La Consulta si pronuncia per i limiti all’agriturismo

Redazione 06/11/12
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La Corte costituzionale, con la sentenza 96/2012, ha stabilito che le questioni di illegittimità costituzionale, sollevate dal Tar Umbria con ordinanza 37/2011, dell’articolo 3, comma 3, della legge regionale dell’Umbria 28/1997 sulla disciplina della attività agrituristiche non sono fondate. La pronuncia della Corte contiene, inoltre, certe riflessioni di natura generale sull’attività economica e dell’edilizia nelle zone agricole.  Ciò che era sospettato di incostituzionalità concerneva le norme “nella parte in cui si consente l’esercizio dell’attività di agriturismo nelle sole strutture esistenti alla data dell’entrata in vigore della legge stessa”, il 4 settembre 1997.

Il giudizio da cui è cominciato tutto si riferisce al divieto, applicato ad una azienda agrituristica, di estendere l’attività a strutture edificate in modo regolare ma costruite dopo il termine sopraccitato. Il Tar aveva previsto tre profili plausibili di opposizione alla Carta; il primo, l’irrazionalità endogena della previsione che, sospendendo l’attività dell’agriturismo in un certo periodo dell’anno, non avrebbe consentito l’uso elastico delle aziende e la permanenza dell’operatore agricolo in loco; il secondo, un’incongrua costrizione dell’attività economica in opposizione all’articolo 41 della costituzione; il terzo, la lesione dei valori ambientali, in contrasto con l’articolo 9, comma 2, della costituzione, dal momento che la norma, non permettendo l’uso ai fini agrituristici di manufatti recenti, termina col rendere vano la funzione del presidio ambientale dell’attività agricola.

La Corte, dopo aver dichiarato infondata la questione, rammenta soprattutto che l’attività agrituristica, anche se pertiene alle materie agricoltura e turismo, di competenza regionale residuale, risulta d’ostacolo con altre materie assegnate alla competenza, o esclusiva o concorrente, dello Stato, con la conseguenza che le Regioni devono rendere uniforme ai principi fondanti stabiliti dal legislatore statale e, nella fattispecie a quelli già presenti nella legge 730/1985 e poi nella legge 96/2006. Fra tali principi il legislatore statale “pone un limite rigoroso,  escludendo che possano essere destinati ad attività agrituristiche edifici costruiti ad hoc, non già esistenti sul fondo prima dell’inizio delle attività medesime” (articolo 3, comma 1, legge 96/2006).

L’obiettivo finale, spiega la Corte, è quello di “prevenire il sorgere e il moltiplicarsi di attività puramente turistiche, che finiscano con il prevalere su quelle agricole (…) con l’effetto pratico di uno snaturamento del territorio, usufruendo peraltro delle agevolazioni fiscali previste per le vere e proprie attività ricettive connesse al prevalente esercizio dell’impresa agricola”. Da questo punto di vista, il limite temporale decretato dal legislatore umbro non è inappropriato, ma riguardoso del principio normativo statale.

Non è poi configurabile l’ipotizzata infrazione dell’articolo 41, poiché l’iniziativa economica privata nel settore agrituristico è e rimane libera, e ” a nessuno è inibito l’accesso a questo settore di attività imprenditoriale, purché segua determinate  modalità, uguali per tutti, ritenute dal legislatore nazionale e da quello regionale indispensabili a mantenere le attività agrituristiche nel proprio alveo”.

Da ultimo, in merito all’eventuale pericolo che un’esagerata limitazione all’utilizzo di fabbricati posti in fondi rustici possa stabilire un loro abbandono e un conseguente spopolamento delle zone collinari, la Consulta nota che questa possibilità “non solo è legata ad incerte previsioni economico – sociali, (…) ma contrappone un rischio futuro ipotizzato ad una necessità di tutela del paesaggio attuale e concreta, giustificata dalla comune esperienza”. Nel caso specifico, l’interesse principale è quello “che le campagne non diventino luoghi di edificazioni massicce, che facciano a esse perdere la loro intrinseca natura”.

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