Riforme costituzionali, solo 4 mesi per approvare il ddl procedurale

Pietro Ciarlo 13/06/13
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La settimana scorsa, si è insediata ufficialmente la Commissione di 35 “saggi” – più 7 estensori – che dovrà stilare il piano di riforme costituzionali, un punto su cui il governo ha impresso un’accelerata convinta, con il neonato organo di studio riunito già ieri per la prima seduta. I 35 esperti, per lo più professori o emeriti costituzionalisti, hanno ricevuto giovedì scorso al Quirinale l’investitura ufficiale di indicare al Parlamento la formula per rifondare le istituzioni. In seguito i lavori delle Camere saranno affiancati dal Comitato dei 40, nominati dalle Commissioni parlamentari per gli Affari Costituzionali di Montecitorio e palazzo Madama. Secondo il ddl costituzionale approvato nell’ultimo Consiglio dei ministri, le materie affrontate riguarderanno i Titoli I, II, III e V della seconda parte della Carta fondamentale, che andranno ridefiniti entro ottobre 2014: un riassetto su vasta scala delle forme di governo e di rappresentanza, oggi più che mai in crisi, come anche i dati di affluenza alle recenti elezioni amministrative confermano. Ne discutiamo con Pietro Ciarlo, professore dell’Università di Cagliari e membro della Commissione dei 35, incaricati dai massimi vertici dello Stato per evidenziare punti critici e inefficienze e ritrovare, così, la smarrita credibilità delle istituzioni.

Per cominciare, ci può spiegare quali sono le funzioni e i tempi di questa Commissione?

Siamo una commissione di studio, il nostro ruolo è stato enfatizzato eccessivamente. Di tali commissioni ne sono sempre state fatte. Non abbiamo alcun ruolo decisionale ma solo di studio. Come tempi, ci sono stati assegnati 4 mesi, necessari per approvare il ddl procedurale per poi lasciare il compito al Comitato dei 40. Noi svolgiamo solo degli studi preparatori.

Giovedì scorso siete stati ricevuti al Quirinale per ricevere l’investitura dal Capo dello Stato, che ha elencato i temi ineludibili delle riforme. Vi siete suddivisi secondo gruppi di studio?

Nessuna divisione in gruppi tematici. Giovedì, ha parlato prima il presidente del Consiglio Enrico Letta, poi il ministro per le Riforme Quagliariello e infine il presidente della Repubblica Napolitano, ci hanno voluto affidare questa funzione di studio.

Come saprà, c’è non poca diffidenza da parte della pubblica opinione rispetto al vostro ruolo e alla funzione che vi è stata assegnata…

La diffidenza è generata dalla sfiducia generale nei confronti dei partiti e del sistema politico. Bisogna tenere presente che i famosi Libri bianchi dell’Unione europea sono realizzati da commissioni del tutto simili alla nostra. Se c’è una cosa complessa da fare, si chiamano gli esperti: sarebbe come voler costruire un edificio senza affidarsi a un ingegnere…

Come ritiene che vada cambiata la composizione del Parlamento? Sarà la volta buona per il senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari?

Va affrontato principalmente il problema del bicameralismo, da cui dipende tutto il resto. Il senato federale resta una riforma complicatissima e si corre il rischio di avere un Parlamento non funzionante. Per quanto riguarda la riduzione del numero dei parlamentari, si tratta di un aspetto ineludibile, sicuramente tra i primi all’ordine del giorno.

Negli ultimi giorni, si è parlato molto di semipresidenzialismo, con alcune voci insospettabili che si sono schierate a favore, tra cui anche l’ex leader del centrosinistra Romano Prodi. Sono discussioni premature?

Quello del semipresidenzialismo è un tema aperto, che si presta a diverse declinazioni. Da una parte ci sono le più rigide razionalizzazioni del rapporto fiduciario, come ad esempio il cancellierato alla tedesca, e dall’altra forme alternative, come quella francese. In questo processo di riforma i dettagli sono fondamentali per stabilire il funzionamento delle forme di governo e per decidere quale direzione prendere.

Non sarebbe meglio, come ha invece criticato Matteo Renzi, occuparsi prima della legge elettorale?

Per ora non ci è stato chiesto di occuparci di questo argomento, ma non c’è dubbio che la legge elettorale che c’è non va bene e va cambiata prima possibile.

Passando alla riforma del Titolo V, si prepara un ritorno al passato? Ma quale? Quello della Lega Nord che spingeva per il federalismo, o la proposta di revisione avanzata dal governo Monti, che pareva voler ammorbidire la sussidiarietà?

Ancora sul titolo V non ci sono elaborazioni. In passato sono stati realizzati progetti che poi non sono stati attuati nella sostanza. Allora, meglio procedere con una riforma dall’inizio, visto che le Regioni si trovano in stato comatoso

Per quali ragioni a suo avviso? Solo malagestione o c’è dell’altro?

Le cause della cattiva salute delle regioni sono molteplici: scarsità di risorse, poca legislazione e io, personalmente, ho sempre reputato sbagliata l’idea che non debbano fare amministrazione.

Non crede che in passato uno dei problemi maggiori della riforma del Titolo V sia stata la confusione su alcune competenze centrali, con molte zone grigie tra le materie di competenza esclusiva e concorrente?

Sulle materie di competenza esclusiva e concorrente, rivedere la ripartizione legislativa è il minimo e sarà sicuramente esaminato un correttivo.

Come giudica le dichiarazioni della sua collega di Commissione, la professoressa Lorenza Carlassare, che ha già minacciato le dimissioni qualora le voci “fuori dal coro” non venissero ascoltate?

Non ho sentito le dichiarazioni di Lorenza, esprimeremo liberamente le nostre idee e cercheremo di puntualizzare i problemi maggiori.

Vai al testo del ddl sulle riforme costituzionali

Francesco Maltoni

Pietro Ciarlo

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