Un presidente alla sbarra: così finisce il sarkoberlusconismo

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In queste ore, i paragoni tra la vicenda politica e umana di Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi abbondano un po’ dappertutto. Con la messa in stato d’accusa dell’ex presidente francese, il puntuale sarcasmo dei social network non si è lasciato sfuggire l’occasione di qualche sfottò, mentre giornali e televisioni ripercorrono il culmine di potere – e degli scandali – di fine decennio scorso.

Agli osservatori più attenti, però, i problemi con la giustizia che oggi hanno colpito Sakrozy, saranno sembrati solo l’ultimo accenno di due leader da sempre compatibili per abitudini e comportamenti, oggi arrivati al tramonto delle loro esperienze politiche benché in età anagrafiche diversissime.

Nell’ormai lontano – politicamente – 2008, infatti, il sociologo francese Pierre Musso diede alle stampe un saggio in cui coniava un neologismo dell’analisi politica: il Sarkoberlusconismo. Con esso, si indicava quella tipica propensione dei due personaggi a considerare lo Stato in ottica aziendale-capitalista, cioè come uno strumento al fine di generare benessere e, insieme, alla loro narrazione di personaggi contemporaneamente dentro e fuori il circuito della politica. Un possibile modello anche per aspiranti leader nel prossimo futuro.

Un paragone nient’affatto azzardato, e, anzi, reso ancor più credibile dalle tante storie di gossip che hanno contraddistinto i periodi di massimo fulgore di Berlusconi e Sarkozy. Si ricorderanno, infatti, le scappatelle dell’ormai ex Cavaliere, che compromisero il secondo matrimonio con Veronica Lario, e, insieme, il divorzio del presidente francese dall’ex moglie Cecilia, per cadere tra le braccia della statuaria Carla Bruni.

Ora, l’affinità tra i due leader trova un altro, e inatteso, punto di congiunzione: il lato più controverso della storia politica di Silvio Berlusconi, i problemi con la giustizia che hanno contraddistinto un ventennio di lotte dentro e fuori dal palazzo, arrivano a segnare per sempre anche quella di Nicolas Sarkozy, mettendo, con ogni probabilità, la parola fine a ogni ambizione di ritornare all’Eliseo.

Per la prima volta nella storia della gloriosa repubblica francese, infatti, un ex presidente si è visto imporre, prima, lo stato di custodia cautelare e poi la messa in stato d’accusa. I reati ipotizzati, del resto, sono molto gravi: violazione del segreto istruttorio e corruzione in atti giudiziari. Secondo la Procura di Parigi, infatti, Sarkozy e il suo avvocato Thierry Herzog avrebbero corrotto dei magistrati per ottenere una corsia informativa preferenziale nella Corte di Cassazione transalpina. 

Negli anni d’oro dei due personaggi, ad alimentare il sarkoberlusconismo non era solo la comune amicizia con il dittatore libico Gheddafi, ma l’inclinazione del presidente francese a prendere spunto da certi tratti del premier italiano e della sua leadership turbo-carismatica. Ma ora, Sarkozy ha dimostrato di aver imparato anche un’altra lezione dal più anziano politico milanese: già nelle scorse settimane, non appena si era diffusa la notizia del suo coinvolgimento, era andata in scena una prova della miglior scuola berlusconiana, con l’accusa nient’affatto velata rivolta alla magistratura di utilizzare metodi da Stasi della Germania Est. Dall’altro lato, intanto, il Partito socialista difende l’autonomia e l’operato dei pubblici ministeri nel più classico muro contro muro all’italiana.

Anche i capi d’accusa verso Sakrozy sono un deja-vu per la politica del Belpaese: la corruzione in atti giudiziari è infatti il reato che venne contestato a Berlusconi nel famoso processo Mills, poi scaduto in prescrizione, mentre la violazione del segreto istruttorio era costata una condanna in primo grado a un anno per Berlusconi nel caso Unipol, altro procedimento poi troncato dalla mannaia della prescrizione. Manco a dirlo, tra le pene previste per un’eventuale condanna di Sarkozy, figura l’interdizione dai pubblici uffici, che il nostro ex premier rischia di subire per il caso Ruby, e ovviamente l’incandidabilità, inflitta a Berlusconi dopo la condanna definitiva Mediaset.

A prescindere dalle singole vicende giudiziarie, comunque, è innegabile che i problemi con la legge abbiano segnato il ventennio berlusconiano, senza, con ciò, impedire all’ex Cavaliere di ricandidarsi più volte e di tornare presidente del Consiglio anche sotto processo.

E in Francia, cosa succederà? Oltre confine, c’è ancora chi crede a una possibile ricandidatura alle presidenziali del 2017, se Sarkozy venisse scagionato: resta da capire se pochi anni di sarkoberlusconismo siano stati sufficienti a inficiare la rigidità della morale pubblica francese, o se, in contrario, i due personaggi passeranno alla storia come i leader onnipresenti su rotocalchi e aule di giustizia, ma incapaci di portare grandi benefici ai popoli che si erano fidati di loro.

Francesco Maltoni

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