Elezioni provinciali: rito sacrificale all’anticasta

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Il 13 ottobre saranno in carica i nuovi vertici politici delle Province (escluso la Sicilia, dove il percorso di passaggio ai Liberi consorzi dei comuni dev’essere ancora definito).

Il presidente sarà scelto da primi cittadini e consiglieri comunali, con elezioni di secondo livello, tra i sindaci della Provincia, il cui mandato scadrà non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni. Il consiglio Provinciale verrà eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali che costituiscono elettorato sia attivo sia passivo.
Il punto fondamentale della legge Delrio (L. 56/2014) sembra potersi leggere al comma 84 dell’art. 1 (quando si tornerà a redigere i testi di legge secondo tecniche più corrette e di più facile lettura?) che recita “Gli incarichi di presidente della Provincia, di consigliere Provinciale e di competente dell’assemblea dei sindaci sono esercitati a titolo gratuito”.
Si tratta di una norma finalizzata a soddisfare il sentimento anti-casta che ha impregnato l’intera nazione. Una norma che potrebbe chiamarsi persino Stella-Rizzo (dal nome dei giornalisti autori del best seller “La casta”).
Non vi è alcun dubbio alcuno che i costi della politica e gli sprechi della pubblica amministrazione abbiano rallentato lo sviluppo del Paese, così come la corruzione.

Il rischio, però, è quello di riforme umorali e precipitose e che confondano inutili costi della politica con necessari ed indispensabili costi della democrazia.
Già il governo Berlusconi aveva approvato un ddl costituzionale che avrebbe comportato la soppressione delle Province, mentre l’esecutivo Monti aveva inserito la questione della loro abolizione nelle dichiarazioni programmatiche ed aveva proceduto con interventi finalizzati allo svuotamento dell’ente intermedio e prevedendo nel decreto “spending review” l’ipotesi di accorpamento.
Le Province, però, sono istituzioni fondamentali della Repubblica, con funzioni e poteri definiti, tutelati dalla Costituzione.
Molte Regioni hanno contestato la legittimità costituzionale del percorso intrapreso, finalizzato all’abolizione di questo ente intermedio, con legge ordinaria o, addirittura, con decreto legge.

La Corte Costituzionale, con sentenza 19 luglio 2013, n. 220, ha dichiarato incostituzionali le disposizioni sulle Province, evidenziando come la decretazione d’urgenza non può essere lo strumento normativo utilizzabile per una riforma organica e di sistema.
La pronuncia della Corte ha fatto comprendere al legislatore che la strada per l’abolizione delle Province era più complessa e doveva, comunque, passare da una riforma costituzionale che, preliminarmente, togliesse copertura all’ente intermedio.
In seguito alla sentenza, nessun ripensamento politico sembra esserci stato sull’opportunità di abolire le Province, semmai un cambiamento nel percorso legislativo.
Nelle more dell’approvazione della riforma costituzionale finalizzata a sottrarre la garanzia costituzionale alle Province (l’art. 28: abolizione delle Province, e seguenti del ddl costituzionale n. 1429 approvato dal Senato l’8 agosto 2014, in sede di prima deliberazione) il legislatore non ha desistito dall’intervenire sull’ente intermedio, prevedendo l’abolizione dell’elezione a suffragio universale dei suoi componenti.
Se davvero si arriverà alla soppressione delle Province, nelle more potevano essere salvaguardati i precedenti livelli di democrazia.

La Carta europea delle autonomie prevede, come requisito minimo, l’elezione diretta dell’organo assembleare (Consiglio).
Il risparmio di spesa non sarà così rilevante, mentre si sta per pagare certamente un costo alla democrazia (prima con i commissariamenti e, poi, con l’elezione di secondo livello).
Anziché intervenire sulle Province, il legislatore avrebbe potuto concentrare la sua attenzione su strutture, agenzie, distretti, società controllate dallo Stato o dalle Regioni, partecipate.
Le elezioni di secondo livello si stanno trasformando in una grande contrattazione tra partiti, per un enorme inciucio, con una ripartizione delle cariche sulla carta.
Gli organi di stampa non danno conto di alcuna campagna elettorale, mentre alcuni (ad esempio “Il fatto quotidiano”) rendicontano di questa lunga negoziazione tra le segreterie nazionali di centrodestra con quelle di centrosinistra.
I sindaci ed i consiglieri comunali erano stati scelti dall’elettorato per fare un altro mestiere e non si comprende la fretta di trasformarli in vertici dell’ente intermedio.
L’elezione di secondo livello porta ad una rappresentanza sproporzionata di alcune forze politiche, mentre è fortemente compromessa la possibilità di un’equilibrata rappresentanza di genere.
Se la volontà è veramente quella di abolire comunque le Province, forse sarebbe stato meglio arrivarci senza passare da questo rito sacrificale alla religione dell’anti-casta.

Luciano Catania

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