La nuova disciplina della deduzione delle perdite su crediti: analisi e dubbi interpretativi

Mirco Gazzera 10/05/13
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Con l’avvicinarsi della campagna dichiarativa, per i soggetti con partita iva vengono alla luce una serie di problematiche interpretative, legate alle novità introdotte lo scorso anno in tema di reddito d’impresa. Fra queste una di quelle che assume maggiore rilievo è rappresentata dalla nuova disciplina in tema di deduzione delle perdite su crediti.

La situazione di gravissima crisi economica e l’incapacità delle imprese di incassare i loro crediti ha spinto il Legislatore, con il Decreto Legge numero 83 del 2012 (convertito con modificazioni dalla Legge numero 134 del 2012), a riscrivere il quinto comma dell’articolo 101 del TUIR. Il presente intervento è dedicato a descrivere la nuova disciplina introdotta e a porre in risalto i dubbi interpretativi legati alla stessa.

La regola generale per la deducibilità delle perdite su crediti

Il presupposto generale per la deduzione delle perdite su crediti è rimasto inalterato: la presenza di “elementi certi e precisi”. Tali elementi, secondo la dottrina e la giurisprudenza, sussistono quando il creditore fornisce la prova di aver infruttuosamente tentato di riscuotere il proprio credito. Il presupposto si considera esistente, tuttavia, anche in presenza di un comportamento volontario del creditore volto a rinunciare, in tutto o in parte, al proprio diritto di credito (si pensi, alla remissione del debito o ad una transazione).

I casi tipizzati dalla norma

Passando ai casi tipizzati dalla norma, i quali legittimano il creditore alla deduzione della perdita su crediti, sono state introdotte due nuove fattispecie. Esse si sono affiancate alle ipotesi già previste dalla precedente formulazione della disposizione relative ai crediti vantati verso debitori oggetto di una procedura concorsuale.

Crediti relativi a debitori assoggettati a procedure concorsuali

La disposizione riproduce quanto già previsto prima dell’intervento del Decreto Legge numero 83 del 2012. Il creditore è legittimato a dedurre la perdita relativa a crediti vantati verso debitori assoggettati a procedure concorsuali. Il momento dal quale sorge il diritto alla deduzione è il seguente:

– fallimento: sentenza dichiarativa di fallimento

– liquidazione coatta amministrativa: provvedimento di apertura della procedura

– concordato preventivo: decreto di ammissione

– amministrazione straordinaria: decreto di ammissione

Crediti oggetto di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato

Questa rappresenta una novità che è stata introdotta dal decreto legge numero 83/2012. La novella rappresenta un “adeguamento” del TUIR al nuovo istituto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (Art. 182 bis) previsto dalla riforma fallimentare. In sintesi, l’articolo 101 permette di dedurre la perdita su crediti derivante dallo stralcio del credito, totale o parziale, effettuato nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti. E’ importante precisare che la deduzione è subordinata all’omologazione, da parte del Tribunale, dell’accordo di ristrutturazione raggiunto.

Crediti di modesta entità e scaduti da almeno 6 mesi o prescritti

L’ultima fattispecie prevista è certamente la novità di maggiore rilevanza e quella che pone i maggiori dubbi interpretativi. La nuova disciplina permette la deduzione delle perdite relative a crediti insoluti di modesto ammontare, per i quali l’esercizio di un’azione di recupero risulterebbe anti economica.

La disposizione richiede la sussistenza, in particolare, di due requisiti per la deduzione della perdita su crediti:

– l’ammontare del credito non deve essere superiore a 5.000, per le imprese di dimensioni rilevanti con volume d’affari non inferiore a 100 milioni di Euro, o a 2.500 Euro per le altre imprese;

– il credito deve essere scaduto da almeno 6 mesi o risultare prescritto in base alla disciplina civilistica.

I problemi interpretativi aperti

La disciplina appena descritta, con riguardo alla deducibilità delle perdite sui crediti di modesto ammontare, pone una serie di questioni interpretative ad oggi rimaste irrisolte. In particolare, non è stato chiarito:

– se i crediti che abbiano maturato i requisiti per la deducibilità in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disposizione possano essere stralciati e generare una perdita su crediti deducibile;

– la rilevanza del trattamento civilistico operato: la deducibilità fiscale della perdita su crediti deve considerarsi subordinata alla sussistenza dei requisiti civilistici per operare lo stralcio del credito dal bilancio o è sufficiente, per esempio, la ricorrenza dei presupposti per un accantonamento civilistico al fondo svalutazione crediti?. In quest’ultimo caso si verificherebbe un disallineamento fra piano civilistico e fiscale, con la conseguenza che il credito sarebbe stralciato fiscalmente, ma ancora sussistente a livello civilistico. Per tale motivo, un’eventuale successiva riscossione “inaspettata” del credito, totale o parziale, genererebbe una sopravvenienza attiva imponibile dal punto di vista fiscale;

– l’importo da confrontare con il limite previsto: il confronto con il “tetto” di 5.000 o 2.500 Euro deve riguardare la singola fattura o l’intera posizione creditoria insoluta verso il debitore?. La formulazione della disposizione farebbe propendere per la prima soluzione. L’esistenza di numerose fatture insolute verso il medesimo debitore, tuttavia, potrebbe far venire meno l’elemento dell’anti economicità dell’azione di recupero che rappresenta la finalità della norma introdotta.

Mirco Gazzera

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