Tecnologia e spersonalizzazione del rapporto tra professionista e cliente

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Da bambino mi capitava spesso di trascorrere dei noiosissimi pomeriggi nello studio di mio padre. Ricordo chiaramente le numerose scrivanie sommerse da testi, registri, carte polverose e molto disordinate, tra le quali i collaboratori si aggiravano in modo lento con aria da saputelli, mentre i clienti, con molto ossequio, aspettavano il loro turno per essere ricevuti nella speranza di veder risolti i loro annosi problemi. Sembra ieri, eppure queste immagini appartengono alla preistoria della professione, tutto scomparso e tutto cambiato. Ho vissuto in prima persona, anche se indirettamente, l’evolversi del lavoro professionale; dall’avvento dei primi rudimentali computer ad ausilio dell’ attività tradizionale, con memorie risibili ed enormi floppy disk che sembravano dei 33 giri, fino alla completa informatizzazione di oggi, ed ho seguito questo processo in tutti i suoi aspetti sia positivi che negativi.

Nostalgia o no, la realtà oggi è profondamente diversa da soli pochi anni fa: concorrenza tra colleghi ai massimi livelli, innovazione tecnologica e studi in mobilità, Internet e visibilità senza limiti. In sintesi è cambiato l’approccio alla professione. Abbandonate le tradizionali formule organizzative, i commercialisti di oggi hanno riempito il loro studio di software gestionali, banche dati e formulari digitali, possiedono un sito internet e partecipano a forum on line. Il web, in particolare, è davvero un’occasione di sviluppo anche per chi, tra di noi, è più restio al cambiamento. Avere uno studio virtuale sul web aperto 24 ore al giorno, dialogare potenzialmente con migliaia di persone ed essere contattati idealmente da ogni parte del pianeta, è allettante per chiunque. Ormai tutti lo hanno capito e ciascuno, a modo suo, fa la propria comparsa sul web. Spesso si tratta solo di curricula on line dove il nostro ego trova sfogo, altre volte veri e propri siti interattivi in cui vengono richieste “prestazioni” professionali poi regolarmente retribuite. E poi la moda dei social network, in primis Facebook: perché dunque non aprire una pagina o un profilo gratuito? E tra un post che parla di poesie d’amore, uno che propone un servizio di consulenza e uno che commenta il nuovo film nelle sale, si mescola un po’ tutto e non si capisce più bene se ti stai presentando come commercialista, come amico, come appassionato di letteratura, come membro di un gruppo di discussione.

Sono, dunque, lontani i tempi in cui i clienti aspettavano in fila nello studio. Oggi, nella società dell’informazione, dove le notizie corrono velocissime, Internet consente di consultare, chiarire, trovare e scegliere. Dobbiamo noi farci conoscere, avere qualcosa da dire di nuovo, qualcosa da offrire di diverso, che faccia la differenza rispetto ai colleghi. In questo contesto non conta solo esserci, conta esserci al meglio. La concorrenza richiede di essere i migliori, i più veloci, i più moderni, i più efficaci. Il cliente si informa, valuta e sceglie. Bisogna allora fare in modo che, a maggior ragione sul web, dove il primo contatto è impersonale, si fidino di noi e poi si fidelizzino. Per i professionisti dunque la comunicazione digitale è divenuta un asset centrale della propria attività, ma bisogna saper agire e non a caso. Perché non è vero che non costa nulla; può costare molto in termini di immagine, di reputazione, di perdita di clienti, vecchi e nuovi. Ciò che viene affidato alla rete comincerà a viaggiare in modo infinito tra siti, utenti, messaggi e motori di ricerca. Attenzione dunque! Prima di scrivere, metterci la firma e la faccia è utile ponderare bene a che pro e verso chi impostare una comunicazione che abbia un ritorno positivo.

Le moderne tecnologie digitali, tra le quali dobbiamo includere e-mail e gli sms, se da un lato contribuiscono ad ottimizzare la fruizione di servizi, agire in tempo reale sulle tante opportunità che si manifestano, svolgere il lavoro in mobilità, dematerializzare e semplificare i processi burocratici, consentire il contatto continuo con i clienti, dall’altro pongono nuovi e più complessi problemi in termini di spersonalizzazione del legame fiduciario tra il professionista ed il cliente con conseguente supremazia dell’elemento organizzazione sull’elemento personale.

Da alcuni anni la professione è fortemente influenzata da un’idea forse sbagliata della globalizzazione, quella di “tutto in tempo reale”. E’ importante invece fermarsi a riflettere e conservare un corretto rapporto con la realtà per non spersonalizzare la professione, ponendo alla base del nostro operato il rapporto di fiducia col cliente. Dovremmo cercare di rimanere degli “artigiani” aperti alle problematiche della realtà attuale ma non dimenticando l’esperienza che ci viene dal passato. L’attività di lavoro autonomo è legata generalmente al c.d. intuitus personae, alle attitudini e capacità soggettive di chi la esercita e solo in casi limite si deve giungere alla spersonalizzazione dell’attività. Le nuove sfide richiedono al professionista una preparazione poliedrica che spazia in vari settori per affrontare i quali è necessario uno studio approfondito nonché il continuo aggiornamento. La pratica che diventa un numero, la standardizzazione delle prestazioni, “costringere” i clienti a passare da un commercialista ad un altro, spesso solo in base ad una mera valutazione di tipo economico, non sono, e non devono essere, i nostri principi professionali.

 

Saverio Marasco

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