio a Obama e raccomandazioni a Putin, sembra voler passare alla storia per essere riuscito ad unire quei poteri che gli ideologi dello Stato moderno erano riusciti a separare: il potere legislativo da quello esecutivo. Sull’altare delle cose “da fare”, ed “in fretta”, per fare ripartire i motori del Paese, l’amico Renzi è riuscito a far credere agli italiani che la legge elettorale fosse un obiettivo del suo programma di governo, tanto da avere pure posto in Parlamento la questione di fiducia. Invero, la legge elettorale – ancorchè non coperta da riserva costituzionale – è un atto tipicamente di competenza del Parlamento, rientrando pienamente tra quelle regole del gioco democratico che devono essere condivise da una larga maggioranza delle forze politiche. Se è vero che in tale direzione non può giustificarsi l’ostruzionismo della minoranza parlamentare è altrettanto vero che il Governo, inteso quale potere esecutivo, non ha né può avere alcun diretto interesse istituzionale su una questione che deve trovare nella sede parlamentare la necessaria promozione della dialettica e del confronto politico.

Non soddisfatto di ciò, il giovane Presidente Renzi si è spinto oltre, facendo rientrare nel suo programma di governo anche, udite udite, le riforme costituzionali, quasi a volere scimmiottare quanto fatto nel secolo scorso dal Generale De Gaulle per transitare alla quinta Repubblica francese. Se infatti la legge elettorale è un atto tipicamente parlamentare, figuriamoci le riforme costituzionali che, com’è noto, richiedono una procedura legislativa aggravata attraverso la cosiddetta doppia lettura ed approvazione dei testi di riforma. Ebbene, Renzi con fare ardito, ed a tratti temerario, ha avuto il coraggio di anteporre il futuro esito confermativo del referendum costituzionale alla sua permanenza al Governo. Una sorta di questione di fiducia su un atto, qual’è quello della riforma costituzionale, in cui la competenza del Governo è totalmente nulla, anzi inesistente.

Orbene, poiché nel panorama politico del centro-destra non si registrano più leaders credibili, vorranno le figure più autorevoli della sinistra italiana, a partire dal Presidente della Repubblica Mattarella, ricordare all’ambizioso Renzi quanto affermato da Edmund Burke, secondo cui  “quanto più grande il potere, tanto più pericoloso l’abuso”.

Massimo Greco

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