Contribuente sotto verifica fiscale: attendendo le sezioni unite della Cassazione!

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L’art. 12 della legge n. 212/2000 disciplina i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifica fiscale, la quale è ontologicamente attività preparatoria del futuro provvedimento definitivo di accertamento tributario, e il pvc di chiusura delle operazioni di verifica è un atto interno al più vasto e complesso procedimento di accertamento, solo al termine del quale viene emesso l’atto impositivo che va ad incidere la posizione giuridica soggettiva del cittadino.

È da ritenere che sia stato attribuito un diritto tutte le volte in cui la norma conferisce uno specifico potere al soggetto sottoposto a verifica.

Attribuiscono diritti le disposizioni contenute nei commi 2, 3, 6 e 7, rispettivamente in tema: a) di informazione del contribuente su taluni aspetti che attengono alla verifica; b) di richiesta del contribuente volta ad ottenere che l’ispezione documentale sia effettuata al di fuori dei locali di cui ha la disponibilità, e precisamente nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta; c) di possibilità di rivolgersi al garante del contribuente in caso di verifica svolta con modalità non conformi alla legge; d) di comunicazioni e di osservazioni e richieste del contribuente dopo la chiusura delle operazioni di verifica”.

Le garanzie, invece, comportano restrizioni all’esercizio dei poteri istruttori da parte degli Organi di controllo.

I limiti all’area di operatività di tali organi, in sede di verifica fiscale, costituiscono altrettante garanzie per il contribuente circa il rispetto del principio del buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 della Costituzione e delle esigenze di equilibrio degli interessi dell’organo di controllo e del soggetto verificato nel contesto di un rapporto tra soggetto attivo e soggetto passivo della obbligazione tributaria improntato al principio della collaborazione e della buona fede ex art. 10 dello Statuto.

Tali limitazioni trovano la loro disciplina nei commi 1, 4 e 5 dell’art. 12 e attengono alle esigenze che giustificano la verifica, alle modalità e ai tempi di svolgimento della stessa nonché alla redazione del processo verbale delle operazioni di verifica”.

L’attività istruttoria degli Uffici impositori è direttamente strumentale alla emissione dell’atto finale del procedimento amministrativo di accertamento, e tale strumentalità pone il problema della refluenza della violazione delle disposizioni dell’art. 12 sulla validità dell’avviso di accertamento che dovesse fondarsi sul risultato della verifica fiscale.

Ebbene, se le disposizioni dell’art. 12 dello Statuto del contribuente non prevedono espressamente, come nel nostro caso, la sanzione della nullità, ciò non significa sic et simpliciter che la violazione non sia produttiva di conseguenze negative con riguardo all’atto di accertamento.

Sarà compito dell’interprete chiedersi se la violazione sia suscettibile o meno di produrre effetti sull’atto finale del procedimento di accertamento, quali siano tali effetti e quali forme di tutela l’ordinamento appronti al contribuente”.

Si pensi ad esempio alla cartella di pagamento che non indichi il nome del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione. Questa cartella è nulla in base ai principi generali dell’ordinamento, senza bisogno di una norma specifica che commini una tale nullità : per convincersene basta leggere l’art. 4ter del decreto legge 31.12.2007 n. 248, convertito nella legge 28.2.2008 n. 31, dal quale emerge chiaramente come che il legislatore sia stato costretto a sancire, per tirar fuori l’amministrazione dai guai in cui si era cacciata, che la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima del 1.6.2008 “non è causa di nullità” delle stesse.

Mentre normalmente- si dice da parte di autorevole dottrina- le norme fiscali impongono, nell’interesse pubblico generale, obblighi a carico del contribuente, la cui violazione è punita con l’irrogazione di sanzioni, le disposizioni dello “Statuto”, e in particolare quelle contenute nell’art. 12, impongono, nell’interesse del contribuente, precisi comportamenti a carico dell’Ufficio impositore con la conseguente possibilità per il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, in caso di violazione, di rivolgersi al giudice affinché sanzioni l’operato della amministrazione finanziaria”.

Ora, il comma 7 dell’art. 12 chiude la categoria dei diritti del contribuente sottoposto a verifica fiscale, attribuendo al soggetto verificato il diritto di comunicare all’Ufficio impositore osservazioni e richieste entro 60 giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura dell’attività di verifica.

La norma prevede, in aggiunta a ben noti istituti, come quello della procedura di accertamento con adesione, “una ulteriore forma di contraddittorio necessario nella fase istruttoria che precede la conclusione del procedimento di accertamento” : un contraddittorio “differito (rispetto alla verifica) o “anticipato” ( rispetto all’emissione dell’atto finale), un contraddittorio, per così dire, “preventivo” da svolgere subito dopo il pvc e prima della emissione dell’atto di accertamento, e cioè prima che sopravvenga il provvedimento che va ad incidere la posizione giuridica soggettiva del contribuente, il quale ha il diritto (soggettivo) di formulare osservazioni sulla verifica, che, se violato, va in una qualche forma risarcito o reintegrato.

Ragion per cui la norma stabilisce che l’Ufficio impositore, prima della scadenza del termine di 60 giorni concesso al contribuente per presentare osservazioni e richieste, non può emettere “l’avviso di accertamento”.

Se il comma 4 dell’art. 12 dello “Statuto” attribuisce al contribuente la garanzia che le osservazioni da lui fatte in corso di verifica siano verbalizzate, senza che ciò vada a limitare l’opera dei verificatori, i quali sono solamente tenuti ad annotare nei processi verbali giornalieri e in quello finale di chiusura i rilievi tecnico-fiscali mossi dal verificato, non v’è dubbio che il comma 7 dell’art. 12 ha avvertito la necessità di introdurre, con norma di rango primario, una vera e propria fase di contraddittorio post verifica, espressione del principio di collaborazione come codificato nel precedente art. 10.

Il contraddittorio post verifica reso dalla norma obbligatorio per l’amministrazione, qualora il contribuente lo instauri, e che costituisce una delle maggiori novità endoprocedimentali, della complessa operazione di accertamento, in favore del contribuente, assume valenza di condizione di procedibilità per la successiva emanazione dell’atto impositivo finale che va ad incidere sulla sfera patrimoniale del contribuente.

Consegue che l’inosservanza da parte dell’amministrazione del termine dei 60 giorni, riservati obbligatoriamente all’esercizio del diritto di contraddittorio che il verificato volesse instaurare in una fase precontenziosa, cioè pregiurisdizionale, non può andare esente da sanzione perché il comportamento dell’amministrazione viola direttamente non solo il comma 7 dell’art. 12 della legge 212/2000, che il legislatore ha qualificato come attuativa di principi costituzionali, attribuendo ad essa particolare autorevolezza specie con riferimento all’ampliamento dei diritti fondamentali di partecipazione del cittadino-contribuente, ma anche la stessa norma costituzionale sul diritto al contraddittorio : il contraddittorio pregiurisdizionale post verifica discende direttamente dagli artt. 97 e 24 della Costituzione che, come ogni altra norma costituzionale non puramente programmatica, il giudice di merito è tenuto a far rispettare e la cui violazione non può essere considerata, in mancanza di una specifica norma di legge ordinaria che ne commini la sanzione, tamquam non esset : non aderiamo all’indirizzo della Corte Costituzionale espresso da ultimo nella sentenza 244/2009, ove è stata rilevata l’inconferenza dell’ artt. 24 Cost. quale parametro di costituzionalità della norma del’art. 12 comma 7 legge 212/2000, che, essendo diretta a regolare il procedimento di accertamento tributario, non avrebbe natura processuale.

Il comma 7 dell’art. 12 dello “Statuto”attribuisce al cittadino-contribuente il diritto di comunicare all’Ufficio accertatore osservazioni e richieste in ordine alla verifica svolta, da esercitare entro 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione, cui corrisponde l’obbligo dell’amministrazione di valutare i rilievi così formulati, anche, se del caso, facendo ritornare, nella sede del soggetto controllato, i verificatori per esaminare le osservazioni presentate e le richieste avanzate dal contribuente : l’Ufficio accertatore non può violare questo suo obbligo strumentale alla soddisfazione di un diritto soggettivo del contribuente a mezzo della instaurazione del contraddittorio post verifica, senza conculcare lo stesso diritto del contribuente, la cui violazione non può rimanere senza esito sanzionatorio.

La violazione dello specifico diritto del contribuente deve necessariamente produrre una conseguenza negativa per l’amministrazione autrice del fatto “illecito”, che si estrinseca nella nullità dell’avviso di accertamento emesso contra ius, e cioè, nel caso di specie, appena 20 giorni dopo la notifica del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica.

Il comma 7 dell’art. 12 delle legge 212/2000 impone agli Uffici accertatori un temporaneo, ma tassativo, divieto a procedere al fine di garantire al contribuente il diritto di partecipare all’accertamento tributario, attraverso l’instaurazione del contraddittorio post verifica, disponendo, per il rispetto del divieto, una temporanea sospensione del potere impositivo.

La conseguenza della violazione della norma da parte dell’Ufficio è l’illiceità del comportamento della PA e l’invalidità dell’atto di accertamento per carenza di potere, che non consente all’Autorità investita ( in via ordinaria del potere impositivo) di esprimere un atto giuridicamente valido : di qui la nullità dell’atto emanato contra ius.

Si verifica, quindi, l’ipotesi della c.d. carenza di potere in concreto, nel senso che il potere di fatto esercitato dalla A.F. effettivamente risulta da un punto di vista normativo attribuito alla stessa, ma il suo esercizio è stato effettuato in difetto dei particolari presupposti e circostanze previsti dalla norma del comma 7 dell’art. 12, e cioè è stato esercitato in presenza di difetti radicali che rendono nullo l’atto emesso in violazione della detta norma.

Si esprime, in buona sostanza, lo stesso concetto sopra formulato dicendo che il comma 7 dell’art. 12 legge 212/2000 vincola l’amministrazione ad un comportamento fattuale di temporanea inattività accertativa, nel quale il contribuente confida ope legis e la cui omissione giustifica tout court l’inesigibilità della prestazione tributaria.

Giova qui ricordare che, con riferimento alla rideterminazione dei ricavi d‘impresa utilizzando gli studi di settore, l’orientamento della Suprema Corte è nel senso che gli studi di settore previsti dall’art. 62bis del DL 30.8.1993, data la natura di atti amministrativi generali di organizzazione, non possono essere considerati sufficienti perché l’Ufficio operi l’accertamento di un rapporto tributario di specie ultima, senza che l’attività istruttoria amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi del comma 7 dell’art. 12 dello “Statuto”, di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, al fine di vincere la mera “praesumptio hominis” costituita dagli studi di settore : di qui l’illegittimità di un accertamento in rettifica che prescinda dal processo verbale di constatazione (Cass. n. 13995 del 27.9.2002, n. 9946 del 23.6.2003, n. 9135 del 3.5.2005, n. 17229 del 28.7.2006 ).

In altri termini, dalle citate sentenze si può dedurre che l’orientamento della Cassazione è nel senso che nella fase procedimentale amministrativa, che va dalla presentazione della dichiarazione tributaria all’emissione dell’avviso di accertamento allo spirare del “termine a difesa” stabilito dal comma 7 dell’art. 12 succitato, deve garantirsi lo svolgimento del contraddittorio post verifica, consentendo al contribuente di intervenire a “dire la sua” già prima di adire, eventualmente, il giudice tributario.

Ma c’è anche di più.

L’atto emesso in violazione del comma 7 dell’art. 12 della legge 212/2000 non solo è nullo ma è anche giuridicamente inesistente.

Emerge dalle norme che il provvedimento conclusivo del procedimento d’imposizione, cioè l’atto di accertamento, si configura come l’atto finale di una fattispecie complessa, a formazione successiva, composta : a) da una fase endoprocedimentale preliminare direttamente strumentale alla decisione finale, che è la verifica fiscale, col relativo atto conclusivo rappresentato dal pvc; b) da una fase endoprocedimentale intermedia, che è la pausa operativa, ex art. 12 c.7 legge 212/2000, di 60 giorni concessi al contribuente per l’esercizio del suo diritto, sintonizzato con i principi espressi dagli artt. 23 e 14 della Costituzione, alla instaurazione di un contraddittorio post verifica con l’A.F., durante la quale c’è sospensione del potere accertativo; c) dalla fase conclusiva del procedimento durante la quale si ha l’emanazione dell’atto finale di accertamento : quest’ultimo viene ad esistenza giuridica solamente dopo il compimento di tutte le sue varie fasi costitutive.

Qui non si tratta di vizi del procedimento che ha preceduto l’atto di accertamento, vizi riguardanti la legittimità dell’atto stesso, ma si tratta della nullità/inesistenza dell’atto finale perchè non realizzato nei suoi elementi essenziali e costitutivi per incompletezza della fattispecie : la sopravvenuta norma dell’art. 21 septies della legge 11.2.2005 n. 15, di riforma della legge fondamentale sul procedimento amministrativo n. 241/90, sancisce la nullità/inesistenza del provvedimento amministrativo che manchi degli elementi essenziali necessari ex lege per la sua giuridica esistenza, tra i quali devesi, a parere nostro, far rientrare la completezza della fattispecie, anche perché, come afferma autorevole dottrina, il legislatore, canonizzando la nullità dell’atto, non ha chiarito quali siano, poi, questi elementi essenziali.

Secondo giurisprudenza consolidata il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente, tra l’altro, ove manchi dei connotati essenziali dell’atto amministrativo necessari ex lege a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell’autorità procedente, ovvero il difetto di forma, della volontà e dell’oggetto, mentre non può parlarsi di inesistenza dell’atto allorché si discuta unicamente dei vizi del procedimento che lo ha preceduto, in ciò risolvendosi la mancata corrispondenza del concreto procedimento, e cioè delle modalità di esercizio del potere da parte dell’amministrazione, al relativo paradigma normativo (ex multis C. d. S. n. 948/1999, e da ultimo C. d. S. n. 6023/2005 ).

Ora, sotto il profilo che si sta esaminando si verifica l’ ipotesi della c.d. carenza di potere in astratto, nel senso che non può dirsi venuto ad esistenza alcun provvedimento fiscale perché nessun potere può dirsi esercitato, nemmeno di fatto : qui non ci troviamo di fronte ad un potere di fatto scorrettamente esercitato, ma di fronte all’inesistenza di qualsiasi potere accertativo in capo all’amministrazione, per aver questa emanato un avviso di accertamento in violazione di norme di relazione attributive del potere impositivo, in violazione cioè di norme come quella del comma 7 dell’art. 12 dello “Statuto”, il quale nel momento stesso in cui dispone la sospensione del potere di accertamento lo riattribuisce scaduto il termine dei 60 giorni, configurandosi sotto questo aspetto norma di relazione attributiva del potere impositivo, e, con ciò, in violazione di norme come quelle degli articoli 39 e 40 del DPR 600/73, che conferiscono all’A.F. il potere di accertamento in rettifica delle dichiarazioni Irpeg, e dell’art. 54 del DPR 633/72 che conferisce all’Ufficio il potere di rettifica delle dichiarazioni annuali Iva.

Questa situazione è ben diversa da quella, avanti esaminata, che si verifica nell’ipotesi di violazione di norme di azione che disciplinano le modalità dell’esercizio del potere in concreto, nel qual caso il potere non manca totalmente e l’atto emanato è semplicemente nullo e non anche inesistente.

In buona sostanza il comma 7 dell’art. 12 della legge 212/2000 ( fermo restando che, considerato con riguardo al contribuente, conferisce a questi un diritto soggettivo di partecipazione all’accertamento attraverso l’instaurazione del contraddittorio “preventivo”) viene in gioco, nei riguardi dell’amministrazione finanziaria, sotto due diversi profili : 1) sotto un primo aspetto rileva come norma di azione che disciplina le modalità di esercizio del potere in concreto, e la sua violazione produce la nullità dell’avviso di accertamento invalidamente emesso; 2) sotto un secondo aspetto rileva come norma di relazione attributiva di poteri e facoltà all’A.F., e la sua violazione produce nullità radicale, o inesistenza, dell’atto emesso in assenza di potere.

La PA, che in concreto deve agire in vista del perseguimento dell’interesse pubblico, il quale costituisce la ragione stessa dell’attribuzione del potere, in teoria potrebbe essere lasciata “libera”di scegliere le modalità di azione ritenute più consone nei singoli casi : tuttavia così non avviene perché alla bisogna sovvengono le cd norme di azione che disciplinano l’attività amministrativa e si distinguono dalle norme di relazione che, invece, risolvono conflitti intersoggettivi sul piano dell’ordinamento generale o conferiscono poteri e facoltà alla P.A.

Si conclude dicendo che se per un verso l’avviso di accertamento, quando non reca la sottoscrizione, la motivazione, l’indicazione degli imponibili accertati,delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, è nullo, ai sensi art. 42 Dpr 600/73, perchè contiene vizi che ineriscono alla sua funzione obiettivo, che è quella della esatta determinazione dell’an e del quantum dell’obbligazione tributaria, per altro verso l’avviso di accertamento, quale atto conclusivo del complesso procedimento di accertamento, in cui sono espresse le risultanze di fatto e di diritto dell’intera istruttoria, quando non siano stati realizzati tutti i suoi elementi strutturali costitutivi, è da ritenersi radicalmente nullo o inesistente: nel caso di specie, non si è realizzata la fase sospensiva dell’attività accertativa e, quindi, non si è potuto instaurare il contraddittorio post verifica ex comma 7 dell’art. 12 dello Statuto del contribuente, con conseguente lesione di un diritto fondamentale del contribuente.

Sicché, in definitiva, l’atto di accertamento può dirsi giuridicamente esistente e legittimamente emanato solo se posto in essere dopo lo spirare del termine di cui al comma 7 dell’art. 12 dello “Statuto”.

E’ a questo punto opportuno aggiungere che la Cassazione con la sentenza n. 18906 del 16.9.2001 ha stabilito che è nullo l’avviso di accertamento emesso prima di 60 giorni dalla conclusione delle indagini, evidenziando che la nullità deve trovare applicazione anche nei casi in cui non sia stata svolta dall’amministrazione una vera e propria attività di verifica presso il contribuente, ma solo un mero reperimento di documenti fiscali ( anche a mezzo questionario, ndr) stante la mancanza di distinzioni in tal senso da parte della normativa.

Quindi il divieto di emanare atti impositivi, anche sotto forma di cartella esattoriale non preceduta dalla notifica dell’avviso di accertamento, prima di 60 giorni (a decorrere nella detta ipotesi dalla data di conclusione delle indagini risultanti da apposito PVC da notificare al contribuente) trova applicazione qualunque sia l’attività di controllo svolta dagli organi finanziari.

E, nonostante la rimessione (con ordinanza 11 maggio 2012 n. 7318 ) degli atti alle Sezioni unite per dirimere il contrasto giurisprudenziale sul punto del comma 7 dell’art. 12 citato, la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 16999 del 5 ottobre 2012 ha comminato ancora una volta la sanzione della nullità di avviso di accertamento emanato in violazione della succitata norma ai sensi degli articoli 7, c.1, legge 212/2000 e 3 e 21septies legge 241/1990 e successive modifiche.

Precisa la sentenza che l’invalidità dell’atto amministrativo non è preclusa se il contribuente abbia già presentato osservazioni poiché, ai sensi dell’art. 12, c.7, S.c., solo lo spirare del termine ivi previsto consuma la facoltà di esporre osservazioni e richieste all’Ufficio impositore.

N0n aderiamo, pertanto, alla Cassazione 21103 del 13 ottobre 2011 secondo cui la notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di 60 giorni, dalla conclusione della verifica fiscale, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge 27.7.2000 n. 212, non ne determina in assoluto la nullità attesa la natura vincolata dell’atto rispetto al PVC sul quale si fonda : il PVC va criticamente esaminato dall’Organo accertatore e non acriticamente recepito, ex se, nell’atto di accertamento secondo la migliore dottrina sul tema; ragion per cui non costituisce un atto contenutisticamente vincolato.

Non possono non essere, infine, qui richiamati i principi di diritto comunitario in subiecta materia racchiusi nella elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia CE. e nell’art. 41 della Carta Europea dei diritti fondamentali.

La regola del contraddittorio post chiusura indagini (e prima della emissione dell’atto incidente sulle posizioni di diritto soggettivo del contribuente) si inserisce nel quadro del principio costituzionale del diritto di difesa, il quale mira a garantire non soltanto l’uguaglianza delle parti ma, soprattutto, ad assicurare al cittadino la possibilità di far valere le proprie ragioni e di conoscere le opposte argomentazioni. Il principio, all’interno dei procedimenti tributari italiani, trova la sua fonte nella giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE, sentenza Sopropé (C-349/07). La pronuncia muove dall’affermazione che il diritto di difesa, in quanto principio generale del diritto comunitario, deve trovare applicazione ogni volta che l’Amministrazione si proponga di adottare un atto capace di produrre effetti rilevanti nella sfera giuridica del destinatario. In forza di tale principio, «i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente».

E corollario del diritto del contribuente a contraddire in via preventiva rispetto all’emissione dell’atto impositivo è, dunque, il dovere per l’Amministrazione procedente di motivare l’atto impositivo emanato, anche alla luce delle osservazioni presentate dal contribuente. “La regola secondo cui il destinatario di una decisione a lui lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata ha lo scopo di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a queste ultime di correggere un errore o di far valere elementi relativi alla loro situazione personale, tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro”. (Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropé, punto 49).

Dal canto suo l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 (recepita a rango di principio di diritto primario comunitario con l’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea del dicembre 2009) riguardante il diritto ad una buona amministrazione, stabilisce < 1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione. 2. Tale diritto comprende in particolare: a) il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio, b) il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, c) l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

Il diritto soggettivo del contribuente “ad essere ascoltato” dal Fisco, in definitiva, vive nell’ordinamento per effetto dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea del 2000, per effetto dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente ex legge 212/2000, nonché per effetto dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE.

 

Giuseppe Alfano

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