Servizi pubblici? Chiusi per ferie! L’ideona della spending review

Luigi Oliveri 04/07/12
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La manovra finanziaria, spacciata per spending review, presentata tra molte reticenze il 3 luglio alle parti sociali ed agli enti locali conferma che il Governo sulle ferie e sul concetto di servizio pubblico non ha le idee chiarissime. E se davvero si attuerà la clamorosa “ideona” (il Ministro Passera ha detto che non ce n’erano: purtroppo, invece, abbondano…), dimostra di non avere nemmeno completa contezza di quali servizi rendono le amministrazioni pubbliche.

Ma, andiamo con ordine. Solo pochi giorni fa il Sottosegretario Polillo aveva affermato che con una settimana di ferie in meno, si recupererebbe ben un punto di Pil. In molti avevano fatto notare che quell’ideona non avrebbe funzionato un granchè, visto il momento di crisi nel quale si vive; ad aumentare, probabilmente, sarebbero state solo le ore di cassa integrazione.

Era, comunque, un primo segnale: il Governo su ferie e festività aveva intenzione di puntare.

L’iniziativa parte da lontano. Si ricorderà che una delle più strampalate norme delle manovre finanziarie estive dello scorso anno, per la precisione la seconda (il d.l. 138/2010) aveva disposto lo spostamento delle festività civili al venerdì o alla domenica successiva. Non se ne è fatto più nulla, perché non è mai stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto stabilire, stile Woody Allen nel film “L’imperatore dello stato libero di Bananas”, che il lunedì di Pasqua si sarebbe dovuto tenere la domenica.

Però… però, le ferie, sì, hanno continuato a solleticare i “tecnici” e i “tecnici al quadrato” in questo momento alla guida del Paese.

Per quanto la delega al Commissario Bondi non riguardasse per nulla il lavoro pubblico, com’era inevitabile, visto che la spesa per il personale incide non poco sulla spesa corrente (174 miliardi circa), la sedicente spending review non poteva non esaminare il dossier lavoro pubblico, per provare a contrarne le spese.

Visto che nessuno sembra avere il coraggio di fare ciò che due anni fa decisero Spagna e Grecia, ridurre, cioè, di qualche punto percentuale le retribuzioni, trapelano le idee più bizzarre e meno efficaci. Il “prepensionamento” dei dipendenti ultrasessantenni praticamente non vale nulla, essendo solo una partita di giro: il risparmio in stipendi viene azzerato dalla spesa previdenziale conseguente. E via con altre amenità, come il blocco dei concorsi per dirigenti di prima fascia, viatico attesissimo dai politici per continuare ad assumere – senza concorso, qui il trucco – dirigenti a contratto a tempo determinato.

Così, tra una misura più bizzarra e meno efficace dell’altra, la manovra presentata il 3, tra reticenze e mezze verità, incentra sulle ferie coatte dei pubblici dipendenti nelle settimane di ferragosto e tra Natale e Capodanno uno degli elementi di maggiore “effetto”.

Quale sia l’utilità concreta di simile iniziativa, oggettivamente sfugge ai più. Molti, tra i non addetti ai lavori, saranno portati a pensare che si tratti di una misura corretta e doverosamente da adottare, simmetricamente a quanto avviene nel privato, dove quando chiudono gli uffici e le fabbriche i dipendenti sono messi d’ufficio in ferie.

E deve aver pensato esattamente questo il Commissario Bondi: se accade alla Parmalat che a stabilimenti chiusi tutti vanno in ferie, perché ciò non avviene nel pubblico?

Se le cose stessero davvero così, ed effettivamente appare molto verosimile, si conferma che Bondi non è, e non poteva esserlo, l’uomo giusto al posto giusto. Egli è un uomo stimato e stimabile, ma oggettivamente non ha una conoscenza completa e diffusa sull’organizzazione pubblica.

Solo chi non ha un’idea corretta di come fluisca e si svolga il lavoro non sa, infatti, che gli uffici pubblici sono aperti sempre, salvo le festività. Le attività pubbliche non sono fabbriche produttive, non ci sono commesse o appalti, si svolgono con continuità.

Non vi è, dunque, alcuna necessità di far fare le ferie ad uffici chiusi, perché gli uffici semplicemente non chiudono, come Bondi dovrebbe sapere e come, comunque, gli altri “tecnici” avrebbero dovuto dirgli.

Ma, non c’è da stupirsi se l’ideona sia passata per buona, in un Governo nel quale il Ministro della Funzione Pubblica pensa davvero che sia una concreta misura di risparmio impedire le telefonate urbane e ai cellulari, il che significa impedire da un lato le telefonate ai fantasmi (le telefonate “urbane” non esistono più), dall’altro impedire in assoluto di telefonare, poiché il cellulare è ormai “IL” sistema di telefonia imperante.

Sembra, per altro, evidente che l’idea di uffici pubblici in mente ai componenti del Governo sia coincidente con quella degli uffici amministrativi dei ministeri e dei loro staff. In effetti, se chiude l’ufficio di gabinetto di un Ministro a ferragosto o a Natale, considerando che in quelle settimane parlamentari e ministri sono appunto in ferie, non ci sarebbe molto di male.

Ma, il ragionamento non vale per tantissime altre amministrazioni, con l’eccezione della scuola già organizzata sul tema in relazione al calendario scolastico.

Nessuno ha riflettuto che sono “uffici pubblici” anche gli ospedali. E’ immaginabile un pronto soccorso chiuso a ferragosto, una sala operatoria ferma a Natale, una trasfusione fatta fare col fai da te al paziente a Pasqua?

Sono uffici pubblici le caserme, le questure, i commissariati. Mandiamo in ferie poliziotti e carabinieri, con tanti ringraziamenti di chi delinque?

Ma, sono svolti servizi pubblici continuativi anche dai “travet mezzemaniche”. Possiamo immaginare di non riuscire ad avviare un cambio di residenza, una denuncia a fini Imu, un deposito di un atto al catasto, una visura alla conservatoria dei registri immobiliari, l’attuazione di un esproprio, procedura caratterizzata da scadenze micidiali per l’erario pubblico, lo svolgimento di una gara d’appalto (e ci fermiamo qui con gli esempi) perché l’ufficio “chiude per ferie”? Ma di cosa stiamo parlando? O pensa il Ministro della Funzione pubblica, altissimo magistrato amministrativo, che dappertutto funzioni come nei tribunali, e cioè vi sia una pausa lavorativa di 45 giorni tra agosto e settembre?

Per altro, evidentemente sfugge ai “tecnici” che nel lavoro pubblico esiste un gigantesco problema di ferie arretrate e di violazione delle norme che ne impongono la regolare tenuta.

Sorge l’impressione, desolante, della ricerca della mossa “a effetto”, per vedere se funziona davvero, se possa avere qualche reale utilità. Che, unita alla caccia “all’untore”, il lavoratore pubblico, esita come risultato idee singolari, a dire poco, come quella delle ferie coatte.

Non si vorrebbe che al fondo vi fosse l’idea che così, per alcune settimane, ad uffici chiusi si risparmino le briciole delle solite telefonate, della luce, del gas, del raffreddamento in estate e del riscaldamento in inverno. Se davvero fosse così, saremmo messi davvero molto peggio di quanto non traspare.

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Bologna, giovedì 12 luglio 2012

Luigi Oliveri

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