Il Consiglio di Stato e la determinazione dei canoni demaniali

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Con l’innovativa sentenza 626 del 1° febbraio 2013 la Sezione VI del Consiglio di Stato tenta di risolvere l’ormai annosa questione della determinazione dei canoni demaniali, proponendo una interpretazione dell’art. 49 del Codice della Navigazione più corrispondente alla attuale situazione socio/economica e che tiene conto delle modifiche legislative già intervenute.

La vicenda ha origine nel 2007 anno in cui il legislatore, con la legge finanziaria, decise di adeguare i canoni demaniali, all’epoca pressochè irrisori, prevedendone l’aumento per avvicinarli al presumibile valore di mercato.

Di per sé l’operazione era perfettamente condivisibile essendo un tale adeguamento necessario da svariati anni.

Purtroppo però – come talvolta accade – l’Amministrazione è andata ben al di là di tale adeguamento, sostenendo contemporaneamente l’avvenuto incameramento delle (quasi tutte) opere poste sul demanio, e ciò attraverso una interpretazione dell’art. 49 del Codice della Navigazione, avallata da alcune risalenti pronunzie, secondo cui al termine della prima concessione essa è da considerarsi “scaduta” con effetto automatico acquisitivo del bene costruito sul suolo demaniale. Secondo la predetta norma del codice della navigazione “…quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato”. Tale disposizione era stata, in effetti, più volte interpretata nel senso che l’accessione si verifica automaticamente, al termine del periodo di concessione e, secondo parte della giurisprudenza (Cass. Civ., sez. III, 24.3.2004, n. 5842 e sez. I, 5.5.1998, n. 4504) andava applicata anche in caso di rinnovo della concessione stessa (in senso contrario però si erano espressi già T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 31/01/2008 n. 100 e, dello stesso tenore, T.A.R. Abruzzo Pescara, 26/8/86, n. 526).

Il risvolto applicativo di una tale forzata interpretazione è stato anzitutto che da un giorno all’altro i concessionari si sono visti “espropriati” del loro bene posto sul demanio che è divenuto una pertinenza di quest’ultimo quindi a tutti gli effetti un bene dello Stato.

Se non bastasse, il canone previsto per tali pertinenze è molto più alto di quello previsto per la concessione delle opere c.d. amovibili e/o di difficile rimozione con aumenti, a seconda dei casi, dal 200% al 400%.

Questa concomitanza di eventi, non preventivata né preventivabile, aveva messo in estrema difficoltà molti operatori del settore turistico-balneare che avevano tali concessioni da oltre quarant’anni e che si sono visti costretti a ricorrere al TAR.

Quest’ultimo però, aderendo all’orientamento giurisprudenziale soprariportato, aveva ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione anche in relazione all’avvenuto incameramento automatico pur in presenza di titoli concessori rinnovati senza soluzione di continuità in alcuni casi da oltre trenta anni.

La tesi dell’avvenuto incameramento però appariva oltremodo forzata del dato normativo. Essa difatti presuppone che alla prima scadenza, quindi decenni fa trattandosi di concessioni molto risalenti (si pensi agli stabilimenti balneari del litorale versiliese che sono lì dagli anni cinquanta) detti beni sarebbero stati incamerati. È però impensabile che le Capitanerie di Porto, peraltro molto oculate ed attente alla gestione amministrativa del Pubblico Demanio Marittimo, che hanno amministrato dal 1942 (anno di emanazione del Codice della Navigazione) sino al 2002, anno in cui sono state trasferite agli Enti locali le competenze amministrative, abbiano potuto ignorare palesemente l’articolo 49, che dalla sua origine o entrata in vigore (1942) non è neppure stato mai modificato.

Di qui il ricorso in appello.

Il Consiglio di Stato, attualizzando la pronunzia alle mutate condizioni complessive e del settore in particolare ha quindi rilevato che la soluzione indicata dai precedenti (pure condivisi dal TAR Toscana) non si prestava a generalizzazioni, essendo le pronunce sopra ricordate riferibili a fattispecie di effettiva “cessazione” del titolo concessorio, con scarsa rispondenza quindi a situazioni in cui i titoli concessori siano stati rinnovati più volte ex lege prima della relativa scadenza, in tal senso aderendo a quelle due pronunzie del TAR Salerno e Pescara che unicamente avevano posto questo importante distinguo tra effettivo spirare della concessione ed invece la sua scadenza e rinnovo automatico (di legge o previsto nell’atto).

In tal senso un passo importante della sentenza è quello in cui viene precisato che l’avvenuto adeguamento dei canoni ai valori di mercato (v. legge finanziaria del 2007) , impone un’attenta riconsiderazione dei presupposti applicativi della norma (art. 49 cit.), per un’interpretazione costituzionalmente orientata della medesima, in rapporto ai principi di proporzionalità, ragionevolezza e buon andamento dell’Amministrazione.

Ad avviso del Consiglio di Stato il principio dell’accessione gratuita – fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti, che potrebbero contribuire alla valorizzazione del demanio marittimo – dovrebbe ritenersi disposizione eccezionale e di stretta interpretazione, con riferimento all’effettiva cessazione – e non alla mera scadenza – del rapporto concessorio, per la comprensibile esigenza di assicurare, in tal caso, che le opere “non amovibili”, destinate a restare sul territorio o ad essere rimosse con inevitabile distruzione, tornino nella piena disponibilità dell’ente proprietario del suolo, a fini di corretta gestione di quest’ultimo (quando non più in uso del concessionario) per finalità di interesse pubblico. Detta esigenza non può evidentemente ravvisarsi quando il titolo concessorio preveda forme di rinnovo automatico o preordinato in antecedenza, rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare il rinnovo stesso – al di là del “nomen iuris” – come una vera e propria proroga, protraendosi il medesimo rapporto senza soluzione di continuità (cfr. in tal senso, per il principio Cons. St., sez. VI, 26.5.2010, n. 3348).

Il nuovo orientamento del Consiglio di Stato ha quindi il duplice pregio di mantenere ferma l’interpretazione dell’art. 49 citato, tenendo contemporaneamente conto però dell’avvenuto adeguamento dei canoni al valore di mercato e garantendo – ed è qui la portata assolutamente innovativa e costituzionalmente orientata della sentenza -a chi ha avuto la gestione del bene in concessione da decenni (avendo fruito di continui rinnovi della stessa) di poter mantenere la proprietà del bene, versando un canone che per quanto aggiornato al valore di mercato sia però anche economicamente sostenibile da parte del titolare.

Martina Mattioli

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