La Babele dei giuristi su Napolitano, intercettazioni e Costituzione

Redazione 22/08/12
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Monta l’onda dei costituzionalisti, e dei giuristi in generale, sul caso intercettazioni. Il conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano contro la Procura di Palermo, a proposito di alcune conversazioni telefoniche che lo vedono coinvolto con l’ex ministro Mancino, ha scatenato esponenti di spicco del diritto italiano, che sulla questione non sembrano trovare una comunanza di vedute. I dialoghi di Napolitano, è stato a più riprese osservato, non costituirebbero alcun rilievo al fine delle indagini.

Da ultimo, a riaprire la discussione sulla legittimità o meno delle intercettazioni al capo dello Stato, è intervenuto l’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, che, in un discusso fondo su Repubblica ha espresso giudizio negativo sulla mossa del Quirinale. Il giurista osserva che nel ricorso presentato dal Colle, il richiamo alla legge 219/1989 è fuorviante, poiché tale disciplina non riguarda il caso in oggetto, trattandosi di indagine ordinaria e di intercettazioni fortuite. In  quella norma, specifica il giurista, “non c’è niente sulle intercettazioni fuori del procedimento d’accusa; niente sulle intercettazioni indirette o casuali“. In sintesi, insomma, secondo Zagrebelsky male è incorso il presidente della Repubblica a muovere conflitto al cospetto della Corte costituzionale, scatenando un conflitto istituzionale ben al di là della portata del caso specifico, che, secondo Zagrebelsky, Napolitano farebbe meglio a ritirare.

Non distante dall’ex presidente della Consulta si trova la costituzionalista Lorenza Carlassare, che in un’intervista al Manifesto riprende le parole dello stesso Zagrebelsky, sottolineando come quella del presidente della Repubblica non sia una figura “totalmente immune. La sua irresponsabilità è politica, non penale. La Costituzione – articolo 90 – limita agli atti compiuti all’esercizio delle sue funzioni. Il presidente come soggetto privato è responsabile come tutti gli altri cittadini“. La giurista ammette, comunque, l’invocabilità di un intervento normativo che regoli questa spinosa materia.

Di diversa posizione è, invece, un altro costituzionalista di lungo corso, Valerio Onida (anch’egli già membro della Consulta) che all’Unità dichiara come il ricorso del capo dello Stato “non interferisce sulla sostanza delle indagini. E’ giusto che il presidente abbia posto la questione all’organo competente“. Ma il vero punto interrogativo, secondo Onida, è un altro: “Occorre capire se la Procura è competente o meno su questa indagine. A me pare di no, poiché si indaga su ipotetici reati ministeriali“. Soprattutto, però, Onida non fa mistero di attendersi tutele per “le persone non coinvolte nei reati ma in conversazioni non rilevanti“.

Infine, altro appunto viene mosso dal senatore Idv Luigi Li Gotti, che sul suo blog ricorda come “la Corte Costituzionale ha già detto che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge”. A suffragio di questa affermazione, Li Gotti cita la sentenza della Consulta del 26 maggio 2004 n. 154 (con firmatari il presidente Zagrebelsky e il redattore Onida), secondo la quale il capo dello Stato ha gli stessi diritti, gli stessi doveri di un qualsiasi altro cittadino e, dunque, deve attendersi il medesimo trattamento. Si trattava di dirimere una controversia tra l’allora inquilino del Quirinale Francesco Cossiga, condannato a risarcire in sede civile due parlamentari per diffamazione. La sentenza stabilisce dunque che “spetta all’autorità giudiziaria, investita di controversie sulla responsabilità del Presidente della Repubblica in relazione a dichiarazioni da lui rese durante il mandato, accertare se le dichiarazioni medesime costituiscano esercizio delle funzioni, o siano strumentali ed accessorie ad una funzione presidenziale“.

A questi, si aggiunge un altro, autorevole commento – in calce al bell’articolo di Angela Bruno – da parte di Domenico Corradini H. Broussard, già ordinario di filosofia del diritto a Pisache si appoggia alla sentenza citata da li Gotti dandosi la seguente risposta: “Chi decide se un atto del presidente della Repubblica è atto compiuto nell’esercizio delle sue funzioni e pertanto coperto dall’immunità prevista dall’art. 90 della Costituzione o se invece è un atto non compiuto nell’esercizio delle sue funzioni e pertanto assoggettabile alle norme comuni che valgono per i comuni cittadini, così diventando inammissibile l’eventuale ricorso alla Corte costituzionale? Il giudice ordinario in primo e in secondo e in terzo grado: questa è la risposta. E non è la mia risposta. È la risposta della Corte costituzionale 26 maggio 2004. n. 154, per il caso del presidente della Repubblica Cossiga contro i senatori Sergio Flamigni e Pierluigi Onorato. Presidente: Gustavo Zagrebelsky. Redattore: Valerio Onida. Solo che Zagrebelsky se n’è ricordato e Onida no.”

Insomma, per quanto sembri emergere una maggioranza di giuristi critica verso il presidente della Repubblica, allo stato attuale l’unica certezza è che spetterà alla Corte Costituzionale il compito di fare chiarezza sul conflitto sollevato da Napolitano. Compito ingrato che, come ha scritto Zagrebelsky, finirà per accusare la Consulta “d’irresponsabilità se, per improbabile ipotesi, desse torto al Presidente, o di cortigianeria dandogli ragione“.

 Leggi la sentenza della Corte Costituzionale 154/2004

Redazione

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