Big Town alla siciliana: Caltanissetta la grande città più piccola d’Italia e Messina con due perimetrazioni alternative

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Se Caltanissetta diventa città metropolitana, Passerano Marmorito potrebbe aspirare al ruolo di capoluogo di provincia.
In realtà, si tratta di una boutade per il paese piccolo dove la gente mormora, divenuto famoso nei primi anni ottanta grazie a Giorgio Faletti (nel programma tv Drive In), mentre per la cittadina siciliana è una possibilità concreta.
Esiste, addirittura, un emendamento che la Giunta regionale, presieduta da Rosario Crocetta, ha depositato in commissione Affari istituzionali, all’Assemblea Regionale Siciliana, dove si discute di aree metropolitane.
La quarta big town in salsa siciliana avrebbe come epicentro una città con poco più di sessantamila abitanti (la 73^ per dimensione demografica in Italia). Per rendere il piano un po’ più credibile l’emendamento mira ad includere anche Enna, capoluogo di provincia con meno di trentamila abitanti (27.867).
Insieme Enna e Caltanissetta non arrivano a centomila abitanti ed allora il piano prevede di inglobare alcuni paesi dell’hinterland per arrivare alla fantasmagorica cifra di duecentomila abitanti.
Il paradosso nel paradosso sta nel fatto che non è per nulla scontato che Enna accetti di far parte della città metropolitana.
Il disegno di legge governativo, del quale si discute all’A.R.S., infatti, non prevede nemmeno che la perimetrazione delle big town sia vincolante per gli agglomerati urbani che vi sono ricomprese.
Caltanissetta potrebbe, quindi, essere la più piccola grande città d’Italia (roba da fare impallidire l’ossimoro di Claudio Baglioni, ai tempi del suo piccolo grande amore).
Secondo una lettura poco benevola per il Governatore siciliano, l’ascesa di Caltanissetta al ruolo di città metropolitana, lascerebbe a Gela (città natale di Crocetta) il ruolo di capofila di un libero consorzio tra i comuni della Sicilia centrale (ente di vasta scala, la cui normativa è ancora tutta da scrivere).
Quella del capoluogo nisseno non è, però, l’unica questione aperta nel progetto di riassetto amministrativo-istituzionale della Sicilia.
Le città metropolitane in Sicilia dovevano essere tre: Palermo, Catania e Messina. Nell’Isola ci sarebbe, quindi, un terzo delle big town italiane (dove la soglia minima sarebbe costituita da una popolazione di 500 mila abitanti).
Il disegno di legge originario prevedeva il “declassamento” obbligatorio (poi diventato meramente facoltativo) di cinquantuno Comuni al rango di mere municipalità.
Tredici di queste dovrebbero costituire l’area metropolitana di Messina.
La Giunta comunale messinese, però, vuole far nascere l’area metropolitana dello Stretto, unendosi con la dirimpettaia Reggio Calabria ed altri comuni reggini.
Il sindaco di Messina, Renato Accorinti, ne ha fatto un proprio cavallo di battaglia.
Il progetto, alternativo a quello previsto dal ddl regionale, ha visto l’adesione di diversi sindaci. L’idea ricomprende anche il riconoscimento dell’Unesco dello Stretto come patrimonio dell’Umanità.
In effetti, i due territori sono caratterizzati da forti interazioni economico-sociali.
Le facoltà messinesi sono state per anni le prescelte dagli studenti reggini e l’aeroporto di Reggio Calabria è nato per servire anche i viaggiatori di Messina.
I due centri sono, poi, tragicamente accomunati dalla distruzione provocata dal terremoto del 1908, che le rase a suolo.
Quello di rendere sicuri i due agglomerati urbani è uno dei progetti più qualificanti dell’università di Messina.
E dall’ateneo messinese nasce il “Manifesto per la città metropolitana dello Stretto”. All’iniziativa, promossa dai docenti Josè Gambino e Michele Limosani, hanno già aderito enti, associazioni ed istituzioni.
La prima richiesta è di convocare subito, in una delle due città, gli “Stati generali dell’Area dello Stretto”.
L’idea dei firmatari del “Manifesto” è quella di un’area molto vasta, comprendente, cinquantuno Comuni messinesi (poco meno della metà di quelli che costituiscono la Provincia regionale di Messina), da Taormina a Milazzo.
Per la nascita della città metropolitana Messina-Reggio Calabria, però, c’è un problema di gestazione legislativa.
La Regione Sicilia ha competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli Enti Locali.
Per Messina città metropolitana è sufficiente l’approvazione di una legge da parte dell’Assemblea Regionale Siciliana, per quella dello Stretto necessita l’approvazione di una legge nazionale e poi un successivo passaggio in sede regionale.
Il legislatore statale non ha, infatti, il potere di decidere unilateralmente l’assetto amministrativo-istituzionale dei Comuni siciliani.
Due città metropolitane distanti solo pochi chilometri, però, sarebbero un controsenso.
Tanto che lo stesso ddl regionale riconosceva la peculiarità dell’area dello Stretto ma senza perdere la propria genitorialità sulla nascita della città metropolitana siciliana.
L’art. 24 dell’originario progetto legislativo prevedeva che la Regione Sicilia potesse stipulare appositi accordi con lo Stato, la Regione Calabria e la città metropolitana di Reggio Calabria, per usufruire dei servizi secondo criteri di prossimità.
Una soluzione giudicata non sufficiente dall’Amministrazione Comunale di Messina.
Il ddl governativo non piace nemmeno a molti comuni ricompresi nelle aree delle tre big town.
Per convincerli la Regione punta sugli ingenti finanziamenti, provenienti dall’Unione Europea e la possibilità di assurgere ad Autorità di gestione dei fondi strutturali 2012-2020 (ancora non quantificate, ma ipotizzabili nel 5% dei fondi Fers).
Le tre (o quattro) città metropolitane siciliane dovrebbero assumere i poteri e le competenze che in passato erano delle Province regionali ed in parte anche della Regione.
Le big town si dovrebbero interessare di pianificazione territoriale ed urbanistica, scuola, mobilità e trasporti. Dovrebbero assumere, inoltre, le competenze che erano degli Istituti Autonomi per le Case Popolari e quelle per i Consorzi di sviluppo industriale e di bonifica.
In sede di prima applicazione, però, le città metropolitane potrebbero nascere con le stesse competenze dei comuni. Entro l’anno successivo, con legge regionale, dovrebbero essere attribuite le competenze definitive.
Il sindaco del comune declassato in municipalità dovrebbe diventare “presidente del municipio” ed avere funzioni delegate. Se il ddl sarà approvato, le municipalità avranno delle piccole assemblee elettive, formate da un numero di membri variabile da cinque a sette.
Le città metropolitane avrebbero un proprio sindaco, coadiuvato da una Giunta formata da massimo nove assessori mentre il consiglio metropolitano sarebbe composto da trentacinque consiglieri.
In sede di prima applicazione il sindaco della città metropolitana dovrebbe essere quello della città capoluogo (facile immaginare la contrarietà del primo cittadino ennese a retrocedere di fronte al collega di Caltanissetta).
Le città metropolitane potrebbero nascere con un territorio assolutamente corrispondente ai confini della città capoluogo più grande. Nei successivi sei mesi dall’entrata in vigore della legge, i comuni con contiguità geografica, potranno aderire alla città metropolitana.
Nel caso in cui (come sembra probabile) Enna non dovesse aderire alla città metropolitana di Caltanissetta, in Sicilia si avrebbe una città metropolitana con una popolazione al di sotto dei centomila abitanti.
I Presidenti di tutte le municipalità formeranno un altro organo istituzionale denominato “Conferenza metropolitana”.
L’area metropolitana di Palermo dovrebbe includere venti comuni, quella di Catania diciotto, mentre quella di Messina, come detto, avrebbe tredici municipalità.

Luciano Catania

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