Bioetica. Di nuovo problemi in materia di fecondazione eterologa

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Fecondazione eterologa. L’attuale stallo della consulta.

Il tribunale civile milanese, con la propria ordinanza depositata il giorno 29 dello scorso mese, ha invitato la Consulta ad esprimersi circa la conformità della legge 40 del 2004 ai princìpi della nostra Costituzione. Il pronunciamento viene sollecitato a proposito del divieto, previsto dalla normativa in oggetto, di fecondazione assistita eterologa. Attualmente, infatti, non è consentito, alle coppie con problemi di fertilità, il ricorso alla fecondazione artificiale tramite ovuli o spermatozoi esterni ai coniugi. La proibizione su citata violerebbe, secondo i giudici milanesi e secondo altri non pochi esegeti, alcuni princìpi fondamentali della nostra Carta costituzionale. In particolare, lederebbe quello dell’eguaglianza tra i cittadini ( in tal caso, parlerebbesi di uguaglianza tra coppie ), oltre che quello del diritto alla salute, nonché lo stesso diritto all’autodeterminazione dell’individuo.

In realtà, non ci troviamo affatto davanti ad una questione del tutto nuova. La Corte Costituzionale, come molti ricorderanno, era già stata più volte investita del compito di pronunciarsi in merito a situazioni di questo tipo; ma, dopo la decisione della Grande Chambre della Corte dei diritti dell’Uomo di avallare il divieto di fecondazione artificiale eterologa, i giudici della Consulta avevano aggirato il loro imbarazzo, rinviando i relativi pronunciamenti ai tribunali ordinari, che avrebbero dovuto emanare le proprie sentenze in materia, ispirandosi al dettame europeo. Con l’ordinanaza 150 del 2012, i magistrati costituzionali avevano dunque girato ai giudici di merito il compito di conformarsi alla Convenzione ed alla giurisprudenza di Strasburgo, consentendo loro di chiamare in causa la Consulta solamente quando l’impresa avesse dovuto risultare troppo ardua, o addirittura impossibile.

Cosa dicono, in realtà, a Strasburgo?

La prima sentenza in materia fu resa, a Strasburgo, il 1° aprile 2010 (n.57813/00). Questa, rivedendo e correggendo alcune precedenti posizioni europee, aveva ribadito il valore dell’articolo 8 della “ Convenzione sul diritto alla vita familiare “. In quell’occasione, la Cedu sancì la libertà per gli Stati membri di prevedere o meno la procreazione medicalmente assistita. Venne esclusa, però, la sola possibilità di vietare la fecondazione artificiale eterologa, poiché tale proibizione avrebbe messo in atto una disparità di trattamento tra coppie afflitte da uno stesso problema. Contro quella decisione, però, l’Austria presentò ricorso alla Grande Chambre, e lo fece con indubbio successo. La Cedu, in composizione collegiale, ribaltò dunque la sua precedente decisione, concedendo ai Governi nazionali un ampio margine di discrezionalità nel legiferare in questo campo, anche vietando ai propri cittadini, qualora il legislatore lo ritenesse opportuno, la fecondazione eterologa. Il suddetto cambio radicale di traiettoria da parte della Cedu venne unicamente mitigato dall’invito dell’Unione, per ogni suo Stato, a considerare con costanza, nel proprio adeguamento normativo, l’evoluzione scientifica.

Il dibattito rimane acceso

L’ordinanza dello scorso 29 marzo, emessa dal tribunale civile di Milano, non ha fatto che riaprire efficacemente il dibattito bioetico su un delicato tema, il quale divide tuttora dottrina ed opinione pubblica in due distinti gruppi di opinione. Nel primo di essi confluiscono coloro che chiederebbero di non vanificare lo scopo del legislatore italiano di garantire al bambino un modello di genitorialità consolidato – individuato, in tal caso, in quello biologico tradizionale -. Al secondo gruppo appartengono, viceversa, tutti coloro che desidererebbero garantire a chiunque il diritto ad avere un figlio con ogni mezzo, compreso ovviamente quello della fecondazione artificiale eterologa.

Appare consequenzialmente ovvio, vista la non poca divergenza di opinioni in materia, e vista soprattutto la carenza di una cogente normativa europea in materia di procreazione medicalmente assistita, che la nostra Corte Costituzionale provveda, anziché defilarsi sull’argomento, ad aiutare i magistrati italiani a meglio comprendere, quantomeno, la legislazione nazionale in proposito; fornendo loro, oltretutto, la certezza della completa aderenza, o meno, della Legge 40/2004 ai giusti e vincolanti princìpi della nostra Costituzione.

Antonio Ruggeri

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