Applicazione L. 104/92, un Giano bifronte custodisce le porte di Palazzo Spada

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Qualche tempo fa leggevo in un blog di diritto che in Europa il Consiglio di Stato Italiano e quello Olandese potevano considerati afflitti da una carenza di quella terzietà che dovrebbe contraddistinguere l’amministrazione della giustizia in generale.

In particolare modo si contestava che sia in quello olandese, che in quello italiano, erano presenti contemporaneamente sezioni giurisdizionali e consultive che rendevano effettivo il pericolo che uno stesso giudice fosse chiamato all’uno e all’altro ufficio avendo prima assunto le vesti di referente o giudice per lo stesso caso o casi analoghi.

Ma, a mio parere, i problemi che affliggono il Consiglio di Stato non sono di questo natura, bensì altri e che potranno essere illustrati in un’occasione futura in forma molto più esauriente.

Quello che invece qui si vuole sottoporre all’analisi attenta dei giuristi è quanto sta accadendo nell’ultimo anno in materia di interpretazione e applicazione della legge 104 del 1992 e delle modifiche apportate dalla successiva legge 183 del 2010.

Si tratta di due leggi che afferiscono ai diritti di tutela delle persone soggette ad handicap e conseguentemente dei diritti delle persone che sono chiamate ad assisterle, in rapporto ai propri obblighi con le rispettive amministrazioni o datori di lavori.

Cosa accade dunque.

Nel 2012 e in questi primi mesi del 2013, il Consiglio di Stato, sia in sede giurisdizionale che consultiva (nei casi sollecitati dai ricorsi straordinari al PdR) nell’affrontare la spinosa questione dei trasferimenti di impiegati pubblici, per motivi legati all’assistenza di famigliari portatori di gravi handicapp, si è comportato come un Giano bifronte, nel senso che ha aperto o chiuse le porte dell’accesso al beneficio a secondo di quale sezione è stata chiamata ad interviene per derimere il caso.

In sede giurisdizionale.

La legge 104 del 1992 (Legge 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.”, pubblicata in G. U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O.) prevedeva all’art. 33 c. 5, prima dell’entrata in vigore dall’articolo 24, comma 1 della Legge 4 novembre 2010, n. 183, per la concessione dei benefici alle persone che avrebbero dovuto assistere parenti in grave stato di handicapp, dei requisiti di esclusività e continuità nell’assistenza.

Con l’avvenuta modifica legislativa sono venuti a cadere detti presupposti ed adesso l’art. 35 c. 5 della legge 104/1992 prevede, diversamente da prima, quanto segue: “ Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”.

E’ così che allora le sezioni del CdS, in sede giurisdizionale, in forza di una corretta interpretazione letterale e logica della norma, si sono uniformati su un giudicato che riconosce il trasferimento del dipendente pubblico, sia esso appartenente o non al comparto sicurezza e difesa (e vedremo più avanti il perchè di questa specificazione) ad una sede vicina alla località di residenza del parente soggetto a grave handicapp da assistere, contrariamente alle tesi delle rispettive amministrazioni che avevano denegato il beneficio stesso opponendosi.

In particolare la Sez. Quarta (in sede giurisdizionale) con la sentenza n. 04047/2012 R.P.C. e n. 03411/2012 R.R. del 09/07/2012 afferma che: “In conclusione, ragioni testuali e sistematiche inducono a considerare la novella dell’art. 24 applicabile a tutto il personale dipendente senza eccezioni: siano a quando, cioè, la legislazione attuativa richiamata dall’art. 19, non interverrà e non detterà disposizioni speciali e derogatorie, la disciplina comune in materia di assistenza ai familiari disabili potrà trovare applicazione anche per il personale delle Forze Armate, di Polizia ed ai Vigili del Fuoco.”.

In buona sostanza, nel caso oggetto della sentenza, il Ministero della Difesa eccepiva che il trasferimento non poteva essere accolto perché, seppur vero che si riconosceva l’applicazione della norma al caso di specie, la stessa doveva essere derogata in virtù della presenza nella medesima legge (183/2010) del riconoscimento della specificità delle FF AA e delle FF PP, che, a suo parere, esclude gli appartenenti al comparto dal beneficiarne.

Di parere opposto invece, alla fine, è stata la Sezione del CdS, la quale ha giustamente fatto osservare che l’art. 19 è soltanto una norma di principio generale che rinvia a decreti attuativi che finora non sono stati ancora nemmeno approntati.

Coerentemente sulla stessa linea si è mantenuta la medesima sezione con la recentissima sentenza n. 00518/2013 R. P. C. n. 03602/2011 R. R. del 28.01.2013 in cui ha riaffermato così il contenuto della precedente sentenza, in parallela sintonia con analoga sentenza della Terza Sezione del medesimo CdS : “Sulla portata di quest’ultima (ed accedendo dunque alla seconda problematica), il Collegio rileva che, dopo un iniziale orientamento in senso negativo, la Sezione ha raggiunto un indirizzo univoco nel senso della soppressione del requisito della esclusività (come anche della continuità) da parte dell’art. 24 della legge sopra citata ( in questo senso v., ad es., Cons. di Stato, sez. III, n.1293/2012, cit.).”.

In sede consultiva

Purtroppo in questa sede le cose hanno preso una deriva diversa, contraddittoria e opposta, infatti la Sezione Seconda in Adunanza del 5.12.2012 (Affare n. 0529802012) ha “rigettato” il ricorso di un militare che aveva chiesto il trasferimento a sede più agevole, ai sensi dell’art. 33 c. 5 della legge 104/1992, asserendo che: “La modifica richiamata, come introdotta dalla legge n. 183 del 2010, non è quindi idonea, in atto, a far venir meno il presupposto dell’esclusività, quale requisito per poter in concreto fruire del beneficio del trasferimento. In sostanza, le direttive militari che concernano l’applicazione della legge n. 104 del 1992 rimangono legittimi, nella parte in cui prevedono che il beneficio in questione presuppone che il dipendente interessato sia l’unica persona in grado di assistere l’handicappato con continuità, condizione questa che non è assolta quando vi sono altri famigliari in condizione di garantire l’assistenza

In buona sostanza, facendo salva l’interpretazione che esiste un rimando nell’applicazione dispositiva dell’art. 19 della legge 183/2010, la Sezione del CdS fa discendere questa sua conclusione, a parere personale errata, dal fatto secondo cui proprio perchè ancora non esistono i decreti attuativi della norma rimangono in vigore per i militari e le altre FF di PP. i precedenti presupposti di esclusività e continuità!

Ancora, contraddicendosi nella stessa logica seguita finora, afferma che in ogni caso il benefico è ancorato alle necessità di natura militare che il proprio status costringe gli appartenenti alle FF AA ed alle FF OO e che : “con riferimento agli appartenenti alle forze armate, la predetta disciplina innovativa troverà piena applicazione solo dopo l’emanazione di appositi atti legislativi che terranno conto della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali previsti dalla leggi e regolamenti…….”!

Cioè, quando saranno definiti gli ambiti di restringimento dei diritti dei militari a causa del loro status, allora sarà applicata la norma che permetterà loro di avere riconosciuto, in maniera più ampia, il diritto all’assistenza del proprio parente senza soggiacere ai presupposti di esclusività e continuità.

Questo è l’apice della contraddizione logica e dell’antiapoditticità!

Nell’Affare n. 08200/2012 del 9 gennaio 2013 la medesima Sezione giunge a negare, inizialmente, tout court, l’esistenza delle modifiche apportate dalla legge 183/2010, dando per scontato che la legge richiede assolutamente i presupposti di continuità e esclusività includendone addirittura uno innovativo di antecedenza dell’assistenza.

Nella parte conclusiva riesce perfino a ribaltare il principio delle fonti (secondo cui esiste una gerarchia delle medesime) e per cui la legge 183/2010, pur avendo introdotto rilevanti novità (che non esplicita, quale appunto l’art. 24) recede davanti al d.lgs n. 66/2010, peraltro emanato antecedentemente alla prima, proprio in relazione alle esigenze imposte dallo status militare del richiedente.

E del tutto evidente che non si tratta del naturale processo di attività giurisprudenziale ma di un vero è proprio contrasto giuridico-applicativo che va a formare e consolidare criteri e generi applicativi di notevole portata per il cittadino che si trova a dover tutelare i propri interessi legittimi e come, in questo caso, anche diritti soggettivi, riconosciuti dalla legge nella propria formulazione più lineare e fruibile possibile.

Pertanto risulta del tutto appropriata la metafora posta nel titolo, secondo cui l’accesso alla giustizia passa attraverso un immaginario Giano bifronte, che a secondo della faccia che presenta accoglie o rigetta (a fattispecie uguali) le richieste di giustizia dei cittadini, sia essi semplici dipendenti pubblici o soggetti a status limitato!

Giunge peraltro a soccorrere la tesi della legittima fruizione del beneficio degli operatori delle FF PP l’ultima circolare del Ministero dell’Interno, sull’applicazione della legge 104/1992, del 19/02/2013 che, uniformandosi alla prima sentenza della IV Sez. del CdS, così recita : “Sino ad oggi, questa Amministrazione ha assoggettato l’erogazione dei benefici previsti dalla legge n. 104/92 al vincolo che non ci fossero altri familiari idonei a prestare assistenza al disabile (permanenza del requisito della c.d. esclusività).
Tuttavia, il più recente indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato (sentenza n. 4047 dell’11.7.2012) ha affermato il principio secondo cui la nuova disciplina in materia di assistenza ai familiari disabili deve trovare applicazione, nella nuova formulazione (che esclude i requisiti della continuità e dell’esclusività quale condizioni per l’accesso ai benefici previsti) nei confronti di tutto il personale dipendente, senza eccezioni e, quindi, anche per il personale della Polizia di Stato.
La conclusione cui è pervenuto il giudice amministrativo induce a non ritenere più suffragabile l’orientamento adottato da questa Amministrazione e, pertanto, si ritiene più conforme alla ratio della legge e della giurisprudenza in materia propendere per l’abrogazione del requisito dell’esclusività dell’assistenza.” .

Alla fine si può, soprattutto condividendone le sentenze oltrechè le motivazioni delle stesse, suggerire che, nel caso qualche appartenente alle FF AA (a quanto pare in parte oggettivamente ancora esclusi dalla legittima fruizione del beneficio di cui alla legge 104/1992) dovesse adire per tutelare i propri interessi e dovesse scegliere tra la la sede giurisdizionale e quella consultiva (a cui giungerebbe attraverso il ricorso straordinario al PdR) farebbe meglio ad affidarsi a quella faccia di Giano bifronte che porta, metaforicamente parlando, in testa una bilancia!

Carmelo Cataldi

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