Abolizione province, il caos sempre più vicino

Luigi Oliveri 29/05/13
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Di abolizione delle province fin qui si parla moltissimo, ma ancora il passo finale non è stato compiuto. E per fortuna. Non tanto perché sia sicuramente più opportuno conservare in funzione l’ente intermedio tra comuni e regioni, l’unico in grado di gestire le funzioni troppo grandi per i primi e troppo territorialmente limitate per le seconde. Ma, soprattutto, perché le idee in merito sono davvero confuse e preludono ad un caos che finirà per devastare l’assetto istituzionale e creare nuova spesa. Esattamente come avvenne con la riforma del Titolo V della Costituzione, non a caso fortemente voluta dalla coalizione di sinistra, quella che con più disinvoltura effettua riforme istituzionali azzardate, che è facile profetizzare siano un fallimento, ma che, purtroppo, si confermano tali dopo un decennio circa. Proprio la gestione della sanità e delle regioni ne è dimostrazione lampante. Il Caos proviene da due figure di spicco del Governo. Da una parte il Ministro per gli affari regionali, il Carneade Delrio; dall’altro il sottosegretario al lavoro Dell’Aringa. Delrio persegue l’abolizione delle province con l’ottusa pervicacia tipica del gregario, che ha la grande occasione di mettersi in mostra. Come sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci ha sempre solo sfiorato l’empireo della grande politica, ma l’ombra di Renzi, alla cui corrente appartiene, è troppo scura e spessa per renderlo davvero visibile. Poiché alle cure di Delrio pare affidata la soppressione delle province, il Carneade ne sta approfittando per ottenere nei media quello spazio che il suo ruolo e la sua figura e il suo carisma mai avrebbero ottenuto. Abolire le province è quanto di più populistico e facile. Dunque, il Carneade non perde l’occasione per ribadire il comandamento, il mantra, proveniente anche dal suo capo corrente, Renzi. Che nella politica si è lanciato, però, guarda caso, da presidente della provincia di Firenze. Ora, delle due l’una: o Renzi chiede a gran voce (anche grazie al megafono del Carneade) l’abolizione delle province per rincorrere Grillo al rialzo; oppure, da presidente della provincia ha potuto constatare l’effettiva ed irrimediabile inutilità dell’istituzione. Poiché Renzi, con molti altri populisti a buon mercato, dice che le province vanno abolite in quanto inutili, tutti aspettiamo che restituisca 5 anni di lauta retribuzione come presidente, evidentemente sprecata nell’inutilità dell’ente presieduto. Ma qualcosa lascia pensare che mai Renzi farebbe questo alto gesto di coerenza contro i costi e gli sprechi della politica… Il Carneade Ministro degli affari regionali, nel riprodurre in play back le affermazioni del capo corrente Renzi, secondo un lancio Ansa “in una intervista al Corriere della Sera il ministro per gli Affari regionali Graziano Delrioha spiegato che il Governo abolirà le province, che certamente nel 2014 non ci saranno più. Il Ministro ha affermato anche “che si terrà conto della decisione della Corte Costituzionale, attesa all’inizio di luglio, che dovrà dire se è legittimo trasformarle in enti di secondo livello senza elezione diretta dei componenti. Ma intanto il governo andrà avanti, anche perché “se si blocca tutto io non ci sto. Il ministro delle cose inutili non lo voglio mica fare”. Comunque, niente “licenziamenti”. I dipendenti, chiarisce Delrio, “saranno redistribuiti tra uffici regionali e comunali a seconda delle funzioni”. Poi ci sarà “un processo graduale”, perché la Pa va nella direzione generale di avere meno dipendenti ma “bastano i pensionamenti, non servono gli esuberi. Col ministro D’Alia ne parleremo presto”. Intanto bisogna “prima di tutto eliminare le Province dall’articolo 114 della Costituzione. Serve una legge costituzionale, un articolo appena anche se con due letture parlamentari. Si potrebbe persino presentarla prima dell’estate”, separata dal complesso delle riforme costituzionali cui sta lavorando il ministro Quagliariello, perché “questa è una modifica sulla quale siamo tutti d’accordo, sul resto ci sarà molto da discutere”. Insieme servirà “un disegno di legge o un decreto per scrivere le nuove regole, anche questo da presentare prima della pausa estiva”. E aggiunge: “Naturalmente ci confronteremo con le Province non solo sui dipendenti, ma anche sui patrimoni e sulla fiscalità. Chi meglio di loro conosce i problemi? Il vero nodo da sciogliere, però, riguarda le funzioni”. Un capolavoro di protervia e di diritto “creativo”. Da un lato, il Governo afferma di voler ascoltare le province e tenere conto della sentenza con cui la Corte costituzionale deve pronunciarsi circa la (sicura) illegittimità costituzionale delle scellerate manovre di riduzione delle province, attivate da Patroni Griffi (un fallimento assoluto, naturalmente premiato col posto di Sottosegretario alla presidenza del consiglio); dall’altro, però, afferma che andrà avanti lo stesso. Dunque, nella realtà del parere delle province e della sentenza della Consulta, il Governo o Delrio non sanno che farsene. Troppo grossa l’occasione di diventare celebri: “fame”. Delrio, infatti, mica può essere il “ministro delle cose inutili”! Chi non aspirerebbe, in effetti, a far scrivere sul proprio epitaffio: “abolì le province”. Perché, secondo Delrio, abolire le province è, evidentemente, una cosa utile. Ma non ha mai spiegato perché. Anzi, in precedenti (coerentissime) dichiarazioni, ha detto che l’ente di area vasta, intermedio tra regioni e province deve esserci! Come in Germania, ove sono presenti 100 città metropolitane. Fa niente se in Germania sono vive e vegete e prosperano le province, cioè i landkreis, come in tutta Europa, unica eccezione (se si escludono Nazioni non grandissime come Andorra, Liechtenstein e Città del Vaticano) è Cipro. Proprio un’ottima pietra di paragone. Comunque, il mantra è abolire. I mantra e gli slogan sono cose semplici, da vendere facilmente al popolo. Ma, a forza di semplificare “involgarendo” il inguaggio, i populisti a buon mercato pensano anche si semplificare l’ordinamento ed il diritto. Delrio non si fa alcun ritegno (e dire che è stato sin qui sindaco…) di affermare che per eliminare le province basti cancellare la parola dall’articolo 114 della Costituzione. Insomma, un tratto di penna, uno schiocco di dita e .. puff! Province, via! Nemmeno uno studentello imberbe alle prime armi di giurisprudenza potrebbe pensare davvero ad una cosa simile. Ed infatti, Delrio chiude la non poco contorta dichiarazione con un lampo di lucidità affermando che occorre “confontarsi” sui patrimoni e la fiscalità. Confontarsi? Come se fosse una negoziazione tra Stato e province, come se fosse, insomma, una questione tra enti, privata. Il patrimonio e la fiscalità sono il problema immenso, che rende velleitaria ogni abolizione delle province, se non li si affronta non alla luce di un “confronto”, ma con approfondimenti tecnici molto seri. Le province hanno un patrimonio immenso: strade, scuole in particolare. Poiché Delrio ancora pensa che parte delle funzioni possano andare ai comuni (in barba all’esigenza dell’ente di area vasta…), come si può immaginare di frazionare il patrimonio di poco più di 100 enti tra quello di oltre 8000 enti? E’ così che si immagina di “razionalizzare” l’ordinamento, violando ogni elementare principio di economia di scala? In quanto alla fiscalità, la cosa è ancora più complicata: le province spendono 11 miliardi (contro i 79 dei comuni) ed, ovviamente, traggono dalla finanza locale, oltre che da trasferimenti – quasi azzerati – statali il loro finanziamento. Anche in questo caso, ripartire i finanziamenti di 100 tra 8000 è solo velleitario, insensato, contrario a qualsiasi regola economica. Ma, oltre alla finanza, c’è anche il problema del patto di stabilità: quanto le regioni ed i comuni saranno contenti di accollarsi il carico di 500 milioni di debiti delle province e la spesa in conto capitale di quasi 4 miliardi, se non si rivede completamente il sistema del patto, che come è noto penalizza moltissimo proprio la spesa di investimento e il gravame dei debiti? Un delirio, quello di Delrio. Una cosa comica, se non fosse tragica, immaginare che un tratto di penna modifica l’ordinamento, o abolire le province sostanzialmente impegnativo quanto chiudere una tabaccheria. Meno male che il Ministro ammette che sarà necessario un processo graduale… Ma, mentre il Carneade con l’occasione d’oro della celebrità fa strame del diritto e dell’organizzazione, dal Governo un’altra voce sostiene che occorre potenziare i centri per l’impiego. E’ il sottosegretario Dell’Aringa, che si esprime in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore il 26 maggio afferma: a)                  occorre potenziare i centri per l’impiego, assegnando loro un quantitativo di personale tale da poterli fare competere con le forze degli analoghi uffici europei (in Germania vi sono 7 volte tanto dipendenti, ad esempio), utilizzando la mobilità volontaria dei dipendenti, in conseguenza della spending review operante presso le amministrazioni centrali; b)                 occorre utilizzare anche personale provinciale (56.000 dipendenti) visto che le province, con le risorse ridotte al lumicino stanno per chiudere. Peccato che il sottosegretario non è stato evidentemente chiaro nell’intervista. E sì, perché i centri per l’impiego sono uffici delle province, mica amministrazioni autonome. Trasferire i dipendenti statali ai centri per l’impiego, a oggi, così come (giustamente) potenziarli, significa, allora, voler potenziare le province. D’altro canto, immaginare di potenziare uffici delle province, col trasferimento di personale delle province (ipotesi b) di Dell’Aringa) è solo dadaismo. Oltre tutto, dei 56000 dipendenti provinciali, una buona metà con i centri per l’impiego avrebbero poco a che spartire: sono moltissimi, nelle province, gli operai, i tecnici, gli ecologi, i geometri, gli urbanisti, nonché le guardie di polizia provinciale (talvolta identificati con i “forestali”). Lo capirebbe chiunque che non sono professionalità di alcuna utilità per le funzioni legate al mercato del lavoro. Le idee di Dell’Aringa, combinate con quelle di Delrio sono ottima (tragica) testimonianza del caos inestricabile che deriverebbe dall’abolizione delle province, così come la stanno pensando i membri del Governo: una pura e semplice operazione di captazione di consenso del popolo, senza alcun ragionamento serio, né dell’utilità, né del rapporto costo benefici. E, ciliegina sulla torta, un terzo componente del Governo, il Ministro dell’istruzione, Carrozza, che ogni giorno minaccia di dimettersi (restando saldamente assisa alla poltrona) se non otterrà maggiori fondi per l’edilizia scolastica. Altro segnale di caos: l’edilizia scolastica non è competenza del Ministero dell’istruzione, ma per le scuole fino alle medie è competenza dei comuni, mentre per le superiori sono competenti… tiriamo a indovinare? Le province. Dunque, i soldi occorrerebbe darli al famoso ente moribondo. Ma, se non si danno alle province, a chi? E’ pur vero che le province, per quanto costituiscano il più antico ente amministrativo italiano, possono sicuramente essere abolite. Ma, contrariamente a quanto spacciano Delrio e altri soldati del populismo, esse gestiscono fondamentali funzioni, solo per restare a Dell’Aringa e Carrozza, lavoro ed istruzione. Ecco, appare assurdo non tanto che si voglia abolire le province, ma che si proceda a testa bassa, ignorando i fondamentali del diritto e dell’organizzazione, senza curarsi di determinare – ben prima che le province si aboliscano – quale ente dovrebbe subentrare loro, sulla base di quale riforma non solo ordinamentale, ma anche di finanza locale, del patto di stabilità, di contabilità e sulla base di quale processo di successione nella titolarità nelle centinaia di migliaia di rapporti contrattuali. Ecco perché l’intento di abolire le province desta preoccupazione. Non tanto e non solo perché si fa carne da macello di enti che, alla fine, incidono nella spesa dello Stato solo per l’1,37% e per risparmiare i costi della politica (non più di 200 milioni tra gettoni e indennità per presidenti, assessori e amministratori, nonché loro segreterie e dirigenti cooptati), meno dello 0,0000024. Auguri.

Luigi Oliveri

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