Università: soluzioni semplificate per problemi difficili

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Sono stati pubblicati di recente due decreti legislativi (n. 18 e n. 19 del 27 gennaio 2012, sulla Gazzetta ufficiale dell’8 marzo), che vorrebbero rinnovare profondamente l’Università, come l’abbiamo conosciuta noi ex studenti un po’ maturi.
Fanno parte del disegno avviato con la riforma c.d. Gelmini (l. n. 240/2010), ed infatti costituiscono l’attuazione di deleghe lì emesse.
Il decreto legislativo 18/2012 introduce un sistema di contabilità economico-patrimoniale, la cui caratteristica saliente dovrebbe essere “la classificazione della spesa complessiva per missioni e programmi” (art. 4), dove le missioni sono definite “le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti dalle amministrazioni”, ed i programmi “gli aggregati omogenei di attività volte a perseguire le finalità individuate nell’ambito delle missioni”.
Il decreto legislativo 19/2012 introduce un sistema di:
– accreditamento iniziale e periodico di sedi e corsi di studio;
– valutazione della qualità della didattica e della ricerca;
– autovalutazione della qualità della didattica e della ricerca (art. 2).
Tale sistema sarà composto con atti amministrativi che fisseranno i criteri ed i metodi di valutazione, in armonia alle linee-guida riconosciute a livello europeo.
Il disegno complessivo è ambizioso e demiurgico: fare delle università dei enti produttori di didattica e ricerca con criteri economicistici di efficienza.
Da cittadino auguro certamente il successo a tali iniziative, giacché la vera ricchezza di una comunità è la sua cultura; però non posso fare a meno di sollevare un paio di osservazioni scettiche, collegate all‘applicazione tecnico-pratica delle norme.
La prima osservazione è che la produzione di cultura (non solo umanistica) non si presta a misurazioni quantitative precise, ed ancor meno a valutazioni in termini di costi/rendimenti, almeno immediati.
Come esempio, si può richiamare il tentativo di “meccanizzare” le valutazioni sulla produzione scientifica dei candidati, mediante l’applicazione dell’impact factor, che è appunto un indice numerico quali/quantitativo.
Tale indice non può però essere esaustivo, infatti, “La valutazione dell’impact factor non è una semplice operazione aritmetica, ma presuppone un momento di discrezionalità della Commissione. L’indice di impatto, infatti, deve essere considerato un elemento di giudizio sulla qualità complessiva della rivista più che sull’originalità scientifica dei singoli articoli che in essa vengono pubblicati, che invece devono essere valutati anche sotto gli ulteriori profili previsti dall’art. 4, d.P.R. n. 117 del 2000, al fine di evidenziare la complessiva maturità scientifica del candidato” (TAR Lazio, sez. III, n. 8466/2011).
La seconda considerazione è che nessuna norma o sistema giuridico può assicurare l’imparzialità delle valutazioni, se non è condiviso “nel cuore” da chi deve applicare le norme.
Basterà richiamare il vasto contenzioso in tema di incompatibilità tra i concorrenti ed i commissari delle commissioni giudicatrici per docenze.
Senza arrivare alla situazione surreale segnalata da Alessandro Ferretti su questa rivista, capita spesso che i commissari valutino l’operato di concorrenti, con cui essi hanno rapporti di collaborazione.
La giurisprudenza sul punto è piuttosto permissiva, perché ritiene che “non ogni forma di rapporto professionale o collaborazione scientifica tra commissario e candidato costituisce ipotesi d’incompatibilità ma soltanto quella in cui la comunanza di interessi economici o di vita sia di intensità tale da far sorgere il sospetto, che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale” (Cons. St., sez. VI, n. 5885/2010).
Di fatto l’applicazione di tale massima è lasciata alla discrezionalità del giudicante, cui spetterà di valutare l’intensità degli interessi economici e di vita, con buona pace degli indici di qualità e di produttività, delle linee-guida europee ecc.
Da questa piccola finestra sulla prassi dei concorsi universitari, si vede che i giudizi sul valore scientifico o didattico di opere e studiosi non si prestano ad essere ridotti alla meccanica applicazione di criteri numerici e che, quindi, l’applicazione delle norme in proposito rimane lasciata alla coscienza ed alla competenza degli operatori

Dario Sammartino

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