Sono nulli i contratti in forma pubblica amministrativa non elettronica?

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Pur essendomi ripromesso di non scrivere più sull’argomento, ormai abusato, della forma dei contratti pubblici dell’amministrazione, mi vedo costretto a tornare, mio malgrado, a parlarne.
Il tema, pur non essendo di interesse generale, coinvolge una intera categoria di soggetti (nella maggior parte segretari comunali e provinciali) che svolgendo le funzioni di ufficiali roganti nei vari enti, hanno vissuto e vivono tutt’ora, una situazione, a dir poco, “kafkiana“.
Come si usa dire “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” e che mi ha spinto a tornare sul luogo del delitto è un avvenimento accaduto una decina di giorni fa, quando l’ufficio delle entrate si “rifiuta”, dicono per il mio bene, di registrare un atto pubblico in forma amministrativa cartacea da me rogato e già repertoriato, in quanto ritenuto, a loro insindacabile e non appellabile giudizio, “insanabilmente nullo”.
Superata la tentazione di fare un esposto ai carabinieri,  per il quieto vivere, mi adeguo e con il mio ufficio predisponiamo tutto il necessario per rogare il “mitico” atto pubblico in forma amministrativa elettronica.
La cosa non è semplice e la strada è lastricata di intoppi e trabocchetti, infatti, tra le altre cose, la maggior parte delle ditte, checché se ne dica, non sono dotate della firma elettronica e non sanno neanche di cosa si sta parlando.
Allora, condividendo la tesi di autorevolissima dottrina, dispongo di acquisire la firma elettronica c.d. debole, anche se a questo punto perdo di vista quale sia l’obiettivo della semplificazione e deburocratizzazione della norma, ma a questo punto il dado è tratto.
Come dicevo, solertemente procediamo alla scanerizzazione del documento cartaceo dove è apposta la firma autografa della ditta e ad apporre firma digitale mia e del dirigente che firma in rappresentanza dell’ente (si badi bene firme certificate da ente esterno, insomma inattaccabili con la quale si firmano, ormai da anni, delibere e documenti).
E ora, come usa dire alla Zanzara (trasmissione radiofonica di radio 24H) il suo geniale e diabolico conduttore Cruciani “si raggiunge il top”, udite udite, all’ufficio del registro non va bene neanche questa forma vogliono la firma digitale o comunque elettronica anche della ditta.
A questo punto un pochino “arrabbiatino” mi reco all’ufficio del registro per cercare di capire dove vogliono andare a parare.

Quando incontro il responsabile dell’ufficio mi torna in mente un aforisma di Ennio Flaiano che recita: “ Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l’assenza del modulo “H”. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, ad un ufficio competente, che sta creando”.
Dopo essermi, per così dire sfogato, ho fatto presente al responsabile che il suo ufficio non poteva permettersi di rifiutare di ricevere un contratto stipulato in forma pubblica amministrativa cartacea, in quanto, come tutti sappiamo, in tema di imposta di registro, l’art. 38 D.P.R. n. 131/1986 prevede l’irrilevanza della nullità e dell’annullabilità dell’atto sull’obbligo di chiedere la registrazione e pagare la relativa imposta.
La decisione quindi è rimessa all’ufficiale rogante e non è di poco momento ricordare che l’art. 2701 c.c., come ricordatomi recentemente da un bravo collega della Sicilia, dispone che il documento formato da ufficiale pubblico incompetente o incapace ovvero senza l’osservanza delle formalità prescritte, se è stato sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata.
Nella sostanza mi si risponde che uscirà a breve una circolare della direzione regionale ( già fatta mi si riferisce in regione Toscana) nella quale, nella sostanza, si condivide (mi viene da pensare: meglio tardi che mai) quanto da me sostenuto e cioè che l’ufficio delle entrate non può e non deve indagare l’atto originario e procedere alla registrazione della copia conforme.
Questa che vi ho brevemente raccontato è la mia frustrante esperienza che penso sia simile a quella di molti.
Ciò detto, dopo questi avvenimenti, dove è stata raggiunta, almeno credo, la vetta della burocratizzazione, è chiaro che non ha suscitato in me molto piacere che alcuni, esprimendosi ex cathedra, abbiano scritto che l’interpretazione, tendente a rispondere negativamente alla domanda posta nel titolo di cui sopra sia motivata esclusivamente da una volontà (da vecchi burocrati il quale non sono almeno per l’età anagrafica) di conservare effetto alla cara vecchia carta.
Le critiche formulate alla tesi secondo la quale l’art. 11, comma 13 d.lgs 163/2006, anche dopo novellato, ammetta la stipulazione del contratto in quattro possibili forme e cioè:
1) atto pubblico notarile informatico;
2) modalità elettronica secondo le norme vigenti nella stazione appaltante;
3) forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante;
4) scrittura privata,
non paiono cogliere nel segno. I fautori della tesi avversa si chiedono perché il legislatore non avrebbe effettivamente utilizzato una sequenza ordinata di frasi tra virgole o un elenco a cascata. La risposta pare scontata e lapidaria: il legislatore ha fatto proprio questo utilizzando una sequenza ordinata di frasi tra virgole.
Poco rileva se, stando così le cose, l’unica modifica al precedente regime sarebbe l’obbligatorietà dell’atto notarile informatico.
Viene poi affermato che, soprattutto, sparisce la congiunzione “nonché”, presente nel precedente testo, senza riportare però che viene inserito al suo posto “ovvero” che ha un significato identico.
Addirittura, si ritiene di potere riscrivere il testo spostando la frase incriminata alla fine della proposizione principale: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, o mediante scrittura privata”.
Solo che facendo questa operazione si sposta il termine “ovvero” davanti alla frase “in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice” , che se fosse lasciato, dove realmente è stato inserito dal legislatore cioè davanti alla frase “in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”, comporterebbe lo sconvolgimento del significato del comma stesso pur riscritto.
Di più se la tesi della obbligatorietà della forma elettronica fosse quella esatta allora, conseguentemente, non si dovrebbe neanche ammettere la forma cartacea per la scrittura privata.
Si sostiene al contrario che per la scrittura privata questo sia possibile in quanto non interviene alcun pubblico ufficiale rogante in grado di accertare la validità dei certificati di firma digitale o la provenienza dalle parti della sottoscrizione autografa scansionata ed allegata all’eventuale file del contratto.
Non si scorge il motivo perché solo questo dovrebbe comportare l’esonero delle scritture private dalla forma elettronica, infatti nella scrittura privata il pubblico ufficiale è sempre assente. Viene poi affermato che non possa essere un problema quello che le pubbliche amministrazioni e, in particolare, i comuni, non dispongono della firma digitale.
Infatti, come detto precedentemente, non è questo il problema, i problemi sono altri e se ne riportano solo alcuni che solo chi non svolge questa funzione quotidianamente non scorge:
1) come si deve conservare l’atto? l’originale non può essere esportato fuori dagli uffici dell’ufficiale rogante, quindi lo si può o no inviare all’ente conservatore?
Spero non si risponda che si possono conservare nei server dell’ente senza alcuna precauzione o addirittura in cd. Non per nulla l’atto informatico notarile è stato disciplinato, in particolare l’aspetto della conservazione, con apposito provvedimento legislativo (d.lgs 110/2010).

2) le ditte non hanno la firma digitale o elettronica quindi si deve procede alla scannerizzazione dell’atto, non si scorge quindi tutta questa informatizzazione e semplificazione.

Da ultimo si vuole sottolineare che l’interpretazione che riconduce all’art. 11 comma 13 del d.lgs 163/2006 una portata così “innovatrice” è peraltro contraria a quanto espresso dall’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di Lavori, servizi e forniture con atto AG 43/2010 del 27 gennaio 2011 che testualmente così si esprime: “Né può ritenersi che il comma 13 dell’art. 11, che sembra avere una portata ricognitiva, sia provvisto di una propria e autonoma forza precettiva in ordine all’intera materia della forma dei contratti pubblici che è regolata dal R.D. n.2440/1923.”
In conclusione, nessuno può negare che la norma sia “scritta male” e per quanto mi riguarda, nell’attesa di una interpretazione della AVCP, continuerò a rogare in forma cartacea, preferendo avere un atto cartaceo (anche se pericolosamente nullo, ma comunque che potrà valere come scrittura privata) anziché un atto informatico di cui non ho idea di come si debba conservare e con il rischio quindi che vada disperso o irrimediabilmentre danneggiato.

Francesco Grilli

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