Puntare sul “valore aggiunto” per resistere alla crisi

Davide Lucania 14/07/12
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In questo periodo di grave crisi economica, una via che hanno perseguito molte aziende italiane ed europee in generale, è stata quella di trasferire la produzione nei paesi asiatici, così da ottenere significativi risparmi sul costo del lavoro, con effetti purtroppo devastanti sull’occupazione e di conseguenza sull’economia di tutta l’eurozona.

Tra l’altro considerando il trend al rialzo del prezzo del petrolio, i costi di trasporto stanno erodendo i margini che derivavano dai risparmi sul costo della manodopera, tanto da convincere un già buon numero di aziende a percorrere la via inversa, ovvero tornare a produrre nelle zone d’origine dove è senz’altro più semplice trovare manodopera all’altezza, seppur a costi più elevati. Questo fenomeno è al momento più evidente nel Nord America, ma è probabile che possa “ripetersi” anche nel vecchio continente, soprattutto considerando che in Europa tende a ripetersi ciò che accade negli Usa, seppur dopo qualche tempo.

Quello che ci interessa, tuttavia, trattare è il come le aziende italiane possono restare “a galla” in una situazione così complicata, come quella che si è venuta a creare: non tutte le imprese infatti, sono in crisi o addirittura a rischio chiusura, ce ne sono alcune, grandi e meno grandi, che, piuttosto, vedono addirittura aumentare i propri margini, quali sono? Semplice, quelle che puntano sul valore aggiunto. Oggi infatti non è possibile competere sul prezzo, una qualsiasi azienda italiana, per quanto possa produrre materiale di basso livello, avrà sempre un costo e quindi un prezzo di vendita più alto rispetto a quanto proposto da un’azienda che produce in Asia.

Le teorie aziendali sviluppate dai vari luminari che hanno studiato questi fenomeni dicono chiaramente che, se non è possibile perseguire una leadership (o un vantaggio) di costo, è necessario perseguire un vantaggio competitivo di differenziazione, in quanto rimanere in mezzo al guado (e quindi non essere né carne né pesce), è la strategia più deleteria.

Non a caso le aziende italiane più famose nel Mondo sono case di moda, costruttori automobilistici e motociclistici, produttori di alcuni beni di tipo alimentare e poche altre, ovvero quelle che possono far valere un brand ben distinto (sì perché la differenziazione si ottiene anche trasmettendo emozioni e virtù tramite il proprio marchio), ma soprattutto quelle che “trasformano” le materie prime (o semi-lavorate) in qualcosa di unico, il famoso sogno da indossare o da guidare!

Ecco dunque l’unica maniera che ha un’azienda italiana per sopravvivere e prosperare in tempi di ristrettezze economiche come questi. Ovviamente, mentre sulla carta sembra piuttosto semplice, non lo è di certo nella realtà, per ottenere una superiorità di questo tipo, rispetto ai competitors, infatti, servono investimenti ingenti sia per la comunicazione, ovvero per far conoscere il marchio e il prodotto e per iniziare a trasmettere dei valori e dei principi, sia per creare veramente dei prodotti di alto livello, quindi formazione del personale, attrezzature all’avanguardia e approvvigionamento di materie prime di qualità. Un altro aspetto da tenere in alta considerazione è il fattore tempo, possono servire anni, se non decenni, per “convincere” il mercato di un certo prodotto o di una certa azienda, ciò significa che il ritorno finanziario dell’investimento può anche arrivare una generazione dopo quella che ha iniziato il processo, così come può anche non arrivare per niente, perseguire strategie di questo tipo, infatti, richiede interventi praticamente perfetti, un piccolo errore può far crollare tutto il “castello”, vanificando così ogni sforzo.

Servono tempo, soldi, pazienza, è però l’unica via per prosperare nel mondo attuale, attendiamo di sapere chi raccoglierà la sfida, e sopratutto….chi la vincerà.

Davide Lucania

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