Call center e “chiamate mute”, il Garante Privacy detta misure per gli operatori di telemarketing

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Sono in arrivo per gli operatori di telemarketing nuove regole a tutela della Privacy.

Numerose segnalazioni provenienti dai destinatari di campagne promozionali hanno portato all’attenzione del Garante Privacy l’oramai diffuso fenomeno delle “chiamate mute”.

Si chiamano così tutte quelle telefonate che non hanno come esito l’instaurazione di una conversazione tra un operatore e la persona contattata, ma la vana attesa di quest’ultima: l’utente alza la cornetta, attendendosi una risposta, ma dall’altra parte nessuna voce, nessun suono, solo una spiazzante attesa, finché la chiamata viene “abbattuta”.

Questo accade perché all’interno dei call center che si occupano di telemarketing non sono i singoli operatori a contattare i destinatari delle offerte commerciali, ma sistemi automatizzati di instradamento delle chiamate che generano i contatti in modo centralizzato.

In altre parole, è un software che decide come distribuire in maniera efficiente i numeri da contattare tra gli operatori e, come ogni sistema informatico, lo fa nel modo “migliore” possibile.

Il sistema automatizzato, infatti, pensato per massimizzare efficienza e produttività, tende ad eliminare i tempi morti tra una chiamata e l’altra e genera un numero di chiamate complessivamente superiore a quello degli operatori disponibili, in modo che ogni operatore, finita una chiamata, ne abbia subito una pronta da lavorare.

Dato che i contatti avviati sono più degli operatori, accade, non di rado, che per alcune delle chiamate generate in automatico, nel momento in cui il destinatario risponde, non vi sia un operatore disponibile ad interagire; a quel punto il sistema mette in attesa la persona contattata e, se in tempi brevi non si libera nessuno, la chiamata viene abbattuta.

Tutto questo la persona contattata non lo sa.

Chi alza la cornetta a casa e poi la richiude senza aver sentito anima viva, resta con l’interrogativo sulla provenienza del contatto e qualche volta, perché no, con la preoccupazione che chi ha effettuato la chiamata fosse un malintenzionato.

Per il Garante Privacy la pratica commerciale in questione costituisce un trattamento dei dati in contrasto con il principio di correttezza, sancito dall’articolo 11 del Codice Privacy, e rende necessaria l’adozione di accorgimenti e correttivi che pongano un freno alla condotta sregolata degli operatori di telemarketing.

A tal proposito, il 30 ottobre 2013 il Garante ha avviato la consultazione pubblica sullo schema di provvedimento generale inerente regole e limiti che i call center dovranno osservare nella gestione delle “chiamate mute”.

Innanzi tutto, le chiamate mute non potranno superare il 3% delle chiamate effettuate nell’ambito di ciascuna campagna di telemarketing; per evitare fenomeni di vero e proprio stalking telefonico, inoltre, lo schema di provvedimento prevede che il destinatario di una chiamata muta non possa essere contattato per i sette giorni successivi e che al contatto seguente sia comunque garantita la presenza di un operatore.

Poi, per eliminare ansie ed angosce che il silenzio della chiamata muta è capace di generare in coloro che sono contattati, il Garante impone l’utilizzo da parte degli operatori di un comfort noise, un rumore di sottofondo (brusio, squilli di telefoni, suoni di ufficio…) che dia l’impressione a chi riceve la chiamata di essere stato contattato da un luogo di lavoro e non da un molestatore o da un familiare in difficoltà.

I call center sono infine tenuti a conservare i report delle chiamate mute, al fine di consentire eventuali controlli.

Nel dettare queste regole il Garante ha saggiamente tenuto conto non solo della tutela degli interessati dalle chiamate mute, ma anche delle ragioni di efficienza e produttività degli operatori di telemarketing. La chiamata muta non viene proibita in via assoluta. Viene solo posto un limite al dilagare incontrollato del fenomeno ed una disciplina alle modalità con cui tali chiamate vengono effettuate, rendendo chiaro che mirare all’efficienza non può voler dire per i call center disporre come meglio credono del tempo e della tranquillità delle persone contattate.

Il fatto che un algoritmo consenta di eliminare i tempi morti non significa che si possa fare in modo sconsiderato, poiché il sistema non opera una magia, ma si limita a spostare un rischio – quello della vana attesa – da un soggetto all’altro.

Roberta Di Giorgio

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