Separazione dei coniugi: assegno di mantenimento

Rosalba Vitale 17/03/15
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La separazione personale dei coniugi è un istituto disciplinato da norme del codice civile (artt. 150 e ss.), dal codice di procedura civile e da una serie di norme speciali.

Gli effetti ad essi legati sono lo scioglimento della comunione legale dei beni, la cessazione degli obblighi di fedeltà e di coabitazione, mentre sussistono il dovere di contribuzione nell’interesse della famiglia, dovere di mantenere il coniuge più debole e dovere di mantenere, educare ed istruire la prole.

Si distingue in consensuale o giudiziale.
Nella prima, i coniugi regolamentano i loro rapporti con un accordo che verrà poi omologato dall’autorità giudiziaria.
Nella separazione giudiziale i coniugi sono in disaccordo e uno di essi o ciascuno di essi può ricorrere al Tribunale per procurarsi una sentenza di separazione che regoli i loro rapporti.

Dalla separazione scaturiscono la corrisponsione dell’assegno di mantenimento e l’assegno agli alimenti all’altro coniuge.

L’assegno di mantenimento, ex art. 156, 1° co. c.c., consiste nel diritto a ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri, la cui misura varia in relazione alle circostanze e ai redditi del coniuge obbligato.

Sul punto, la Corte di Cassazione n° 6698 del 2009 ha chiarito che: “il giudice deve accertare innanzitutto il tenore di vita che i coniugi avevano durante il vincolo matrimoniale. Dopodiché si dovrà verificare se il coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento abbia i mezzi economici adeguati a mantenere e conservare lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio a prescindere dalla percezione dell’assegno stesso”.

Si differenzia dall’assegno agli alimenti, in quanto quest’ultimo rappresenta un contributo minimo e indispensabile a soddisfare i bisogni primari dell’individuo, che versi in uno stato di particolare indigenza e povertà (art. 156, 3° co. c.c.).

Di recente, la Cassazione Civile, con ordinanza 9 febbraio 2015, n. 2445 ha provveduto a individuare un parametro di riferimento più adeguato nell’erogazione dell’assegno di mantenimento.

Ha stabilito in primo luogo che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non è prevista dall’art. 156 cod. civ. in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento ma ha lo scopo di garantire ai figli minorenni o non autosufficienti economicamente la continuità dell’habitat familiare (cfr. Cass. civ. I sezione n. 6769 del 22 marzo 2007).

In particolare si è affermato che: “il giudice nella determinazione dell’assegno di mantenimento deve avere quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato e, a tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico (Cass. civ., sez. I, n. 9915 del 24 aprile 2007)”.

Segue, il disposto che “l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito”.

Dal dettato normativo si evince che il nuovo indirizzo giurisprudenziale è più incisivo che in passato, sia nella determinazione del reddito del coniuge, valutazione che tiene conto non solo delle risultanze fiscali ma anche altri elementi di natura economica, sia nell’onere della prova lasciata alla discrezionalità del giudice il potere di disporre indagini patrimoniali.

Rosalba Vitale

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