Legge Mancia: la spending review dei furbetti del Palazzo

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Alcuni emendamenti spesso passano inosservati nonostante vengano approvati, vuoi perché sono quasi incomprensibili per come sono formulati, vuoi perché è difficile essere sempre attenti alla marea di provvedimenti che ormai regolarmente vengono emessi dal governo, ed è così che ci si ritrova con leggi modificate e non per il bene dei cittadini. E’ il caso dell’emendamento firmato da Paolo Giaretta del Pd e Gilberto Pichetto Fratin del Pdl, relatori in senato della spending review.

Questa, ormai celeberrima, manovra destinata a decurtare i fondi per la sanità, azzerare le casse degli enti locali, incapace nonostante tutti i tagli di reperire i 38 milioni necessari per garantire i 2000 esodati del gruppo Finmeccanica, ha invece avuto l’ardire, per non dire la sfacciataggine, di “rimediare” ben 10 milioni di euro per ingrassare il già pletorico fondo spese dei gruppi parlamentari. Questo emendamento è meglio conosciuto con la dicitura di Legge Mancia, ossia il denaro spicciolo a disposizione degli eletti per sostenere piccole spese nei collegi di provenienza (esempio, gruppi come Pd, li devolvono tutti ad un fine che in questo periodo è l’emergenza sisma, altri come IdV non partecipano proprio al finanziamento).

La legge Mancia, per semplificare ulteriormente il discorso, disponeva di un budget di 150 milioni, divisi in 100 per quest’anno e 50 per il prossimo in ossequio ai sanguinosi tagli della spending review appunto. Ecco però che a questo punto si verifica un vero e proprio numero di illusionismo, i milioni per quest’anno vengono portati a 70, quindi viene fatto registrare un risparmio di 30 milioni, ma, udite udite, il prossimo anno i finanziamenti verranno aumentati di 40, ossia 10 milioni in più di quelli appena tagliati quest’anno. Ergo, il totale nel biennio passa da 150 a 160 milioni, e quei 10 milioni sono i cittadini a metterli, con i contributi, nelle tasche della classe politica.

Spiega Silvana Mura, deputata dell’Italia dei Valori, che “ancora peggio è il fine dell’operazione, anche se questa è una mia illazione e non ho le prove. Perché infatti spostare la maggior parte della spesa (guadagnandoci pure 10 milioni) all’anno prossimo? Perché si cerca di prendere tempo, visto che, considerata la situazione economica e politica, è probabile che nessuno avrà il coraggio di spartirsi i soldi del 2012”. Continua nella sua spiegazione la tesoriere dell’IdVconviene spostare il malloppo al 2013 in attesa di tempi migliori e pure per schivare un mio ordine del giorno già approvato che impegna il governo a destinare tutti i soldi al terremoto”.

Nemmeno l’esecutivo, a questo punto, ne esce benissimo da questa storia “vede, tace e non provvede – continua Mura – perché un membro del governo mi ha detto chiaro e tondo: noi fino alla fine dell’anno stiamo fermi per rispetto del Parlamento”. Esposti i fatti, però non ci si faccia illusioni, non esistono possibilità che il decreto venga cambiato o rivisto alla Camera, anche solo per destinare quei famigerati 38 milioni, prendendoli dal fondo della legge Mancia, a quei 2000 esodati di Finmeccanica o per impiegarli nelle zone colpite dal sisma. Il governo, infatti, a riguardo è stato molto chiaro, la spending review deve essere approvata da Montecitorio così com’è se si vuole mandarla in stampa in Gazzetta prima delle vacanze estive.

Il fatto è talmente noto che a Montecitorio tutti erano certi che il voto finale sarebbe giunto venerdì sera e la questione si sarebbe chiusa così: e invece no, ci ha pensato Gianfranco Fini, preoccupato dall’immagine di un Parlamento che si prende un intero mese di ferie,  ha proposto, così, di votare martedì o mercoledì prossimo. E’ sconsolante sapere che anche gli stessi deputati la ritengano “inutile” come ha candidamente ammesso Touadì del Pd, la cosa beffarda poi è che questo provvedimento sia finito all’interno di quel contenitore che si chiama spending review, rappresentato spesso come un’ascia o una forbice immaginaria ma non è questo il caso visto che i cordoni della borsa che si aprono sono sempre i soliti, quelli dei cittadini.

Alessandro Camillini

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