Preclusioni nell’utilizzo dei dati non trasmessi, come «sanzione impropria» per i comportamenti omissivi, dolosi o colposi, tenuti dal contribuente, in sede di verifica o invito

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Inutilizzabilità dei dati non esibiti nel corso della verifica o a seguito dell’invio del questionario. In realtà la sanzione amministrativa comminata, in caso di mancato ottemperamento all’invito, oscillante da euro 258,00 a euro 2.065,00, ex art 11, co. 1, lett. c) del Dlgs 471/1997 è poca cosa, come vedremo, rispetto alle conseguenze indirette conseguenti alla mancata produzione documentale.

Il presente autore dell’articolo ha firmato l’ebook: “Associazioni sportive dilettantistiche e verifiche fiscali”

Giova preliminarmente rammentare che le norme che regolano l’obbligo di rispondere agli inviti e questionari o che obbligano il contribuente alla produzione documentale, in sede amministrativa, sono rappresentate:

  • nel comma 5 dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, relativamente agli «Accessi, ispezioni e verifiche», per il richiamo contenuto, a siffatta norma, dall’art. 33, co. 1, del DPR 600/1973;
  • nei commi 4° e 5° dell’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativamente ai «Poteri degli uffici»;
  • nel comma 2 dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/73, per i «Redditi determinati in base alle scritture contabili».

Tutte le citate norme tendono a scoraggiare la condotta omissiva stabilendo che «I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa».

In relazione al citato obbligo, i commi 4° e 5°dell’art. 32 del decreto sull’accertamento, prevedono (al comma 4°) un onere informativo a carico dei verificatori, (al comma 5°) un “attenuante” per il contribuente “che depositi in allegato  all’atto  introduttivo del giudizio di primo grado in sede  contenziosa  le  notizie,  i  dati,  i documenti, i libri e i registri, dichiarando  comunque  contestualmente  di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a  lui  non imputabile”.

In base all’orientamento espresso dalla S.C. nella sentenza 9127/2006 risulta evidente che la preclusione si concretizza in presenza di specifica richiesta dell’Amministrazione e di un contestuale rifiuto ovvero di un occultamento da parte del contribuente, “concepibile quasi esclusivamente in riferimento ai documenti di cui è obbligatoria la tenuta. In altre parole, la limitazione alla possibilità della prova è collegata ad uno specifico comportamento del contribuente, che si sottrae alla prova stessa, e dunque fornisce validi elementi per dubitare della genuinità di documenti che abbiano a “riaffiorare” nel corso del giudizio. Ciò costituisce una giustificazione ragionevole della loro inutilizzabilità; del resto temperata dalla possibilità riconosciuta al contribuente di dimostrare la “non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione“”.

Invero in più recente sentenza la S.C. rileva che “il divieto di utilizzare documenti scatti “non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa””(Cass. sentenza n. 21768/2009).

Come precisato dalla S.C. ai fini della preclusione all’utilizzo dei dati per la norma sono irrilevanti le “motivazioni della parte privata, ossia all’elemento psicologico del soggetto che omette di rispondere” (Cass. sentenza 28049/2009)

Dunque alla base della preclusione si configura non solo il rifiuto, comportamento di per sé doloso, improntato a ritardare o limitare la verifica ovvero la risposta al questionario, ma anche negligente, dunque colposo. Sarà interessante notare come la successiva sentenza n. 453 della S.C., in linea con precedente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, stigmatizzi il comportamento del contribuente che aveva richiesto una proroga all’invio dei dati, contenuti nel questionario, poiché effettuata in prossimità delle vacanze natalizie.

Nonostante la giurisprudenza di vertice abbia manifestato un chiaro orientamento in diverse sentenze giova in questa sede dare particolare enfasi alla sentenza n. 453 del 2013: in tale sentenza la S.C. richiama i principi di diritto che si sono cristallizzati relativamente alla norma de quo, in particolare ritiene che:

  • il legislatore ha sanzionato con la preclusione dell’inutilizzabilità la condotta del contribuente che si sottrae al dialogo con l’amministrazione, ponendo il divieto di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale preclusione è determinata dal fatto che l’inadempimento del contribuente finisce con l’impedire all’amministrazione di eseguire un accertamento;
  • la preclusione prevista dalla norma censurata, risolvendosi in  un  divieto  di allegazione  in  giudizio  dei  dati  e  dei  documenti  non   forniti   da contribuente in risposta all’invito dell’Amministrazione finanziaria,  opera sul piano esclusivamente processuale ed è  perciò  inidonea  a  menomare  il principio di capacità contributiva;
  • la norma, va intesa rigorosamente, senza che possano acquistare rilievo le motivazioni e, dunque, patteggiamento psicologico del contribuente ( quest’ultimo aveva richiesto un rinvio adducendo quale motivazione le imminenti festività natalizie).

Alla luce di tali preclusioni nell’utilizzo dei dati risulta di fondamentale importanza che Ufficio finanziario e contribuente improntino il loro comportamento  al canone di lealtà richiamato dalla Consulta, (Corte costituzionale, ordinanza 7 giugno 2007, n. 181) codificato, nel nostro caso, dall’obbligo di avvertimento in ordine alle conseguenze dell’inottemperanza, fissato, come si è visto, dall’ultimo nucleo normativo dell’art. 32, comma 3. Il subprocedimento in questione, tuttavia, proprio in quanto è capace di provocare il verificarsi dell’inutilizzabilità in sede amministrativa dei dati e dei documenti soltanto tardivamente esibiti, che si riverbera sulla preclusione processuale pure stabilita dall’art. 32, comma 3, postula che non sia soltanto il contribuente a collaborare. Il canone di lealtà, d’altronde, rinviene espressione nello statuto del contribuente, il cui articolo 10 prescrive che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, del quale è specifica manifestazione, tra l’altro, l’obbligo dell’amministrazione “…di informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione..:” (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 2).

Nel caso esaminato dal Collegio, emerge dalla stessa narrativa della sentenza impugnata che l’avvertimento, circa l’inutilizzabilità dei dati in sede processuale, non era contenuto nel questionario; per conseguenza, non si è realizzata la sequenza del subprocedimento innescato dall’invio del questionario.

In conclusione vanno attentamente analizzate le risposte alle richieste dell’Ufficio finanziario, siano esse conseguenti a una verifica oppure a un questionario, non solo per i riverberi che l’omissione determina, sia essa dolosa o colposa, ma anche per le inevitabili conseguenze connesse alla preclusione stessa, in sede amministrativa e processuale.

Piero Bertolaso

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