Convivenza more uxorio, la Cassazione interviene sull’arricchimento ingiustificato

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Caia, con atto di citazione, conviene in giudizio Tizio e, sostenendo di aver vissuto per sette anni more uxorio con il predetto e di avere sorretto il 50% delle spese per l’acquisto e la ristrutturazione di un immobile acquistato ed intestato al solo Tizio, chiede che venga accertato il suo credito. Il Tribunale, esaminata la quaestio, dichiara che Tizio è tenuto a versare a Caia il 50% delle somme corrispondenti ai costi di acquisto e ristrutturazione dell’immobile in oggetto. Tizio, evidentemente, non soddisfatto della pronuncia emessa in primo grado, propone ricorso in appello: la Corte in tale sede accerta la sussistenza di un diritto di credito di Caia nei confronti di Tizio nella misura del 50% non già del prezzo dell’immobile e delle spese di ristrutturazione, ma del 50% degli esborsi a tali fini sostenuti con denaro comune delle parti provenienti da conti cointestati accesi presso due banche. Tizio, così, ricorre in Cassazione: la Quale rigetta il ricorso!, confermando la sentenza di appello.

Ebbene, l’espressione more uxorio individua quelle relazioni interpersonali non coniugali che vedono due persone convivere ‘’come se fossero marito e moglie’’ (secondo l’opinione consolidata in dottrina e in giurisprudenza: formazioni sociali, ex art. 2 Cost.). Ad oggi, nel nostro ordinamento manca una puntuale definizione giuridica e di conseguenza non è presente alcuna regolamentazione di ‘’tale fenomeno’’: la vigente legislazione, infatti, non possiede norme che regolamentano i rapporti personali e patrimoniali tra i conviventi more uxorio. Per tali ragioni, al momento, i rapporti patrimoniali nell’ambito dei rapporti di fatto sono regolati dal principio di base per il quale le prestazioni rese nell’ambito di una convivenza ‘’more uxorio’’ debbano essere riferite all’adempimento di un’obbligazione naturale, ex art. 2034 c.c.; ad ogni modo, ‘’quando le prestazioni eccedono la normale contribuzione, e si abbia un’improvvisa cessazione della convivenza, sembra maggioritaria l’opinione per cui sia possibile uscire dall’ambito dell’obbligazione naturale e rinvenire il fondamento nell’azione di arricchimento ingiustificato’’. L’arricchimento senza causa, ex artt. 2041 c.c. e ss., risulta essere una norma di chiusura, che ‘’dispone-offre’’ uno strumento di tutela, esperibile in tutti i casi in cui tra soggetti si verifica uno spostamento patrimoniale, tale che uno subisca un danno e l’altro si arricchisca, ‘’senza giusta causa’’ e cioè senza che sussista una ragione che secondo l’ordinamento giustifichi il profitto o il vantaggio dell’arricchito. Da ciò discende, a carico dell’arricchito, un obbligo di indennizzo o di restituzione in favore del danneggiato, il quale è legittimato, quindi, ad esperire l’azione di ingiustificato arricchimento (v. Cass. civile, Sez. III, del 15 maggio 2009, n. 11330). L’azione in quaestio ha carattere generale perché è esperibile ‘’in una serie indeterminata di casi’’; ha, inoltre, carattere sussidiario perché è esercitabile solo quando al depauperato non spetti nessun’altra azione (basata su un contratto, su un fatto illecito o su un altro atto o fatto produttivo dell’obbligazione restitutoria o risarcitori), ex art. 2042 c.c.. Va puntualmente precisato che la misura dell’indennizzo, che consegue al valido esperimento dell’azione di ingiustificato arricchimento, va contenuta entro i limiti dell’arricchimento realizzato e, quindi, provato, ex art. 2697 c.c..

In relazione al caso di specie, è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione, sentenza n. 15644 del 18 settembre 2012, affermando che: ‘’in caso di conto cointestato, l’ex convivente ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l’acquisto di un immobile intestato ad uno solo dei due conviventi con denaro proveniente dal medesimo conto’’. La Corte, pertanto, accerta la sussistenza di un diritto di credito a favore dell’ex convivente nella misura del 50% degli esborsi a tali fini sostenuti con denaro comune delle parti provenienti dai conti cointestati. A dire della Cassazione, la richiesta presentata dalla donna non è diretta al riconoscimento di un acquisto comune, ma al pagamento di un credito costituito dal rimborso del contributo economico all’acquisto e alla ristrutturazione dell’immobile di cui solo l’altro convivente è divenuto proprietario.

Insomma, nonostante la mancata regolamentazione in materia!, è possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di ‘’provate’’ prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza (ordinari doveri morali e sociali) e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.

Tiziano Solignani

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