L’ennesimo schiaffo della politica alla società dei giusti!

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Anticorruzione

… che tristezza … che sconforto … che delusione …

Un altro pezzo dell’Italia dei liberi e dei giusti – Stefano Rodotà il cittadino onorario – che viene sonoramente messo alla porta con una “garbata” stretta di mano.

Tipicamente italiano. O meglio, tipicamente figlio di un’era che i nostri pronipoti studieranno nelle loro future scuole come anni caratterizzati dalla più vertiginosa caduta di valori e di costumi.

Prevedibile. La storia gira ma si ripete, nel bene e nel male. Ad un impero romano infettato dagli sprechi e dalla dissolutezza, non poteva non seguire, a distanza di secoli, una repubblica italiana ammalata di corruzioni, scandali, malaffare, ma soprattutto di strafottenza e di  ignoranza istituzionale.

Anche all’estero la corruzione esiste – certo che esiste – ma viene combattuta quotidianamente e senza soluzioni di continuità.

In Italia saremmo riusciti – almeno sulla carta – a varare un pacchetto legislativo sufficientemente completo per iniziare a combattere il problema: la Legge 190/2012 cd. anticorruzione; il Decreto Legislativo 235/2012 sull’incandidabilità; il Decreto Legislativo 33/2013 sulla trasparenza; il Decreto Legislativo 39/2013 sulla inconferibilità e incompatibilità;  il Piano Nazionale Anticorruzione che impone e rende obbligatorie importanti misure di gestione del rischio connesso a tutti gli abusi delle funzioni e dei poteri pubblici. Ed anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione, presieduta dalla uscente Romilda Rizzo, ha emanato decine e decine di delibere in difesa della società civile, tutte rivolte a sfiancare la pellaccia dura dei prepotenti e dei prevaricatori pubblici; pellaccia coraggiosamente messa a nudo nella spietata relazione di fine anno 2013 …

Ma, a fronte di tutto questo, qual è il bilancio proveniente dal nostro apparato statuale, da quello che nelle aule delle facoltà di giurisprudenza viene insegnato a menzionare come Il Legislatore, con la elle maiuscola?

Dire “silenzio” è riduttivo. È certamente più corretto parlare di ignoranza e analfabetismo legislativo totale.

Non è un atto di accusa alla cieca, meno che mai un’aggettivazione sfrontata e diffamante.

E’ una constatazione dettata dalla mera lettura di un anno e mezzo di storia italiana post Severino.

I nostri politici continuano a non parlare della piaga corruzione; o meglio, a non parlare delle leggi che loro stessi hanno formalmente varato. Quasi che una legge potesse auto applicarsi da sola …

Non amo il gossip giornalistico. Ma sarebbe veramente il caso di chiedere ai simpatici giornalisti delle Iene televisive di andare ad intervistare – a sorpresa, a caso – qualche dozzina di parlamentari davanti a Palazzo Montecitorio, per chiedere loro se per caso conoscono una, anche solo una, delle succitate leggi anticorruzione.

Sono provvedimenti normativi che hanno fisicamente votato loro, o no?

Scommetterei le mie cose più care – avendo anche l’assoluta certezza di non perderle – che inizierebbero a parlare di quanto il Paese (loro lo chiamano sempre così, e gli viene anche meglio, forse perché è una parola corta) abbia bisogno di un governo forte e deciso, di quanto l’economia debba ripartire, di come sia necessario alleviare la pressione fiscale, di come sia opportuno tagliare la spesa pubblica, e riformare il lavoro e il sistema pensionistico e il sistema giudiziario e la sanità e la scuola e le province e i Comuni e il Senato, e così via in un logorroico mantra di ininterrotta ed imperturbabile demagogia pre-elettorale.

E scommetterei pure che, alla domanda scusi ma io volevo sapere quali sono le leggi anticorruzione che lei ha votato?, la risposta sarebbe certamente: oddio si è fatto tardissimo, mi lasci lavorare, devo andare a votare immediatamente il millequattrocentosedicesimo emendamento della legge, della legge … della legge…  va bè… quella legge che parla delle case chiuse … 

Romilda Rizzo e i suoi colleghi erano persone libere e giuste.

Avevano detto, ridetto e gridato ai quattro venti che non si può affrontare il problema della corruzione attraverso un approccio meramente formalistico e burocratico, e che le migliaia di amministrazioni sparse in tutt’Italia dovrebbero adottare realmente – sostanzialmente, concretamente, fattivamente, subito ed in modo certosino – le plurime misure preventive richieste da quelle stesse leggi che il nostro piccolo legislatore, pur con un solo dito privo di memoria e di intelletto, ha votato e fatto normativa di Stato.

E avevano anche scritto – i nostri ex dell’Autorità Nazionale Anticorruzione – che bisogna denunciare, che bisogna partecipare, che la cultura dell’anticorruzione necessita di spinte dal basso, che anche le società partecipate devono “rendere conto e ragione” di ciò che fanno e disfanno sotto l’ombrello pubblico, che è necessario un integrale coinvolgimento di tutta la società civile, che la classe politica deve farsi carico di un ruolo attivo e promotore nella nuova cultura della legalità.

Ma, evidentemente, la nostra benemerita classe politica ha lo stomaco e le orecchie più duri di un centenario coccodrillo del Nilo …

L’ultimo, cocente, atto di accusa dei defenestrati A.N.AC. al potere politico – in particolare al Dipartimento della Funzione Pubblica, suo “ideale” partner anticorruzione – è dello scorso 9 aprile, prima di essere ringraziati ed accompagnati gentilmente alla porta.

È un documento forte, che ricorda con amarezza: che il cd. Decreto del Fare (n.d.s. quel famigerato D.L. 69/2013 conv. in L. 98/2013 che, alla stregua di inaudita sanatoria generale, ha lasciato nelle loro poltrone tutti gli attuali incompatibili) ha inspiegabilmente defraudato l’A.N.AC. della sua importante funzione di consulenza nella delicatissima materia delle inconferibilità-incompatibilità; che la Circolare n. 1 del 2014 emessa dal Dipartimento della Funzione Pubblica non è stata neanche comunicata all’A.N.AC., costretta a leggerla sul sito del Dipartimento come qualunque comune cittadino; che la stessa Circolare ha fornito preoccupanti interpretazioni equivoche sulla dibattuta questione della trasparenza nelle società partecipate; che l’A.N.AC, a distanza di due mesi dalla scadenza del termine di presentazione dei piani anticorruzione, non è stata ancora messa nelle condizioni di potere accedere ai dati del Dipartimento della Funzione Pubblica ai fini della doverosa attività di monitoraggio e vigilanza.

 

Raffaele Cantone, il nuovo Presidente A.N.AC. è un magistrato di punta, un uomo di polso, un duro e coraggioso che ha mandato in galera gente della stazza dei casalesi.

Ed è anche uno che conosce perfettamente i trucchi e le furberie dei corrotti e dei corruttori.

Ma … il problema non è lui. Il vero problema sono loro, i nostri pseudo – fiduciari di Stato.

Senza un minimo di collaborazione da parte loro –  o con loro che, addirittura, remano contro come hanno fatto con la “vecchia” Autorità Nazionale Anticorruzione – risulta davvero ardua e difficile qualsiasi opera di disinfestazione pro legalità.

Il vero problema è un Parlamento che tace ed acconsente, perfetto Giano bifronte per metà Ponzio Pilato e per metà Barabba.

 

Esiste uno straordinario principio del nostro codice penale: “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” (art. 40, II comma, c.p.).

Bisognerebbe iniziare a conoscerlo meglio, ad assimilarlo nel suo intrinseco significato civico, e forse ad usarlo e ad adattarlo ideologicamente al settore politico.

Perché, purtroppo, non è sempre sufficiente la filosofia della prevenzione, che è poi il cardine direttivo della nostra legislazione anticorruzione.

Quando la prevenzione fallisce, bisogna reprimere, e punire, e farlo duramente e senza pietà.

La stessa non pietà che ha chi corrompe, chi si fa corrompere, e chi se ne frega di impedire che qualcuno corrompa o si faccia corrompere.

Il neo Presidente Cantone sa bene quanto sia importante punire.

… ed io mi auguro che inizi a farlo … come certamente Lui sa fare come pochi altri ….

 

Franzina Bilardo

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