Il progetto di istituzione delle Città metropolitane

Luigi Oliveri 18/09/12
Scarica PDF Stampa
Il progetto di istituzione delle dieci Città metropolitane dell’art. 18 del decreto legge n. 95 del 2012, sulla spending review, ha il merito di avere rilanciato il difficile tema del governo delle aree metropolitane, di cui si discute da tanto tempo senza riuscire ad individuare un modello condiviso dai diversi soggetti istituzionali e dalle forze politiche.

La soluzione adottata in via d’urgenza nel provvedimento di revisione della spesa pubblica del 6 luglio scorso, però, sembra troppo affrettata e si presta a diverse critiche per i tanti punti di debolezza e di ambiguità presenti nella nuova disciplina.

Prima di affrontare il contenuto della nuova disciplina ed esaminarne gli aspetti più critici, è opportuno ricordare che è da tempo sentita l’esigenza di creare un distinto modello di governo per le grandi aree urbane. Ovvero, per quelle aree, non necessariamente molto estese, ad alta ma anche a bassa densità, costituite, di regola, dal Comune capoluogo e da altri comuni in contiguità territoriale, da centri e periferie, da aree forti per economia e servizi e da aree deboli, dove risaltano relazioni economiche e culturali fortemente integrate e interessi complessi che superano i singoli confini comunali. Queste aree, dove è presente anche una forte esigenza di fruizione comune di servizi generali essenziali per la vita sociale, si configurano spesso come un unico complesso, strettamente integrato o organizzato gerarchicamente.

Il fenomeno,  presente in tutte le grandi città del continente europeo e non solo, creato all’origine dall’avvento della società industriale, con il passare del tempo si è aggravato per gli effetti della globalizzazione e la presenza in questi territori di un numero sempre più crescente di non residenti “fruitori” giornalieri o per periodi limitati nell’anno dei servizi urbani (turisti, uomini d’affari, studenti, ecc). Sono aumentate, con il passare degli anni, le grandi concentrazioni urbane, e, più in generale, le cosiddette “città diffuse o esplose” , quelle che si estendono nel territorio contiguo ai propri confini convenzionali e diventano luogo di intersezione, e, nello stesso tempo, di frammentazione, di diverse relazioni economiche, sociali e culturali.

Giova ricordare anche che è patrimonio comune l’idea secondo cui questo fenomeno, non sia gestibile, con efficienza ed efficacia, con le strutture amministrative locali tradizionali (comuni e province) per la complessità e varietà delle problematiche sottese, e che debba essere affrontato con altri modelli di governo. Questo anche perché i comuni capoluogo di queste realtà urbane si trovano sempre più in affanno nel governare i grandi fenomeni dell’area, che oltrepassano i loro confini municipali, quali i trasporti, la qualità dell’ambiente, l’organizzazione e gestione dei rifiuti, la viabilità, ecc.

E’ opinione diffusa, in particolare, che in queste realtà urbane, le complesse problematiche si possono affrontare e risolvere, in modo più efficiente ed efficace, con la creazione di un unico e specifico centro decisionale amministrativo, dedicato proprio alla composizione e cura degli interessi, comuni a tutta l’area e non frazionabili, e all’organizzazione e gestione dei servizi pubblici di interesse generale non programmabili e non governabili, in modo ottimale, dalle singole realtà municipali.

I diversi modelli di governo metropolitano –Diversi sono i modelli di governo di queste aree utilizzati. Il governo metropolitano, in particolare, è organizzato, a volte, come associazione volontaria di comuni con poteri delegati dagli associati, come New York, Los Angeles, San Francisco; in altri casi, come agenzia funzionale per specifiche politiche, sull’esempio dei special districts degli Stati Uniti o dei joint committees di Londra fino al 2000, o di Barcellona dopo la soppressione dell’autorità metropolitana nel 1987. Altre volte, il governo metropolitano è stato identificato come “città – stato” o “città – regione” con tutti i poteri di questo livello di governo, alla maniera di Berlino, Amburgo, Vienna, Bruxelles, o ha assunto la forma di ente sovracomunale, e, in questo caso, a elezione diretta, sul modello di Londra dal 1965 al 2000, o espressione dei comuni del territorio metropolitano, ad elezione diretta o meno, con poteri legali e una fiscalità, a volte, autonoma, come Lione, Bordeaux, Lisbona, Porto (Luigi Bobbio, I governi locali nelle democrazie contemporanee, Bari, 2002).

In Italia, com’è noto, i progetti di istituzione delle città metropolitane sono rimasti sulla carta: dal primo più datato della legge n. 142 del 1990 (artt.17- 21), all’altro del testo unico degli enti locali n. 267 del 2000 (artt. 22 – 27), fino a quello più recente della legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 (art. 23).

Così come non sono riusciti – è bene ricordarlo – neppure i più modesti e limitati progetti dei piani urbanistici intercomunali, dei comprensori promossi dalle regioni e dei consorzi funzionali fra comuni e fra questi e la provincia.

La questione è rimasta irrisolta per diversi fattori: per un verso, la difficoltà di applicare il modello di governo unico e non differenziato della sovracomunalità, individuato dalla norma, in tutte le nove concentrazioni urbane qualificate come aree metropolitane, molto disomogenee fra di loro per dimensioni e caratteristiche e di coordinarlo con gli altri livelli di governo locale tradizionali (regione, provincia, comuni); e, per l’altro, l’esistenza di forti veti istituzionali incrociati, che hanno paralizzato l’azione delle regioni e delle autonomie locali

In definitiva, le nove, e, dal 2009, le dieci città metropolitane non sono mai state istituite, anche se l’ente “città metropolitana” ha ottenuto, con la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, il pieno riconoscimento costituzionale (artt. 114, 117,118 e 119 Cost.).

La disciplina delle città metropolitane, dopo diverse e disorganiche modifiche, ha trovato, quindi, il suo rilancio in un provvedimento di decretazione d’urgenza, estraneo alla materia del riordino istituzionale e dedicato alla revisione della spesa pubblica per centrare gli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei. Mentre sarebbe stato auspicabile che la regolamentazione definitiva di questo nuovo ente fosse contenuta nella nuova Carta delle Autonomie, giacente da tempo in Parlamento (ddl S. n. 2259), ossia in un progetto organico di ridefinizione del sistema delle autonomie locali.

Qui la versione integrale dell’articolo, scritto in collaborazione con Giuseppe Panassidi

Giuseppe Panassidi

 

 

Luigi Oliveri

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento