Il cognome della madre ai figli è un diritto: l’Europa condanna l’Italia

Redazione 07/01/14
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La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dei diritti di coppia, in seguito alla mancata concessione alla figlia del nome di famiglia della madre invece che, come d’abitudine, quello paterno.

La Cedu ha intimato allo Stato italiano di correre ai ripari con la normativa di riferimento in ambito famigliare, cercando di evitare il ripetersi della violazione.

La questione, in Italia, è di vasto interesse anche per essere stata affrontata, nei mesi scorsi, dalla stessa Corte di Cassazione, che aveva cercato di mettere qualche pezza alla normativa, come confermato anche oggi dalla Corte europea, carente sotto più di un punto di vista.

Si tratta, molto semplicemente, del divieto a ripetersi di qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso, scolpita nella Carta dei diritti Ue, che naturalmente l’Italia deve rispettare in quanto membro dell’Unione a 28. Negli ultimi anni, dunque, la Cassazione ha dato conferma di voler avviare l’iter per l’abbandono delle disposizioni di legge che vietano l’assegnazione del cognome della madre sul territorio dello Stato italiano.

L’incedere della Suprema Corte è dovuto anche al mancato intervento del Parlamento che, interpellato più di una volta da piazza Cavour sull’argomento, si è visto scavalcare sul tema dai giudici della Cassazione dopo il silenzio di alcuni anni. Così, era stata proprio la Corte Suprema a stabilire come l’obbligo di legare il cognome del figlio a quello del padre non fosse altro che un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non più in sintonia con l’evoluzione della società e le fonti di diritto soprannazionali”.

C’era poi stata una sentenza, emessa sempre dalla stessa Corte di Cassazione, che aveva stabilito, nei mesi scorsi, come se il figlio non fosse stato riconosciuto da entrambi i genitori, va attribuito per primo il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento. E ciò, ovviamente, in ragione di una non specificata priorità al cognome del padre, ovviamente assente in normativa e che ora la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha chiesto di annullare definitivamente.

 

 

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