Riforma pensioni 2015: neanche all’Inps conviene il contributivo

Redazione 23/07/15
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Riforma pensioni 2015: da settembre si farà sul serio. Mentre il governo sembra preso da altre questioni, come le unioni civili o la riforma della Rai, in realtà nei corridoi di Inps e ministero del Lavoro le carte sono già dispiegate sul tavolo.

Naturalmente, l’ultima parola spetterà alla politica, ma le ipotesi di riforma sono già state lanciare nelle scorse settimane, sia da parte del premier Renzi, che del ministro dell’Economia Padoan, così come dal collega responsabili del Welfare Giuliano Poletti e, da ultimo, ma forse per primo in quanto a insistenza, dal presidente Inps Tito Boeri.

Al momento, dopo molti tentativi vani di ritoccare la legge Fornero, sono essenzialmente due le strade più percorribili per la maggioranza, al fine di inserire in legge di stabilità 2016 l’agognata revisione della norma voluta dal governo Monti nel lontano 2011.

La prima proposta, ovviamente, è proprio quella lanciata dall’economista, editorialista e ora vertice della previdenza italiana, professor Tito Boeri, il quale sta effettuando un pressing senza respiro per l’introduzione di un meccanismo di ritiro dal lavoro ante 66 anni, con allargamento del regime contributivo.

La seconda proposta, di provenienza parlamentare, è invece quella caldeggiata dall’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano che introduce il sistema delle penalizzazioni per chi decide di abbandonare prima del previsto la carriera lavorativa, con bonus all’incentivo per restare in carica. Il minimo previsto è di 35 anni di contributi.

Secondo gli studi effettuati, però, delle due ipotesi quella che rischia di rivelarsi più cara sulle casse previdenziali – così attentamente protette dalla legge in vigore – è proprio quella avanzata dal presidente Inps. Sebbene, infatti, il taglio delle pensioni più basse potrebbe incidere in maniera pari a un 30%, secondo un calcolo della Uil rimane più conveniente la proposta di Damiano.

Quest’ultima prevede che ogni anno lavorato in meno finisca per pesare per un 2% sull’assegno previdenziale, con incentivo opposto per chi oltrepassa i 66 anni. Sia in negattivo che in positivo, il massimo sarà un + o -8%.

Esaminando tre casi di lavoratrici con 62 anni di età con differenti regimi di contribuzione, infatti, la simulazione del sindacato dimostra che la proposta delle penalizzazioni avanzata dall’ex ministro potrebbe risultare più conveniente per le casse Inps rispetto al calcolo contributivo (anche di svariate centinaia di euro per ogni caso), verso il quale pare stia spirando il vento.

Ora, resta da capire se la politica vorrà comunque tentare di portare dentro al contributivo quanti più lavoratori possibile e nel minor tempo, oppure se si lascerà convincvere dai numeri che per loro natura sono incontrovertibili.

 

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