Sindaci e relazione di fine mandato: alcuni consigli

Ettore Jorio 14/10/13
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L’esperienza dell’esordio della relazione di inizio mandato (insediata nell’ordinamento dal D.L. 174/2012, convertito nella L. 213 del medesimo anno, che ha introdotto nel d.lgs. 149/2011 l’art. 4 bis), a carico dei Sindaci usciti dalle urne delle precedenti elezioni amministrative (maggio 2013), è stata, stranamente, vissuta dai medesimi come un appuntamento di troppo facile portata. L’adempimento è stato, infatti, assolto senza impegno alcuno, quasi ridotto a mera compilazione di un modello prestampato nel quale inserire acriticamente i dati rappresentati nella documentazione contabile ufficiale dell’ente di appartenenza. Con questo, non si è attribuito all’adempimento – si badi bene, di nuovo genus – l’importanza che meritava, atteso che si sono sottovalutati gli eventuali effetti negativi derivanti da una sua superficiale redazione, dal momento che non è stato affatto considerato l’obbligo di dovere successivamente confrontare il suo contenuto specifico con i saldi prodotti al termine del relativo mandato sindacale.

La relazione di fine mandato sarà, invero, il documento nel quale saranno rappresentati i saldi giuridico-economici con i quali i sindaci termineranno il loro quinquennio di gestione municipale. In quanto tale sarà un atto formale ad efficacia tricefala: 1) costituirà il bilancio sindacale, nel senso che fornirà la prova documentale di cosa si è fatto e, soprattutto, di come si è fatto nella trascorsa sindacatura; 2) fornirà ai protagonisti della campagna elettorale appena successiva i numeri e le condizioni strutturali comunali sui quali misurarsi sia in termini critici che di proposta; 3) rappresenterà l’atto finalizzato a rendere edotti i cittadini sullo status quo della loro amministrazione locale, indispensabile per esprimere consapevolmente il loro consenso/dissenso, atteso che graverà esclusivamente sulle loro tasche il maggiore costo dei servizi e il maggiore peso tributario necessario per sanare la precarietà economico-finanziaria.

Dunque, la relazione di fine mandato (come quella iniziale) costituisce uno degli appuntamenti più importanti della vita amministrativa locale, considerato che in essa viene formalizzato il consuntivo dell’azione amministrativa, in riferimento al quale dovere rispondere sia sul piano giudiziale (Corte dei Conti e magistratura ordinaria, in relazione agli eventuali reati commessi) che politico-sociale.

Quanto alla relazione di fine mandato, nel 2014 saranno impegnati oltre il 50% del Comuni italiani, perché chiamati al voto nella prossima primavera (4.070 su 8.092, pari al 50,3%). Di conseguenza, ci sarà un esercito di sindaci tenuti a sottoscrivere la relazione di fine mandato verosimilmente nell’ultima decade del prossimo mese di febbraio (entro il 90° giorno antecedente la data di scadenza del mandato sindacale), a differenza di quanto invece eluso nelle elezioni amministrative dello scorso maggio per difetto del provvedimento ministeriale che ne sancisse il contenuto.

Cambiano, dunque, le regole per gli amministratori locali, ma anche i contenuti della campagna elettorale, che potrà essere più costruttiva e propositiva di quelle vissute. Con tutto questo, si offre una grande occasione ai cittadini per votare più consapevolmente del solito. Ciò in quanto i primi cittadini uscenti, a prescindere se ricandidati, dovranno fornire agli amministrati i “saldi” del loro mandato, per come individuati nel D.M. (Interno, di concerto con il MEF) del 26 aprile 2013 pubblicato sulla G.U. n. 124 del 29 maggio successivo, certificati dall’organo di revisione. Saldi non solo contabili. Dovranno infatti riportare nei loro “rendiconti” di gestione informazioni relative: a) al sistema dei controlli interni e agli esiti registrati; 2) ai rilievi eccepiti dalla Corte dei Conti e alle soluzioni individuate; 3) alle iniziative intraprese per rispettare i saldi programmati di finanza pubblica; 4) alla situazione finanziaria e patrimoniale, anche riferita alle c.d. partecipate, con l’indicazione dei rimedi delle carenze riscontrate; 5) alle scelte mirate a contenere la spesa e ad ottimizzare i servizi; 6) alla quantificazione dell’indebitamento.

Tra le argomentazioni – che dovranno essere affrontate dai responsabili dei servizi finanziari o dai segretari comunali tenuti alla redazione della relazione, pena la riduzione del 50% dell’indennità di mandato e degli emolumenti – ce ne sarà una quasi certamente non esaudibile: quella riferita allo “stato del percorso di convergenza ai fabbisogni standard”. Un difetto giustificabile dalla mancata attuazione del sistema introdotto dal federalismo fiscale fondato sui criteri, per l’appunto, dei fabbisogni standard per finanziare integralmente le funzioni loro attribuite. Un percorso normativo-regolamentare e amministrativo da completare per come peraltro sollecitato nella relazione finale dei 35 saggi (punto 10 del capitolo secondo).

Quanto al perfezionamento delle relazioni di fine mandato, occorre sottolineare le difficoltà che avranno in tal senso i sindaci dei Comuni che avranno aderito, all’epoca, al piano di riequilibrio pluriennale (art. 243 bis-quater del vigente Tuel). Non solo. L’adempimento diventerà quasi “impossibile” per quelli che avranno preferito mantenere, celato sotto la cenere, lo stato di decozione delle loro amministrazioni. Per entrambi sarà davvero complicato, rispettivamente: a) giustificare la contraddizione manifesta tra quanto “corretto” con i piani di rientro rispetto a quanto approvato nelle annualità precedenti, rischiando in proposito anche il formarsi di una sorta di confessione sulle illegittimità prodotte, finanche, con l’approvazione dell’ultimo rendiconto; b) il perdurare delle bugie contabili, peraltro funzionali a compromettere la veridicità dei numeri relativi agli esercizi successivi.

A ben vedere, si è venuto a concretizzare nel giro di un anno un prodotto legislativo al quanto incerto, sino a divenire contraddittorio in riferimento agli obiettivi perseguibili. Da un lato, si è sancito l’obbligo di trasparenza dei risultati ottenuti dall’azione politica negli insediamenti istituzionali locali. Dall’altro, si sono individuati, di contro, soluzioni segnatamente indulgenti per i responsabili dei danni cagionati al “tesoro” dei Comuni. Su tutto, si è determinata l’occasione per chi volesse accedere alle procedure agevolative, di supporto al cosiddetto predissesto, di evitare – ricorrendone i presupposti – i guasti di rappresentanza e di gestione conseguenti alle dichiarazioni di dissesto e le spesso consequenziali sanzioni previste dal d.lgs. 149/2011 (primo fra tutti, il fallimento politico comportante l’incandidabilità decennale a qualsivoglia carica elettiva).

Il libro “Il predissesto nei Comuni” riassume lo sforzo interpretativo di dieci giovani cultori/specialisti della materia, molti dei quali dottorati.

In quanto tale costituisce, al di là del titolo apparentemente pessimistico, uno strumento utile per meglio valutare il ricorso o meno alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale finalizzato a riportare “in bonis” gli enti locali a rischio e quindi per ripartire, ma anche per fornire le indicazioni necessarie ad adempiere al prossimo appuntamento afferente alla redazione della relazione di fine mandato, cui saranno tenuto ben oltre 4.000 sindaci dei Comuni che andranno al voto nella prossima primavera 2014, per come regionalmente suddivisi nella tabella sottostante.

Tabella:

Abruzzo 97; Basilicata 55; Calabria 139; Campania 177; Emilia-Romagna 263; Friuli Venezia Giulia 129; Lazio 163; Liguria 142; Lombardia 1.044; Marche 174; Molise 59; Piemonte 887; Puglia 62; Sardegna 13; Sicilia 32; Toscana 204; Trentino Alto Adige 18; Umbria 67; Veneto 345.

Ettore Jorio

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