Ludopatia, malattia del nostro tempo

Elena Tugnoli 09/09/12
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Ma come mai è esploso questo fenomeno? Perché se prima c’era il superenalotto e qualche gratta e vinci, ora ci sono macchinette e videopoker in quasi tutti i bar?

Lasciamo da parte l’aspetto economico della faccenda e pensiamo a quello che può passarci nella testa, dal momento in cui decidiamo di “investire” i nostri soldi in questo sistema.

Sono molti i motivi che spingono a rivolgersi alla fortuna. Ora più che mai questa patologia dilagante probabilmente rispecchia lo stato attuale delle cose, a livello di sensazione di mancanza di certezze.

Probabilmente sì, probabilmente perché mancano gli strumenti per rispondere, o le forze per rimboccarsi le maniche e per trovare la certezza in quello che facciamo quotidianamente.

Oggi, dal pensionato alla madre di famiglia, tutti scelgono di credere nella dea bendata e di giocarsi gli ultimi soldi.

Non so se dire che sia un fenomeno socioculturale o semplicemente un comportamento disperato, ma sta di fatto che se vai al bar a prendere un caffè la mattina c’è già gente che gioca.

Gioca perché spera che sia il suo giorno, ogni giorno.
Gioca perché crede che esista la fortuna, perché non ha altri mezzi per trovare qualcosa che gli dia la certezza, ed oggigiorno la certezza è economica.
Gioca perché non ha più punti di riferimento, o forse non sa più leggerli.

Una volta, bastava un lavoro ed una famiglia, oggi tutto questo c’è meno e i cambiamenti sono più veloci, siamo più individualisti e competitivi… e chi non sta al passo finisce per non sapere come affrontare la cosa e trova risposte in… illusioni.

Questo meccanismo è socialmente mantenuto. Con ludopatia si considera del gioco d’azzardo soprattutto l’utilizzo di macchinette, gratta e vinci  senza un limite, senza freni, senza riflettere su ciò che può implicare nella propria vita.

È una dipendenza socialmente accettata, socialmente riconosciuta, socialmente mantenuta. Se ci immaginiamo un tossicodipendente pensiamo a qualcuno, disperato, da cui mantenere le distanze. Così come pensiamo ad un alcolista, pensiamo a qualcuno in balia dei suoi problemi senza strumenti per risolvere i problemi. Se pensiamo ad  un dipendente dal gioco non ci fa lo stesso effetto. Diciamo: “vabbe’ ha giocato e gli è andata male”; eppure le conseguenze sono le stesse, e gli effetti della dipendenza pure. Non rischi l’overdose, non rischi la cirrosi epatica ma rischi a livello fisico a causa dello stress ci sono, rischi di perdere tutto come con le altre dipendenze, di perdere famiglia, soldi, lavoro, casa… è una dipendenza… è una patologia.

La ludopatia è forse la malattia del nostro tempo.
E’ la risposta che chi sta male dà per ritrovare una guida o qualcosa in cui credere.
Ma con molti effetti collaterali.

Elena Tugnoli

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