La soggezione della dirigenza alla politica è causa di fenomeni come Mafia Capitale

Luigi Oliveri 16/07/15
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Sto a pensa’ al nuovo Direttore del Dipartimento… Cozza si chiama… Cozza (ride!).. Dottoressa Cozza… Comunque la Acerbi semo riuscita a farla fuori vai a fare in culo… c’avemo la Dottoressa Cozza… Cooooozza”.

Evidentemente Ernesto Galli della Loggia non deve aver seguito con particolare attenzione le vicende di Mafia Capitale e deve essergli sfuggita l’esultanza di Salvatore Buzzi per aver ottenuto il cambio di incarico della dirigente del V dipartimento del comune di Roma, Gabriella Acerbi, con una dirigente “gradita” all’organizzazione criminale.

Se così non fosse, se cioè il della Loggia non si fosse distratto un attimo, non avrebbe certo elaborato l’articolo pubblicato domenica 12 luglio dal Corriere della sera “L`impotenza dei politici e la tirannia dei burocrati – La burocrazia malata ostacolo che impedisce la rinascita di Roma”, nel quale ricostruisce la vicenda del comune di Roma in modo esattamente opposto a come i fatti si sono svolti.

Scrive Galli della Loggia: “Perché la verità è che chiunque in Italia occupa una carica di responsabilità politica per volontà del popolo, lungi dall’essere in grado di dirigere effettivamente la macchina amministrativa a cui è a capo, in realtà ne è diretto. Quasi sempre infatti — e non potrebbe essere altrimenti — egli ignora come essa funziona, non ne conosce le attribuzioni, le qualifiche, le competenze, le mille gabole e le mille trappole regolamentari e legislative che vi hanno corso. Ciò vuol dire che i padroni di ogni pratica e quindi di ogni decisione sono di fatto loro, i signori degli uffici. Sono loro che in maniera più o meno abile indirizzano la volontà del sindaco o degli assessori. Sono loro che possono accelerare, intralciare o addirittura vanificare qualunque decisione che non ritengano per qualunque motivo di loro gradimento. E tanto più la burocrazia lo può fare, e lo fa, in quanto il potere effettivo che ha su di essa l’autorità politica è praticamente quasi nullo”.

E aggiunge che un “sistema messo in piedi per garantire l’indipendenza dell’amministrazione rispetto agli «interessi» dei politici, si è di fatto trasformato in un’amministrazione in grado di imporre di fatto il suo interesse alla politica, o perlomeno di stipulare con essa di volta in volta i compromessi che essa ritiene per sé più utili. Si è trasformato cioè in un sistema che è il contrario della democrazia, dal momento che almeno la politica risponde agli elettori, mentre la burocrazia ormai non risponde a nessun., Anche per questo in Italia è così difficile in ogni ambito cambiare, uscire dall’immobilismo, avviare per esempio nuovi modelli di gestione e di governo della cosa pubblica. Perché verso la burocrazia la politica è in uno stato di perenne soggezione, cerca di servirsene per i suoi piccoli e immediati vantaggi, ma per il resto lascia fare temendone le capacità di ostruzionismo, di ricatto o di vendetta. Ma in questo modo, in realtà, a essere tenuto in stato di soggezione e di ricatto è tutto il Paese”.

Galli della Loggia si inserisce in quel filone, ormai molto corposo, di coloro i quali vogliono giustificare l’inquinamento dell’azione amministrativa con l’iniziativa dei “burocrati”, i quali addirittura dettano legge e prevalgono sulla politica.

E’ una visione dei fatti assolutamente fallace, contraddetta dai fatti e dalle leggi. Torniamo alla vicenda della direzione del V dipartimento del comune di Roma. Con l’elezione del sindaco Marino, la dottoressa Acerbi era andata a dirigerlo al posto di Angelo Scozzafava, poi coinvolto nell’inchiesta.

Ma, la Acerbi alla compagine di Buzzi era poco gradita. Intercettato, il Buzzi della Acerbi diceva: “Basta che se ne va questa, non te riceve, non te parla… e che cazzo, no!”. E, infatti, la cricca diretta da Buzzi ha fatto in modo che la Acerbi venisse disarcionata e sostituita da qualcun altro. In effetti, Buzzi & Co miravano a far incaricare Italo Walter Politano, ma poi al posto della Acerbi è andata Isabella Cozza, definita da Franco Figurelli, capo della segreteria del presidente del consiglio del comune, persona di “fiducia”, come emerge da un’intercettazione: “ce l’avemo messa noi, ahò”.

Allora questi fatti dimostrano con estrema chiarezza l’esatto opposto di quanto teorizza il distratto editorialista del Corriere della sera e cioè che la dirigenza pubblica non è per nulla in grado di mettere in soggezione la politica, ma al contrario è la politica, e spesso la cattiva politica, a soggiogare la dirigenza.

La cattiva politica è, infatti, quella che si fa influenzare dall’esterno, magari da organizzazioni criminali, per giungere alla decisione di revocare un incarico ad un dirigente non gradito alle forze “esterne”, e sostituirlo con un dirigente invece “di fiducia”.

Gli incarichi dirigenziali, come dovrebbe sapere Galli della Loggia, non si producono per partenogenesi, né decadono per entropia.

E’ la politica che assegna, modifica e revoca gli incarichi dirigenziali. Nei comuni, dunque anche a Roma, tale potere è del sindaco. Se, dunque, a Roma è avvenuto che un dirigente non gradito alla cricca sia stato sostituito con un per essa ben visto, questo lo ha deciso, non si sa bene per quali vie e con quali livelli di condizionamento, la politica, che ha un potere immenso per soggiogare la dirigenza: affidare e revocare gli incarichi, come si vede sostanzialmente a proprio piacimento e in base a condizionamenti esterni. In barba alle norme che vorrebbero si attribuissero e revocassero gli incarichi in relazione alle capacità dimostrate, ai risultati conseguiti e alle valutazioni ottenute, positive e negative.

Esattamente al contrario, la politica (e come si vede, purtroppo, anche la cattiva politica) dispone di un potere immenso per condizionare, se vuole, la dirigenza. E il disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione all’attenzione del Parlamento intende ampliare a dismisura tale potere, sottomettendo gli incarichi dirigenziali all’arbitrio totale della politica, spianando la strada a “manovre” poco commendevoli come quelle compiute a Roma.

A Galli della Loggia sfugge che nessun dirigente è inamovibile e che la gran parte di quegli alti burocrati cui da mesi e anni si imputa l’immobilismo e il boicottaggio del cambiamento, in particolare i “capi di gabinetto” e i “direttori generali” non capitano per caso in quegli incarichi, ma sono incaricati direttamente e per via fiduciaria, senza alcun concorso, dai ministri o comunque dagli organi di governo.

A Galli della Loggia sfugge che uno dei protagonisti negativi (fino a prova contraria stabilita dai giudici) della vicenda di Mafia Capitale, Luca Odevaine, era un dirigente pubblico “a contratto”, incaricato direttamente e senza concorso e ripetutamente, prima come capo di gabinetto del sindaco Veltroni, poi come comandante della polizia provinciale su incarico di Zingaretti, poi come “esperto” di immigrazione dal Ministero dell’interno.

Il problema del rapporto perverso tra politica e dirigenza non consiste per nulla nella presunta soggezione che la prima avrebbe sulla seconda, ma, esattamente all’opposto nella possibilità che la politica, col suo potere incontrollabile di decidere chi incaricare e chi no addirittura anche senza concorsi (quando per assumere un bidello sono obbligatorie prove selettive) ha la possibilità di inserire essa nei gangli delle amministrazione quei funzionari dirigenti e dipendenti facili alla corruzione o, comunque, già noti e graditi alle cricche.

La soluzione al problema è chiara ed evidente a chiunque voglia analizzarlo senza i pregiudizi e le banalizzazioni di troppa stampa: esattamente al contrario di quanto intende fare il Parlamento con la legge delega di riforma della PA, vietare qualsiasi incarico diretto alla dirigenza, prevedere solo dirigenti di ruolo assunti per concorso, da incaricare e valutare esclusivamente in base a risultati operativi da parte di soggetti terzi non nominati dalla politica, reintrodurre organismi esterni di controllo preventivo di legittimità dell’azione amministrativa, creare nuclei territoriali anticorruzione, funzionalmente dipendenti dall’Anac e dalla Corte dei conti, col potere/dovere di passare al setaccio ogni procedura di appalto, concorso, contributo, concessione, organizzazione del personale.

La politica, se vuole tornare ad essere buona politica, deve svolgere il complesso e delicato compito di tradurre il mandato ricevuto dagli elettori in programmi ed obiettivi, scegliendo le priorità e, dunque, le risorse da dedicare. Quanto più la politica voglia avvicinarsi alla gestione, per gestire direttamente o attraverso la longa manus di dirigenti “di fiducia”, tanto più il sistema risulta permeabile alla corruzione ed alle disfunzioni.

Se non si ha voglia di comprendere questo, ci si potrà appoggiare alle intepretazioni consolatorie alla Galli della Loggia, che però non potranno mai essere utili per reprimere e prevenire fenomeni come Mafia Capitale

Luigi Oliveri

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