Tfr in busta paga, pro e contro dell’anticipo nello stipendio mensile

Redazione 30/09/14
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Mentre la politica continua a discutere animatamente intorno all’articolo 18 e derivati, con l’infuocata direzione Pd di ieri pomeriggio, vanno avanti alcuni progetti di riforma che potrebbero vedere la luce nelle prossime settimane, con i partiti tutti alle prese con il Jobs Act.

Ieri, abbiamo dato notizia dell’apertura del cantiere sulla legge di stabilità 2015, che dovrebbe ammontare, come valore complessivo, a circa 20 miliardi di euro, per stessa ammissione del premier Matteo Renzi alla trasmissione di fabio Fazio “Che tempo che fa”.

Ora, però, si iniziano a scorgere le prime misure che il governo ha intenzione di inserire nella finanziaria in via di stesura nei corridoi di via XX settembre. La prima ipotesi, circola da qualche giorno e sembra sempre più solida: si tratta del possibile dirottamento di metà del Trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti in busta paga.

Metà Tfr nello stipendio

Davvero il governo arriverà a tanto? Si continuerà dunque sulla linea degli 80 euro, dando priorità assoluta al rilancio dei consumi e all’urgenza di liquidità nelle famiglie, addirittura smembrando il gruzzolo del Tfr accumulato in tanti anni di duro lavoro?

Naturalmente, l’ipotesi ha scatenato tutte le posizioni, tra chi appoggia in toto la linea del governo affermando che il Tfr rappresenta un capitale da investire senza attendere la liquidazione, e chi, invece, vede con questo intervento la pietra tombale su qualsiasi idea di progettualità futura.

Cosa ha in serbo il governo. L’esecutivo sta pensando di destinare il 50 del Tfr nelle buste paga dei lavoratori, sfruttando la cosiddetta “leva Bce”, scongiurando improvvise perdite di liquidità alle imprese, tali da generare un effetto boomerang.

Cos’è. Ricordiamo che il Tfr equivale alla retribuzione annua che spetta al lavoratore divisa per 13,5. In pratica, è una mensilità in più. il governo starebbe pensando di anticipare il metà della cifra accumulata nei 12 mesi – con riserva di estendere il margine a tre anni – con possibilità di riconoscerlo nello stipendio di un mese, oppure spalmandolo nelle varie buste.

Le imprese. Per le aziende, non si tratta di una prospettiva troppo allettante, in primis perché si troverebbero a dover sborsare di tasca propria il Tfr ai dipendenti: risorse che, se mantenute in azienda – ed è così per le Pmi al di sotto dei 50 addetti – vengono investite nelle attività della ditta. per questo, allora, Renzi ha parlato di ricorrere alle risorse della Banca centrale europea: il credito eventualmente concesso alle imprese potrebbe essere destinato a tappare il buco finanziari creatosi dalla spesa di metà Tfr in busta paga.

I lavoratori. Per chi è sotto contratto, il Tfr rappresenta un importo di misura direttamente proporzionale al rapporto di lavoro, che viene riconosciuto al momento della pensione. In questo modo, ovviamente, quando si abbandonerà il lavoro, sarà molto più magro. Oltretutto, va sottolineato che la tassazione in busta paga ammonterebbe al 15%, dunque per lo Stato ciò finirebbe pure per tradursi in maggior gettito.

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