Legge di stabilità 2015: riparte il conto alla rovescia per tagliare le società pubbliche

Michele Nico 24/10/14
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È stato varato dal Consiglio dei Ministri, nella seduta del 15 ottobre scorso, il testo della prossima legge di stabilità 2015, che dovrà ora passare al vaglio dei due rami del Parlamento per l’iter di approvazione entro l’anno.

Si tratta di una formidabile manovra da 36 miliardi di euro, che dovrebbe oltremodo operare una consistente revisione della spesa pubblica con tagli per 15 miliardi di euro, grazie anche a un piano di razionalizzazione delle società partecipate locali.

Un’articolata disciplina della materia è prevista nell’art. 43 del disegno di legge, con l’intento di potenziare il disposto dell’art. 3, comma 27 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, secondo cui gli Enti locali non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società, mentre risulta invece ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale.

Tale corpo normativo è già stato in precedenza novellato dall’art. 1, comma 569, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), il quale ha disposto che “il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, [cioè il 31 dicembre 2010] è prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge [ossia al 31 dicembre 2014], decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile”.

Come si vede, la legge 147/2013 ha accentuato la valenza strategica del citato art. 3, da un lato prorogando il termine per l’adempimento dell’obbligo di ricognizione societaria e, dall’altro, integrando il disposto con una sanzione di carattere drastico e rigoroso.

Sulle orme di questa metodologia d’intervento, anche l’analoga manovra in programma per il 2015 fa ora perno sull’art. 3 della legge 244/2008, imponendo un articolato sistema di adempimenti a carico degli Enti locali – soci pubblici, secondo una tabella di marcia a tappe forzate, da attuarsi sotto la stretta sorveglianza della Corte dei Conti.

Secondo l’art. 43 del disegno di legge sono previste, nello specifico, le seguenti scadenze:

a)     dal 1° gennaio 2015: avvio di un processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie dirette e indirette a cura degli Enti pubblici soci, in modo da conseguire una riduzione strutturale degli asset entro il 31 dicembre 2015, tenendo conto dei criteri individuati dal Piano Cottarelli del 7 agosto scorso (eliminazione delle “scatole vuote” e delle società non necessarie, processi di aggregazione tra soggetti che svolgono attività similari, contenimento dei costi di funzionamento, riorganizzazione della governance societaria, ecc.);

b)    entro il 31 marzo 2015: approvazione, da parte degli organi consiliari dei rispettivi Enti, di un piano operativo di razionalizzazione delle partecipazioni suddette; tale piano, corredato da un’apposita relazione tecnica, dovrà definire in concreto le modalità e i tempi di attuazione degli interventi programmati (con i risparmi da conseguire), nonché essere comunicato alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti e pubblicato sul sito web;

c)     entro il 31 marzo 2016: gli Enti soci dovranno trasmettere alla sezione di controllo della Corte dei conti una relazione per illustrare i risultati conseguiti, procedendo poi, anche in questo caso, alla relativa pubblicazione sul sito web.

Il crono-programma di tali scadenze costituisce il percorso operativo obbligato con cui la legge di stabilità 2015 dovrebbe tradurre in atto le indicazioni del Piano Cottarelli, al quale è stato affidata la grave incombenza di ridurre drasticamente le partecipate sul territorio nazionale (da 8000 a 1000, secondo la promessa del nostro premier Renzi).

Sarà idoneo a conseguire un siffatto obiettivo il testo di legge in cantiere?

È difficile dare oggi una risposta, ma si può osservare che restano tuttora in piedi gli ostacoli che hanno portato, soltanto un anno fa, alla capitolazione del progetto di dismissione generalizzata delle partecipazioni in perdita detenute dai Comuni minori (art. 14, comma 32, del DL 78/2010, abrogato dall’art. 1, comma 561, della legge 147/2013).

Gli impedimenti hanno reso inattuabile quel progetto, reso obbligatorio dalla norma poi abrogata, sono i seguenti:

a)     estrema difficoltà di garantire la prosecuzione dei servizi pubblici erogati, una volta dismesse le società che li gestiscono;

b)    estrema difficoltà di ricollocare i dipendenti delle società da chiudere;

c)     complessità tecnica delle procedure di dismissione societaria (messa in liquidazione o vendita o processi di fusione), essendo notoriamente più facile costituire ex novo un organismo partecipato, piuttosto che procedere alla sua estinzione.

Restando sul tappeto questi problemi – accentuati dalla circostanza che tra i fattori di maggiore criticità delle partecipate si annovera tuttora l’eccesso di personale ivi impiegato – è legittimo supporre che la strada scoscesa e accidentata per razionalizzare le società pubbliche sarà tutta in salita.

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