Referendum contro la casta: “Firme valide. In piazza il 17 novembre”

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Qualche mese fa, sui social network è sbocciato, quasi all’improvviso un tam-tam che ha contagiato le bacheche di migliaia di utenti. “Mancano pochi giorni per firmare contro i privilegi dei politici”, recitavano status fotocopia di iscritti a Facebook e Twitter. Si trattava di una proposta di referendum per abolire le indennità dei parlamentari, promosso da Unione popolare, movimento – o forse qualcosa di più – guidato da Maria Di Prato. Il quesito ha raccolto oltre un milione e trecentomila firme, pur essendo passato pressoché in sordina sui principali mezzi di comunicazione nazionali.

Originaria della Calabria, ma romana d’adozione, la portavoce di Unione popolare è una piccola imprenditrice nel settore delle biotecnologie alimentari. Segni particolari: insofferenza fortissima verso la classe politica, i suoi sprechi e le sue regalie. Sentiamo dalla sua viva voce speranze, delusioni e progetti futuri del suo movimento, inclusa la prossima manifestazione indetta a Roma per il 17 novembre.

Intanto, per chi non vi conosce, quando e come nasce Unione popolare?

Siamo nati 2 anni fa per combattere le iniquità e cambiare la politica, senza alcun potere forte alle spalle.  Siamo persone normali, che lavorano; abbiamo poche risorse a nostra disposizione, adottiamo la pratica dell’azionariato diffuso. Siamo stati i primi a depositare i quesiti contro il Porcellum e solo dopo, in Cassazione, si sono uniti a noi tutti gli altri. Siamo persone che svolgono il proprio dovere e vogliono cambiare questa politica che pensa solo agli interessi personali e non al bene della nazione.

Passiamo al referendum contro le indennità dei parlamentari, la vostra battaglia più nota. In alcuni Comuni non sono arrivati abbastanza moduli per la raccolta e spesso non si potevano superare le 50 firme. Risulta anche a voi questo genere di problemi? A cosa pensate che sia dovuto?

Abbiamo inviato un modulo da 50 firme a ogni Comune italiano, dopodiché gli ultimi 10 giorni della raccolta, il modulo è stato messo online, dove poteva essere scaricato da chiunque. Ringraziamo comunque la stragrande maggioranza dei Comuni medio-piccoli. Il problema vero c’è stato nelle grandi città politicizzate. A Roma, per esempio, abbiamo consegnato centinaia di moduli in Campidoglio che, dopo un mese, non erano giunti nei vari municipi. Lo stesso è accaduto a Bologna, Genova, a Milano, dove addirittura li abbiamo spediti con corriere espresso. Nonostante questo, si è trattato della proposta referendaria che ha riscosso più firme

Credete di essere stati vittime di ostruzionismo dalle amministrazioni più vicine alla politica nazionale?

Di certo, si è inceppato il meccanismo burocratico. I grandi Comuni non davano abbastanza indicazioni su dove si poteva firmare e ciò si è unito al boicottaggio da parte dei media nazionali.

Il MoVimento 5 stelle non ha sostenuto la vostra battaglia. Come avete giudicato l’ostilità di Beppe Grillo e di alcuni suoi attivisti?

Quella di Grillo sul referendum è stata una posizione scandalosa, finalizzata soltanto a denigrare, proprio come faceva la vecchia politica, quella più becera. E’ stata fatta girare la notizia che il referendum fosse una bufala: in realtà, il movimento di Grillo temeva di essere offuscato da Unione popolare. Si è detto del rimborso referendario, ma è una falsità gigantesca: i rimborsi si ottengono dal momento in cui si celebra il referendum.

Non temete che la vostra proposta referendaria possa cadere nel vuoto a causa dell’articolo 31 della legge 352/1970, che vieta di depositare le firme nell’anno solare antecedente le elezioni politiche, essendo al contempo obbligati a depositarle entro tre mesi dall’inizio della raccolta (art. 28)?

L’articolo 28 recita che salvo quanto disposto dall’articolo 31, le firme vanno raccolte e depositate in 90 giorni, mentre l’articolo 31 invece specifica che le firme non vadano consegnate nell’anno solare precedente le elezioni, ma non ne vieta letteralmente la raccolta. Ci siamo consultati con dodici costituzionalisti di fama nazionale, trasversali sia per appartenenza politica che geografica. Noi siamo convinti che siano valide e i primi di gennaio le consegneremo tutte quante.

Non siete preoccupati del lievitare dei costi tra referendum ed elezioni, in una congiuntura economica così difficile?

Sappiamo bene che un referendum costa e per questo chiediamo dei segnali precisi già a questo governo. Il presidente Monti cominci ad abolirsi la diaria che percepisce da senatore a vita di 3500 euro, così che altri parlamentari possano seguirlo. Abbiamo 200 parlamentari che risiedono a Roma i quali dovrebbero, anch’essi, dare l’esempio: si potrebbero risparmiare 45-50 milioni di euro l’anno in questo modo. Se chi comanda non dà l’esempio, come si pretende che chi prende 500 euro al mese venga costantemente tartassato?

Dunque i tecnici a vostro avviso non sono immacolati?

E’ venuto meno il principio di neutralità, visto che alcuni membri di questo governo pensano già di candidarsi per questo o quel partito. Cosa ci ha offerto questo governo sull’equità? Le statistiche dicono che chiudono 1600 aziende al giorno e per questo abbiamo intenzione di continuare quelal che chiamiamo la “rivoluzione gentile” già a Roma, il prossimo 17 novembre, con la manifestazione “Riprendiamoci le chiavi del Paese”. Partiremo dalla Rai, che non può più essere preda dei partiti. Andremo a viale Mazzini per consegnare al presidente Anna Maria Tarantola, cui abbiamo scritto una lettera, la chiave che apre al pluralismo e alla libertà di informazione.

Dunque vi presenterete anche alle elezioni politiche con delle vostre liste?

Sì, noi ci saremo e presenteremo liste nostre, anche se temo che si tornerà a votare con il Porcellum, che sarebbe una cosa vergognosa. Ci rifacciamo al popolarismo di don Sturzo e di Di Vittorio. Crediamo nelle migliori risorse di questo Paese: nel turismo, nella energie rinnovabili, nell’arte, nella cultura.

Che effetto le fa la parola “rottamazione”?

Noi siamo stati i precursori di chi chiedeva un limite massimo di due mandati: 10 anni e poi tutti a casa. Il termine “rottamazione” di per sé non mi piace troppo: un individuo non si rottama, quello che noi chiediamo è il cambiamento radicale della classe politica.

Maria Di Prato1

 

Francesco Maltoni

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