Il Diritto e le promesse elettorali ingannevoli

Marco Pierani 15/02/13
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Vorrei provare a rispondere alle due domande poste ieri dal Direttore nel suo editorialeChe ruolo può avere il Diritto nell’affrontare questi tempi bui? E come può esserci utile per superare questo difficile momento?” esternando un dubbio che ho da un pò di tempo parcheggiato nel retrocranio e che, con il procedere di questa stravagante quanto triste e probabilmente inutile campagna elettorale diventa sempre più pressante: dato che entrando in Parlamento i partiti politici ricevono dallo Stato ingenti risorse economiche, eventuali false promesse elettorali possono essere ritenute pubblicità ingannevoli?

So che i puristi del diritto storceranno già il naso ma proviamo a valutare insieme – anche solo per un attimo – se la disciplina delle pratiche commerciali scorrette possa o meno applicarsi alla fattispecie in esame. Ora, che la campagna elettorale alla quale stiamo assistendo sia contraddistinta da molteplici, ripetute e direi progressive promesse ingannevoli, contrarie alla diligenza professionale e idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento dell’elettore medio al quale sono dirette mi sembra evidente. Per capire se si possano ritenere applicabili gli artt 20 e ss del Codice del Consumo occorre allora in primis a) comprendere se il comportamento dell’elettore possa dirsi un comportamento economico; b) più in generale se l’elettore possa quindi in qualche modo considerarsi un “consumatore” del “prodotto” della politica e, soprattutto, c) se i partiti che si presentano alle elezioni ed esplicitano le loro promesse in campagna elettorale al fine di convincere i cittadini a votarli possano considerarsi o meno “professionisti” ai sensi del Codice del Consumo.

Sul primo punto, non pare affatto stravagante sostenere che il comportamento dell’elettore quando si accinge a decidere a quale partito concedere la propria fiducia sia un comportamento lato sensu economico in quanto l’elettore sceglie chi votare anche e soprattutto perché confida che il tale partito possa gestire meglio, o comunque più in linea con le sue personali aspettative, la cosa pubblica una volta che, grazie ai voti ottenuti, approderà in Parlamento. Sul secondo, di conseguenza, può senz’altro sostenersi una certa analogia tra il consumatore di beni e servizi e l’elettore quale consumatore del prodotto della politica, certo in questo secondo caso il cittadino che va a votare non paga direttamente ma lo fa, o meglio lo ha fatto già precedentemente, in maniera indiretta, finanziando, quale tax payer, il sistema della politica. Il terzo punto è forse il più ostico in quanto, secondo il Codice del Consumo, può intendersi come “professionista” qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista. Tuttavia è anche sempre più vero che, al netto della loro attività inerente l’intimo sviluppo della Democrazia e, in quanto tali costituzionalmente protetti dall’Art. 49 della Costituzione, i partiti politici sono anche soggetti economici e che le loro proposte elettorali sono volte ad ottenere voti con i quali – come dicevo in premessa – ottengono anche ingenti sovvenzioni da parte dello Stato.

Orbene, se le promesse elettorali sono – e qui in alcuni casi non c’è ombra di dubbio – palesemente ingannevoli, potrebbe dunque applicarsi la disciplina delle pratiche commerciali scorrette? Si consideri che in tal caso, stante che l’art. 140 bis del Codice del Consumo è attivabile anche per le pratiche commerciali scorrette avremmo quale effetto non solo la sanzionabilità dei partiti politici che hanno raccolto voti sulla base di proposte elettorali ingannevoli ma anche l’azionabilità di class actions nei loro confronti per ottenere la restituzione delle sovvenzioni pubbliche a quel punto ottenute illegittimamente, un risultato quindi molto simile a quello dell’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti ma in via dinamica e solo per i partiti che non se lo sono meritato.

Bene, nel ringraziare tutti coloro che siano arrivati a leggere fino a qui senza ancora mandarmi a quel paese devo confessare che non me la sento di trarre le conclusioni su questa linea, ovvero quale giusconsumerista la deformazione professionale mi tenterebbe parecchio ma le poche residue reminiscenze di diritto costituzionale me lo impediscono, il rapporto candidato elettore non può in effetti essere svilito e fatto rientrare nella più angusta regolamentazione dei rapporti di consumo. L’elettorato passivo è giustamente garantito dall’art. 51 della nostra Costituzione e considerare chi presenta le proprie idee per contribuire, ove eletto, a determinare le sorti della gestione della cosa pubblica, alla stregua di un semplice venditore di merendine o di contratti di telefonia non sarebbe nè giusto nè opportuno.

Se il candidato alle elezioni, per una questione di Democrazia, deve poter godere delle più ampie garanzie per poter esprimere liberamente le sue idee e i suoi progetti nell’interesse generale del Paese è anche vero però che, d’altra parte, il cittadino elettore dovrebbe poter godere di qualche tutela. Per quale motivo al mondo allora per quanto concerne il semplice rapporto di consumo sussiste una disciplina che prevede sanzioni anche pesanti per il comportamento ingannevole dell’impresa mentre al contrario, nel ben più rilevante rapporto tra candidato (partito) ed elettore non c’è tutela alcuna per il secondo ?

Certo, alcune promesse e dichiarazioni evidentemente esagerate non dovrebbero essere ritenute ingannevoli in quanto, quali vere e proprie panzane elettorali, possono essere facilmente riconoscibili dall’elettore medio e quindi – ritornando per un attimo all’applicazione per analogia del Codice del Consumo – la loro pratica dovrebbe essere fatta salva dal dolus bonus in quanto dichiarazioni da non essere prese alla lettera. Più in generale poi le proposte elettorali di singoli candidati o di partiti sono certamente sottoposte agli incerti risultati finali delle elezioni e, in tal senso, più che ingannevoli non sarebbero realizzabili se successivamente non si ottiene la maggioranza dei voti per realizzarle.

Tutto questo è vero, ma non è questo il punto, stante l’escalation alla quale stiamo assistendo nella presente campagna elettorale queste considerazioni – sempre che vogliamo continuare a riconoscere un senso al Parlamento – taglierebbero fuori una parte residuale del problema in quanto se il candidato A, B o C carpisce il mio voto con una, due, tre proposte prioritarie e poi quando approda in Parlamento dedica prevalentemente la sua attività a tutt’altro, allora non ha fregato solo me elettore ma ha messo in crisi il funzionamento dell’intero sistema.

Per riportare allora la Politica ad avere quel ruolo alto ed elevato che dovrebbe avere e svincolarla dall’ormai prevalente business eversivo che ci gira attorno sarebbe dunque forse utile inserire regole che permettano di riconferire senso al rapporto eletto/elettore consentendo al secondo, anche grazie alle nuove tecnologie ormai disponibili, un certo controllo sulla base delle promesse elettorali fatte dal primo in modo che la delega non sia in bianco e che a ogni tornata elettorale non si perdano invano altri 5 anni …

Tornando agli spunti di riflessione lanciati ieri dal Direttore di LeggiOggi “Che ruolo può avere il Diritto nell’affrontare questi tempi bui? E come può esserci utile per superare questo difficile momento?” in conclusione si può sostenere che eliminare una volta per tutte la vigente assurda legge elettorale dovrebbe essere una priorità del prossimo Parlamento, ma non solo. La strada da percorrere con convinzione per emendarla dovrebbe essere quella di prevedere in favore dei cittadini-elettori nuovi diritti e garanzie in quanto la legalità costituzionale rimane sulla carta se non c’è nessuno che, avendone interesse, abbia diritto di esercitarla. Lo Stato di diritto sussiste, infatti, fin tanto che in caso di sua palese lesione qualcuno – o meglio tanti qualcuno – possano farsene carico, si tratta allora di inserire anticorpi dal basso nel sistema riconoscendo agli elettori piccolissimi diritti che funzionerebbero da deterrente nell’interesse generale.

La violazione e anzi il calpestamento continuo degli obblighi costituzionali da parte delle stesse Istituzioni è arrivato a un punto tale che non può essere recuperato se non dal basso riconoscendo diritti agli elettori e non dimentichiamoci che i diritti sono una conquista che va sempre difesa perchè possano essere mantenuti, se non li esercitiamo li perderemo anzi, per buona parte, li abbiamo già persi.

 

Marco Pierani

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