Legge di Stabilità: tetto alle parcelle degli avvocati

Redazione 15/10/12
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La legge di Stabilità non fa sconti, nemmeno agli avvocati, le cui parcelle saranno calmierate in giudizio. E’ stato infatti decretato che al giudice non è consentito liquidare compensi giudiziali superiori al valore della causa. Per rendere più chiaro il provvedimento, si pensi ad una controversia del valore di 5 mila euro: chi vince non potrà attendersi da chi perde una somma più onerosa e qualora la parcella da corrispondere al proprio avvocato fosse più elevata, la parte eccedente rimarrebbe a carico del cliente, nonostante la vittoria della causa.

Questo provvedimento proposto dalla legge punta, di fatto, a rimuovere il quarto comma dell’articolo 91 del codice di procedura civile che, attualmente, prevede lo stesso trattamento solo nella circostanza delle cause previste dall’articolo 82 del medesimo codice. Le cause in questione sono quelle il cui valore non supera i 1.100 euro e che sono destinate alla competenza del giudice di pace, va inoltre detto che la normativa vigente fissa nel limite di 1.100 euro ogni possibile voce: “spese, competenze e onorari”.

La differenza principale, dunque, è che con la legge di Stabilità il limite pecuniario riguarda qualsiasi causa, anche se viene precisato che i compensi non comprendono le spese. Questo comporta che il giudice liquiderà i compensi con il limite determinato dal valore della causa, le spese, invece, si aggiungono; si tratta di un criterio di liquidazione delle spese di giudizio che si somma a quelli già previsti dal decreto 140/2012 sui cosiddetti parametri surrogati delle tariffe forensi.

Chi trae vantaggio da questa normativa è chi perde la causa, soprattutto quando il valore della causa è basso e il compenso fissato dal giudice (obbligato a rispettare il tetto) è facile che sia inferiore alla cifra che l’interessato e l’avvocato hanno inserito nel contratto stipulato fra loro. In questo modo si rischia di scoraggiare il ricorso alla giustizia, vista la prospettiva di non poter recuperare il denaro che si investirà nel procedimento legale. L’avvocato, inoltre, è tenuto ad informare il cliente di questo vincolo di modo che esso possa agire con consapevolezza dei costi.

Non sfuggono a questa politica nemmeno i tribunali le cui entrate, nella fattispecie il contributo unificato, ossia il balzello da corrispondere ogni volta che ci si rivolge al sistema giudiziario, sono normate da questa nuova regola. Si tratta quindi di aumenti del contributo soprattutto nel settore della giustizia amministrativa.

Gli aumenti pertengono tutte le tipologie di procedimento, con qualche differenza rispetto alla prima versione del disegno di legge. In principio il contributo in materia di accesso ai documenti amministrativi e quelli avverso il silenzio dell’amministrazione cresceva da 300 a 350 euro, adesso questa ipotesi è stata scartata.

Nel disegno di legge sulla stabilità c’è stato un ritocco anche sugli appalti; per queste controversie di competenza del Tar e del Consiglio di Stato, si individua una scaletta in base al valore della causa: il contributo dovuto è di euro 2 mila (contro i 3 mila della prima versione) quando il valore della controversia è pari o inferiore a euro 200 mila; per quelle di importo compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro il contributo dovuto è di euro 4.000, mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro è pari ad euro 6 mila (era 5 mila nella versione originaria).

Cresce il contributo unificato anche per tutti i processi amministrativi in ambiti diversi da quelli sopraccitati: si passa, infatti, da 600 a 650 euro. Un incremento più significativo si registra per tutti i giudizi in cui si applica il rito abbreviato con termini ridotti a metà (materie previste dal libro IV, titolo V, del codice del processo amministrativo e altre disposizioni speciali): il contributo unificato aumenta da 1.500 euro a 1.800 euro.

Verrà inoltre pagato un contributo doppio per i giudizi di impugnazione avanti al consiglio di stato e si paga un secondo contributo nell’ evenienza in cui le impugnazioni anche civili siano respinte o dichiarate improcedibili o inammissibili.

Redazione

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