Mediazione e processo, alla ricerca dell’armonia perduta

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Tizio, parte convenuta in giudizio, eccepisce, in via pregiudiziale, l’improcedibilità dell’azione proposta dagli attori, i signori Caia e Sempronio. Secondo il convenuto, per l’appunto, non vi sarebbe corrispondenza ed identità fra le domande contenute nell’istanza di mediazione prodromica ed obbligatoria (D.Lgs. nr. 28 del 2010) e le domande proposte formalmente nel giudizio in corso.

Nello specifico, all’interno dell’istanza di mediazione viene chiesto:

1)l’accertamento della sussistenza del diritto di servitù gravante sul fondo servente di proprietà del signor Tizio a favore del fondo di proprietà degli istanti;

2)la fissazione delle modalità di esercizio della servitù secondo determinati criteri (…);

3)il riconoscimento di una somma da determinare in via equitativa, a ristoro dei disagi patiti.

Attivato il processo civile, nell’atto di citazione, successivo, i medesimi attori richiedono:

a) l’accertamento della regolare costituzione del diritto di servitù di passaggio a favore del fondo di loro proprietà come previsto in atto notarile o, in subordine, a seguito del decorso del ventennio necessario per usucapire detto diritto reale, ovvero per destinazione del padre di famiglia;

b) ulteriori domande di determinazione dell’esercizio di detto diritto;

c) il relativo risarcimento dei danni.

Il Tribunale incaricato, analizzata la quaestio, rigetta l’eccezione di improcedibilità dell’azione sollevata dal convenuto.

Ebbene, l’art. 5 del D.L.gs. nr. 28 del 4 marzo 2010 prevede che: ‘’chi intenda esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di diritti reali è tenuto, preliminarmente, ad esperire il procedimento di mediazione (…)’’. L’art. 4 del medesimo Decreto afferma che: ‘’l’istanza deve contenere l’indicazione dell’oggetto e delle ragioni della pretesa ai fini di consentire alle parti di raggiungere un accordo conciliativo in merito’’.

Un’istanza, quindi, estremamente ‘’agile’’ e ‘’snella’’ che non richiede, ex legge, uno studio particolare ma solo poche indicazioni sostanziali. In tal senso, rileva, comunque!, un’analogia normativa, non casuale, con l’art. 125 c.p.c. (in punto di: personae, petitum, causa petendi), ‘’fatta evidente eccezione per gli elementi di diritto!’’. A rigore, quindi, si instaura ‘’un’armonia’’ tra i fatti narrati in sede di mediazione e i fatti esposti in sede processuale; in caso contrario si concretizza processualmente una palese improcedibilità.

Ponendo attenzione all’aspetto pragmatico, della procedura di mediazione in quaestio, non risulta essere obbligatoria l’assistenza tecnica di un difensore, per cui ne consegue che le istanze/ domande proposte in tale sede non necessitano di una formulazione esatta sotto il profilo tecnico-giuridico. Ad ogni modo, dal D.Lgs. nr. 28/10 si evince, espressamente, che in sede di mediazione non è necessario inquadrare giuridicamente il fatto perché l’istanza di mediazione non richiede anche l’indicazione degli elementi di diritto, come invece accade per la citazione, il ricorso e gli atti in generale (ex art. 125 c.p.c.). Sempre in riferimento ala caso di specie, sotto il profilo sostanziale-processuale, inoltre, occorre rilevare la nota distinzione tra i diritti obbligatori-relativi e i diritti reali (le servitù prediali p.es.): ebbene, mentre i diritti obbligatori per la loro identificazione necessitano del titolo, i diritti reali si identificano, processualmente!, per mezzo della sola indicazione del proprio contenuto.

Ad affermare l’orientamento normativo, appena descritto, è lo stesso Tribunale di Mantova, il quale recentemente con un’ordinanza, nr.rg. 158/12, ha espressamento dichiarato che, nel caso di specie: ‘’il diritto reale di servitù appartiene alla categoria dei diritti reali cc.dd. autodeterminati, i quali si identificano in base alla sola identificazione del contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte (…), per cui come è noto la modificazione del titolo anche in corso di causa non costituisce domanda nuova (…)’’. A parere del giudice, dunque, ‘’sulla base di tale principio, non costituiscono domande nuove i diversi titoli allegati in atto di citazione a fondamento della domanda di accertamento proposto!’’

Insomma, l’istituto giuridico della mediazione muta la direzione della controversia: il ruolo dell’istanza non è quello di tracciare una valutazione tecnico-‘’giusta’’, ma di raggiungere una soluzione ‘’partecipata’’, da entrambe le parti (sostanziale autonomia tra le parti), nella controversia. Nonostante il compito del mediatore sia quello di facilitare le conciliazioni spontanee degli interessi in conflitto (che assicurino ad entrambe le parti un risultato pienamente soddisfacente) e di ridurre, quindi, il numero di nuove cause giudiziarie, sorgono delle riflessioni ‘’contrastanti’’ in merito.

Considerata la normativa di riferimento e le differenti pronunce in materia si può affermare che l’istituto giuridico della mediazione potrebbe contenere un maggiore ‘’vantaggio’’ se venisse utilizzato per attuare, in primis, un concreto primo esame della situazione litigiosa (…). Nello specifico, il relativo titolo su cui si fonda l’azione (causa petendi) dovrebbe rilevare tecnicamente, anche, all’interno dell’istanza di mediazione e si dovrebbe porre ‘’in armonia’’ con l’eventuale causa petendi successiva, presentata in sede processuale. In ragione di ciò, l’atto introduttivo della mediazione, dal punto di vista processuale, non dovrebbe essere così tanto autonomo, libero, ‘’negoziale’’. A questo punto ci si domanda: l’istituto della mediazione, se coerentemente costruito, potrebbe offrire alle parti, anche, una ‘’svincolata’’, ‘’alternativa’’ ma soprattutto ‘’giusta’’ valutazione della propria ‘’posizione giuridica’’ prima del processo?

…Pensando al concetto esteso di giustizia, di legalità, si auspica un necessario coordinamento tra l’attività svolta avanti il mediatore e quella che ha luogo davanti al giudice: è questo anche, e soprattutto, in punto di diritto!

Tiziano Solignani

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