Banca d’Italia: ricchezza famiglie come a fine anni ‘90

Redazione 17/12/12
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Dai dati presenti nel Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d’Italia, diffuso il 13 dicembre dall’Istituto, emerge in maniera drammatica l’aggravamento della situazione economica delle famiglie. E questo è il primo grave aspetto di come la perdurante crisi economica, dal 2008 ad oggi, abbia intaccato la ricchezza di un popolo tradizionalmente risparmiatore come quello italiano. A tale fenomeno se ne aggiunge un secondo che rende la situazione, dal punto di vista della coesione sociale, ancor più difficile da sostenere. Nel nostro Paese, infatti, si sta accentuando sempre più la tendenza alla polarizzazione della ricchezza. Ma procediamo con ordine.

Tra fine 2010 e fine 2011, si legge nel documento di Bankitalia, la ricchezza pro capite è scesa dell’1% a prezzi correnti e del 3,7% a prezzi costanti. A prezzi costanti, in particolare, la ricchezza netta pro capite nel 2011 viaggia sui livelli del periodo 2000-2005. Meno favorevole la dinamica della ricchezza media per famiglia, che nel corso del 2011 è diminuita dell’1,6% a prezzi correnti e del 4,3% a prezzi costanti.

La ricchezza netta delle famiglie, in Italia, ha subito un calo dello 0,7% a prezzi correnti e del 3,4% in termini reali del 2011. Colpa della crisi e del minore potere d’acquisto. In particolare, a fine 2011 il valore della ricchezza complessiva familiare era pari a (circa) 8.619 miliardi di euro. Dividendo tale dato per la popolazione, si ottiene la cifra di poco più di 140.000 euro pro capite e 350.000 euro in media per nucleo familiare. Tali valori significano un ritorno ai livelli di fine anni Novanta. Dal 2007, l’ultimo anno prima dell’inizio della crisi quando la ricchezza raggiunse il suo valore massimo in termini reali, la diminuzione è stata pari al 5,8%. Secondo stime preliminari della Banca d’Italia, un’ulteriore riduzione dello 0,5% in termini nominali si sarebbe già avuta nei primi sei mesi del 2012.

Il paragone con la fine degli anni ’90, comunque, deve essere attenuato nella sua durezza considerando che tra il 1995 ed il 2011 vi sono quasi 5 milioni di famiglie in più, specialmente a causa della riduzione della dimensione media delle famiglie, passata da2,9 a2,5 persone.

Sempre nel corso del 2011, l’aumento delle attività reali (1,3%) è stato vanificato da un marcato calo delle attività finanziarie (3,4%). Segno che la crisi sta diminuendo la disponibilità di capitali da destinare agli investimenti, a causa della stazionarietà o, nel peggiore dei casi, dell’erosione del risparmio. Contestualmente, si è assistito anche all’aumento delle passività (2,1%). In particolare, a fine 2011 le attività reali costituivano il 62,8% del totale mentre le attività finanziarie il 37,2%. Le passività finanziarie, pari a 900 miliardi di euro, rappresentavano il 9,5% delle attività complessive.

La fetta più grossa delle passività finanziarie, a fine 2011, era rappresentata per il 42% da mutui per l’acquisto dell’abitazione. La quota di indebitamento per esigenze di consumo costituiva circa il 13,6%, altre forme di prestiti il 20% così come un ulteriore 20% si doveva a debiti commerciali ed altri conti passivi.

Dal 2010 in qua, come segnalato dall’Istituto di Via Nazionale, si è peraltro fortemente ridotto (proprio a causa della contrazione del mercato immobiliare) il valore dei mutui per l’acquisto dell’abitazione. Il loro incremento si è stabilizzato attorno al 2% annuo, a fronte di una crescita di circa il 15% annuo nel quindicennio 1995-2009.

La Banca d’Italia evidenzia come, nonostante la crisi, nella classifica internazionale le famiglie italiane mostrano ancora un’elevata ricchezza netta, pari, nel 2010, a 8 volte il reddito disponibile. L’Italia da questo punto di vista si colloca agli stessi livelli del Regno Unito (ricchezza pari a 8,2 volte il reddito) e della Francia (8,1), superando Paesi industrializzati di prima grandezza come Giappone (7,8), Canada (5,5) e Stati Uniti (5,3).

Punto di forza del “Sistema Italia”, tanto più a fronte dell’elevato debito pubblico che ad ottobre ha battuto un nuovo record superando la soglia “psicologica” dei 2.000 miliardi di euro, si conferma anche il basso indebitamento delle famiglie italiane. L’ammontare dei debiti è infatti mediamente pari al 71% del reddito disponibile, contro il (circa) 100% di Francia e Germania, il 125% di Stati Uniti e Giappone, il  150% del Canada ed il 165% del Regno Unito.

Per quanto riguarda il mercato immobiliare, anche questo tradizionale bene rifugio (il “mattone”) delle famiglie italiane, a fine 2011 la ricchezza in abitazioni detenuta superava i 5.000 miliardi di euro, corrispondenti mediamente ad oltre 200.000 euro per famiglia. La ricchezza in abitazioni, a prezzi correnti, ha fatto registrare un aumento dell’1,3% (pari a 65 miliardi di euro) tra fine 2010 e fine 2011.

Una crescita di certo molto inferiore al tasso medio annuo del periodo 1995-2010(con un ritmo di crescita medio del 5,6%), ma ciò si deve al rallentamento delle quotazioni sul mercato immobiliare. In termini reali, la diminuzione della ricchezza in abitazioni rispetto al 2010 è risultata pari all’1,4%. L’Istat ha diffuso dati per cui  nei primi 6 mesi del 2012 i prezzi degli immobili sono diminuiti dell’1% rispetto alla fine dell’anno scorso. Secondo la Banca d’Italia, è verosimile attendersi una contrazione del valore della ricchezza in abitazioni dello 0,7% per il primo semestre del 2012.

Come dicevamo, la crisi economica ha ulteriormente ampliato il divario (già tendente all’aumento a partire dall’inizio degli anni ‘90) tra ricchi e poveri. Si legge sempre nel Supplemento al Bollettino statistico della Banca d’Italia che, a fine 2010, il 10% più ricco degli Italiani deteneva il 45,9% della ricchezza totale del Paese, a fronte del 50% più povero delle famiglie italiane che disponeva del solo 9,4% della ricchezza complessiva: “La distribuzione della ricchezza” – recita il documento – “è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata”.

L’indice di Gini, che misura la concentrazione della ricchezza tra un valore minimo di 0 (massima eguaglianza) e un valore massimo di 1 (massima diseguaglianza) è stato pari a 0,624 nel 2010, in leggera crescita rispetto ai valori registrati nel decennio 2000-2009. Il valore del 2010 ritorna anch’esso in linea con i valori di fine anni ’90. Il numero di famiglie con una ricchezza netta negativa, pari al 2,8% a fine 2010, risulta in lieve ma graduale crescita dal2000 in poi.

In questa tendenza alla polarizzazione della ricchezza, tra i più ricchi ed i più poveri troviamo un ceto medio – storicamente il perno su cui hanno fondato il proprio sviluppo tutte le economie più avanzate – impaurito ed in stato di sofferenza. Una situazione che, certamente, non rappresenta un buon auspicio per favorire la ripresa dei consumi e l’uscita dal tunnel della crisi.

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