La sottile linea grigia: vademecum su realizzazione e diffusione di materiale videografico e fotografico tra liceità e violazione della privacy

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La normativa sulla privacy regolamenta anche il materiale videografico e fotografico. La pervasività degli strumenti informatici ha reso l’utilizzazione e la diffusione del materiale multimediale decisamente significativa. Si pensi al fatto che, nella maggior parte dei casi, una fotografia scattata da un dispositivo cellulare viene riversata su un social network. L’automatismo di questa condotta non ne involge, tuttavia, la liceità, soprattutto nei casi in cui il materiale multimediale ritragga persone contrarie alla sua diffusione. Caso particolare, ma non meno significativo, è costituito dall’eventualità che il soggetto ritratto ignori l’esistenza del materiale medesimo o non sia stato informato della sua diffusione. Il vademecum che segue è prevalentemente ma non esclusivamente indirizzato a fotografi professionisti ed occasionali, in considerazione del fatto che producono, manipolano e diffondono quotidianamente materiale video e fotografico, esponendosi più di frequente all’obbligo del risarcimento. Naturalmente, anche il semplice studente di Liceo che scatti una fotografia col cellulare si gioverebbe delle indicazioni nel prosieguo, se vuole evitare spiacevoli ed impreviste conseguenze.  Il codice della privacy, infatti, sanziona con l’obbligo della rifusione del danno l’eventuale violazione dell’altrui diritto alla riservatezza. La regolamentazione relativa a produzione e diffusione del “ritratto”, anche fotografico, ha origini risalenti: il parametro normativo di riferimento, seppur con gli interventi di adeguamento ed attualizzazione del Legislatore, è la legge sul diritto d’autore ( L. 633 del 1941).

Occorre premettere che, salvi i casi diversamente regolamentati di cui si dirà di seguito, per procedere alla diffusione di una fotografia od un filmato è sempre necessario il consenso espresso dei soggetti che vi compaiono (art. 96, legge 633/41). La forma prediletta per il rilascio del consenso è costituita dalla c.d. “liberatoria”, sulla quale chi scrive ha condotto specifiche analisi in altra sede.

Una seconda necessaria specifica attiene alla precisa individuazione della condotta illecita: non è sanzionata la semplice attività di produzione o raccolta di file multimediali (ad esempio scattare una fotografia od effettuare una ripresa) se del materiale, fisico o digitale, derivatone si fa uso per esclusiva consultazione personale. La condotta sanzionata è, invece, riscontrabile nell’atto di diffondere o servirsi del medesimo, dandone notizia ed offrendolo alla vista dei terzi, ad esempio con l’upload su un social network.

Rilevante è certamente il profilo sanzionatorio: la legislazione vigente e, nel suo solco, la giurisprudenza consolidata riconoscono l’obbligo di risarcire il danno causato in caso di illecita pubblicazione del materiale multimediale. Più nello specifico, la Corte di Cassazione ha affermato che, oltre al danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’onore o della reputazione, è pienamente risarcibile anche il danno patrimoniale. Quest’ultimo aspetto è stato vivacemente discusso dalla dottrina, fino a trovare una pacifica accomodazione: il danno deve essere, d’un canto, proporzionato alla misura del guadagno realizzato o realizzabile dal soggetto che ha reso pubblico la fotografia o la ripresa, considerando anche il compenso presumibilmente richiedibile da parte del soggetto ritratto nel caso in cui avesse consentito alla pubblicazione.

Al fine di agevolare l’utilizzazione per fini giornalistici, il Legislatore ha individuato un novero di fattispecie esonerate dalla prescrizione citata. Possono liberamente pubblicarsi i ritratti di soggetti che siano “notori”, ad esempio un famoso atleta, o che ricoprano un pubblico ufficio, ad esempio il Presidente della Repubblica.

Il Codice della Pricacy ha escluso, anche nel caso di personaggi notori, la pubblicazione di materiale multimediale comprovante specifici aspetti “sensibili” della sfera privata dal soggetto: credo religioso, orientamento sessuale ed, in particolare, lo stato di salute.

Sono anche consentiti utilizzo e diffusione di materiale fotografico nel caso di giustificate esigenze “di polizia” o “di giustizia”, si pensi alle foto segnaletiche di un latitante. Non costituisce, tuttavia, motivo sufficiente alla pubblicazione di video o di immagini ritraenti persone non consenzienti il generico interesse ad una indefinita “denuncia sociale”, ad esempio configurerebbe violazione della privacy la pubblicazione di una fotografia ritraente nell’atto di gettare piccoli rifiuti nella pubblica strada. Diverso il caso dei reportage giornalistici sulla commissione di reati in pubblico, dei quali non si tratta in questa sede per ragioni di economia espositiva.

A margine la liceità della pubblicazione di materiale multimediale per scopi scientifici, didattici o culturali.

Particolare importanze riveste il riferimento che chiude l’articolo 97 della Legge 633: è consentita la diffusione del materiale relativo a “fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”, duttile clausola di chiusura che, ad esempio, esonera dalla richiesta di liberatoria il fotografo di una processione religiosa. Premesso che sulla effettiva esistenza e rilevanza dei “fatti” e degli “avvenimenti” si esprime il giudice di merito, la giurisprudenza capillare si è assestata su un orientamento vagamente “restrittivo” volto ad escludere un abuso della flessibile clausola di chiusura a fini elusivi dei divieti di legge.

Il giornalista, professionista dell’informazione cui il Legislatore garantisce un margine di manovra idoneo alla sua funzione, può pubblicare fotografie che contengano la rappresentazione di soggetti pur in assenza dello specifico consenso nel caso in cui sia pacifico che il ritratto non causa detrimento alla reputazione. Si pensi alla fotografia di una pubblica piazza attraversata dai passanti in un articolo sul flusso turistico di una grande città: è inequivoco che,  se la fotografia non lede la reputazione e non cagiona danno anche morale al singolo passante, questi non dovrà rilasciare specifica liberatoria per consentirne la pubblicazione. La ratio della norma è facilmente intuibile: esonerare dall’iter burocratico di produzione e sottoscrizione del documento di autorizzazione al trattamento dei dati. Si tralasciano, nell’economia della presente analisi, i margini riconosciuti al giornalista e sui requisiti di verità (la notizia non deve essere frutto di fantasia), pertinenza (deve avere chiara utilità pubblica) e continenza (deve essere espressa con linguaggio descrittivo e non spettacolarizzante).

Un Comunicato del Garante per la protezione dei dati personali ha infine precisato che non possono lecitamente diffondersi foto di soggetti sottoposti a misure di coercizione o con i polsi vincolati da manette. Le foto segnaletiche, cui si è già accennato infra, possono essere utilizzate per soli fini di giustizia e polizia.

L’art 97 ha cura di specificare che mai può essere esposto o diffuso il ritratto di un soggetto se, con tale atto, si cagiona un pregiudizio sensibile alla sua reputazione od al suo onore, ad esempio

È disciplinato specificamente il caso di materiale multimediale ritraente minori, nei confronti dei quali l’ordinamento appresta una tutela significativamente più incisiva.

La disciplina a tutela del diritto alla privacy del minore d’età, in particolare in relazione alla produzione ed alla diffusione di immagini che lo ritraggono, trova il suo fondamento nella natura intrinsecamente fragile di tale situazione giuridica.

Il minore può essere definito una “persona in divenire”: un soggetto, cioè, che non ha ancora completato il suo percorso di maturazione e la cui immagine può essere irrimediabilmente compromessa da un utilizzo scorretto.

Dato che il minore non ha ancora acquisito la capacità di agire spetta a chi detiene la potestà genitoriale il potere di prestare il consenso affinché l’immagine sia legittimamente utilizzata ai sensi della L. 633/1941.

Ai fini del rilascio del’autorizzazione è generalmente necessario il consenso di un solo genitore, dato che la sottoscrizione della medesima è atto di ordinaria amministrazione compibile disgiuntamente (art. 320 c.c.).

Questioni rilevanti si pongono nel caso in cui il minore conviva con un solo genitore, quando i genitori sono separati o divorziati e quando uno solo di questi (ma non l’altro) rilasci l’autorizzazione. Salvo il primo caso, nel quale l’autorizzazione deve necessariamente provenire dal genitore convivente esercitante la potestà genitoriale ai sensi dell’art. 317-bis c.c., nei residui due casi è quindi sufficiente la sottoscrizione di uno solo dei due.

Dato che le istituzioni scolastiche hanno senza dubbio una notevole importanza nella vita di ogni minore, occorre sottolineare che non costituisce violazione del diritto alla riservatezza la realizzazione di riprese video e fotografie durante recite o saggi scolastici da parte dei genitori. In tal caso si configura infatti un’ipotesi di realizzazione destinata alla privata consultazione e non alla diffusione, alla quale si è accennato in premessa. Non così nel caso di un’eventuale pubblicazione del materiale sui social network: diventerebbe “diffusione” e sarebbe necessario ottenere il consenso.

I minori sono destinatari di una specifica ed intensa tutela anche in campo giornalistico, ove è ormai consolidata la prevalenza del diritto alla riservatezza rispetto al diritto di critica e di cronaca.

Il giornalista non può pubblicare fotografie in cui i minori siano identificabili e dovrà servirsi di mezzi informatici manipolativi del file multimediale al fine di rendere non riconoscibile il volto (ad esempio la c.d. pixellatura). Anche nel caso chi esercita la potestà genitoriale sul minore abbia rilasciato il consenso, sarà onere del giornalista operare un’ulteriore verifica, asseverando  l’esistenza di un’effettiva rispondenza della pubblicazione all’interesse del minore.

Sul punto si esprime la stessa Carta di Treviso, protocollo firmato dall’Ordine dei giornalisti nel 1990, specificando la necessità di evitare che il minore sia reso vittima di “spettacolarizzazioni del suo caso di vita, da clamorosi protagonismi o da fittizie identificazioni”.

 

Con la collaborazione di Chiara Bardoscia

Davide Gambetta

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