Disegno europeo anticorruzione, si completi l’opera!

Dario Fazzi 29/05/12
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L’organizzazione non governativa Transparency International calcola ogni anno il tasso percepito di corruzione in ogni paese. Il dato è particolarmente importante perché livelli elevati di corruzione si accompagnano a bassi tassi di crescita, ad una contrazione degli investimenti internazionali, ad alti tassi di disoccupazione e a valori minori di PIL pro capite.

A queste correlazioni si aggiunga che la corruzione, soprattutto quando riguarda i partiti politici, erode la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni democratiche. Si consideri inoltre che sotto il profilo della corruzione politica paesi come l’Italia, la Grecia, la Bulgaria e la Romania producono tra le peggiori performance al mondo. La conclusione di questo ragionamento è che, di fronte all’avanzare di fenomeni corruttivi delle elite politiche, ad essere a rischio sia la stessa credibilità dell’architettura istituzionale europea.

Ne è ben consapevole la commissaria Malmström, che ha lamentato l’eccessivo divario tra la sofisticatezza degli strumenti europei e la vaghezza degli interventi di alcuni stati membri. Le comunicazioni della Commissione, le raccomandazioni del Consiglio e gli atti del Parlamento per il contrasto e la prevenzione della corruzione politica si sono susseguiti senza soluzione di continuità sin dal Consiglio di Tampere del 2000. La lotta alla corruzione pubblica ha visto impegnata l’UE tanto nel potenziamento di una cultura anti-corruzione quanto nella promozione di pratiche legislative virtuose all’interno dei singoli stati membri.

L’Unione ha definito ineludibile l’introduzione di norme nazionali trasparenti in materia di finanziamento dei partiti e ha richiesto un controllo finanziario esterno in modo da scongiurare collegamenti occulti tra interessi pubblici e privati. Il fatto che i partiti siano spesso immuni dalle legislazioni nazionali anti-corruzione, per gli effetti che questo produce sul tasso di corruzione percepita, non può essere tollerato oltre.

Il disegno europeo ha dunque assunto i contorni di un’opera incompiuta. Da un lato, infatti, sussistono esempi positivi dove queste pressioni sovranazionali hanno prodotto un cambiamento, culturale prima ancora che legislativo, su sistemi partitici fortemente affetti da fenomeni corruttivi. Da un altro lato, invece, vi sono paesi che faticano a contrastare la corruzione delle proprie classi politiche.

Al primo gruppo appartiene, ad esempio, la Bulgaria. Sofia ha radicalmente riformato il sistema di finanziamento dei partiti e ha adottato una serie di misure tese a garantire una maggiore trasparenza nella selezione dei funzionari pubblici e nella gestione della pubblica amministrazione.

Anche la Romania ha lanciato una campagna di trasparenza amministrativa – le cui parole d’ordine sono state imparzialità, integrità ed efficacia – che è stata sostanziata dalla creazione di comitati di controllo regionali coordinati da una Direzione Nazionale Anticorruzione. Queste azioni hanno avuto come scopo precipuo la lotta alla corruzione politica, un fenomeno che è stato in grado di distrarre dal controllo pubblico una parte sostanziale degli stessi fondi europei destinati a Bucarest.

È andata diversamente in Grecia, dove, nonostante i ripetuti proclami del governo, la lotta alla corruzione politica ha avuto scarsi risultati. È recente il caso di compagnie private che, pur essendo state accusate di aver corrotto funzionari pubblici, hanno potuto acquisire senza alcuna opposizione contratti milionari per il potenziamento della metropolitana di Atene.

Fenomeni corruttivi riguardanti l’elite politica continuano, infine, ad essere un tratto distintivo della nostra Repubblica, oltre a costituire uno degli elementi di maggiore preoccupazione da parte degli osservatori internazionali. La mancanza di una normativa efficiente sulle forme di finanziamento pubblico riservate ai partiti è un forte limite allo sviluppo del paese. Il fatto che l’attuale normativa non imponga alcun obbligo di rendicontazione ai gruppi parlamentari né la pubblicazione dei bilanci ai partiti contribuisce a diffondere una maggiore percezione della corruzione politica.

Visti questi esempi contraddittori bisogna chiedersi se non sia arrivato il momento per l’Unione di abbandonare i proclami e passare all’azione con strumenti legislativi efficaci che prevedano meccanismi di controllo obbligatori per i singoli stati. Un’uniformazione imposta dall’alto eviterebbe il reiterarsi di fenomeni di creatività legislativa tesi a garantire una sostanziale impunità alle macchine politiche.

L’adozione di una normativa unica sul finanziamento dei partiti come parte integrante di una legislazione anti-corruzione sovranazionale, che possa ridare credibilità alle singole istituzioni nazionali ed europee, è condizione imprescindibile della ripresa economica almeno tanto quanto la riforma del sistema di finanziamento del debito pubblico. In questo caso una maggiore severità andrebbe ad esclusivo vantaggio dell’autorevolezza europea.

Dario Fazzi

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