Art. 18 Decreto Sviluppo: una norma oscura che pretende di assicurare trasparenza

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Tutti gli “operatori” (dirigenti e responsabili dei servizi) che firmano provvedimenti di erogazione di denaro nelle amministrazioni pubbliche devono avere ben presente che, dal 1° gennaio scorso, l’art. 18 del dl 83/2012 impone di dare piena pubblicità alle erogazioni di denaro pubblico di qualunque genere.  E’ del tutto vero, come si legge nell’articolo di Matteo Barbero pubblicato su Italia Oggi di venerdi’ 11 gennaio, che finora sono relativamente pochi gli enti (sia centrali che locali) che si sono adeguati. Acclarato che si tratta di un obbligo immediatamente cogente per tutti (vedi deliberazione della Civit n. 35 del 2012) anche in assenza dell’emanazione del regolamento statale, ( il cui termine per l’emanazione era il 31 dicembre 2012), che avrebbe dovuto definirne le modalità attuative e considerando le pesanti sanzioni previste per l’omissione della pubblicazione (diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l’indebita concessione o attribuzione del beneficio economico), sorge spontanea una domanda: l’operatore della pubblica amministrazione che non procede alla pubblicazione dei dati e’ sprovveduto, masochista oppure siamo in una situazione dove è invocabile il brocardo latino “ad impossibilia nemo tenetur“?

Ritengo che sia questa una situazione in cui nessuno possa essere tenuto a fare cose impossibili. Si deve infatti rilevare che le pubbliche amministrazioni, almeno quelle meno strutturate, non sono ad oggi poste nella condizione di procedere alla preliminare definizione in via interpretativa degli elementi costitutivi delle fattispecie indicate nello stesso articolo 18 .

Basti pensare l’applicazione della norma in esame, che come noto tende ad assicurare una azione amministrativa più trasparente, per la sua applicazione (al fine di dipanare i dubbi su quali atti debbano essere pubblicati e i tempi in quali questa pubblicazione debba avvenire) ha richiesto , da parte della regione Emilia Romagna, un parere legale reso da un pool di esperti in materia, poi trasfuso in una deliberazione di Giunta, di circa venticinque pagine. Peraltro detto parere, pur ben architettato ed alaborato, può comunque fare sorgere dei dubbi ove, in particolare stabilisce quali atti debbano essere pubblicati ed in quale fase della spesa tale adempimento debba essere eseguito. A prescindere dai dubbi su alcune conclusioni del parere, che in questa sede non è possibile esaminare per motivi di spazio, ci si deve chiedere, come possono i piccoli comuni assolvere, con le proprie limitate risorse umane ed organizzative e senza aumenti di costi come imposto dalla legge, alla predisposizione di un sistema informativo a supporto degli adempimenti previsti dalla norma ed alla realizzazione di una applicazione informatica che permetta ai responsabili di procedimento di rendere pubblici gli atti con le modalità previste dal comma 3 dell’articolo in esame?

Pare che tutti ci siamo dimenticati, ed in primis l’incauto legislatore, che la pubblicità non coincide con la trasparenza, anche se ne costituisce uno dei possibili elementi. La pubblicità è un mero stato di fatto dell’atto, dell’organizzazione o del procedimento, mentre la trasparenza è chiarezza e comprensibilità dell’azione amministrativa. In questo senso sarebbe pubblico, ma non espressione di trasparenza l’atto regolarmente pubblicato all’albo o su un sito internet, ma in periodo festivo o abilmente occultato oppure atti accessibili, ma equivoci, oscuri e pertanto non comprensibili all’accedente. Insomma, la trasparenza è un quid pluris sia rispetto alla pubblicità che allo stesso diritto di accesso, imponendo all’amministrazione il dovere di agire correttamente, al di là delle mere prescrizioni formali della norma, nella consapevolezza che la democrazia ha bisogno di un’esplicitazione comprensibile del potere. Come può quindi una norma che vorrebbe assicurare la trasparenza dell’attività dell’ente essere connotata da così tanta oscurità nella sua portata applicativa ?

Il mancato coordinamento della normativa in vigore sulla pubblicità degli atti (tra cui l’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241, i decreti legislativi 7 marzo 2005, n. 82, 12 aprile 2006, n. 163 e 6 settembre 2011, n. 159, l’articolo 8 del decreto-legge 7 maggio 2012,n. 52), che sarebbe dovuto avvenire con il regolamento, comporterà una duplicazione di adempimenti che appesantirà l’attività degli enti senza nessun beneficio sotto il punto di vista della trasparenza. In conclusione si ritiene che la non emanazione del regolamento avrebbe dovuto suggerire alla civit di ritenere sospeso l’obbligo della pubblicazione ai sensi dell’art. 18, mancando la necessaria chiarezza.

 

Francesco Grilli

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