Stato di necessità e diritto all’abitazione: la Cassazione fa chiarezza

Scarica PDF Stampa
Una neomamma occupa stabilmente un immobile, di proprietà dello IACP, trasformandolo nella sua residenza fissa.

La Corte d’Appello di Palermo, in riferimento a tale occupazione, conferma la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale competente, ritenendo colpevole la donna per avere abusivamente occupato il bene immobile, ex artt. 633 c.p..

L’imputata decide di proporre ricorso in Cassazione avverso la sentenza, ritenendo che i motivi a suo favore siano evidenti. Il difensore della donna rivendica, infatti, che la Corte territoriale non avrebbe riconosciuto lo stato di necessità dell’imputata (soggetto senza alcun reddito e con un figlio neonato a carico) e non avrebbe rilevato la prescrizione del reato, ex art. 157 c.p..

L’impugnazione viene tuttavia rigettata anche in Cassazione, con conseguente condanna della responsabile alle relative spese processuali.

Ebbene, l’invasione di terreni o edifici, ex art. 633 c.p., può essere scriminata dallo stato di necessità, ex art. 54 c.p., nel caso sussista “un pericolo attuale di un danno grave alla persona”. In tale ultimo concetto di “danno” rientrano (oltre alla lesione della vita o dell’integrità fisica) quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, come il diritto all’abitazione (bene primario). E’ molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza il tema della configurabilità dell’esimente dello stato di necessità nelle ipotesi in cui il soggetto abbia posto in essere il fatto tipico, disciplinato dalla norma (ex art. 633 c.p.), in stato di bisogno economico e abitativo. Secondo l’orientamento oggi prevalente è da ritenere configurabile l’esimente, ex art. 54 c.p.anche in tutte quelle situazioni che pongono in pericolo, solo indirettamente!, l’integrità fisica. Le argomentazioni su cui si fonda quest’ultimo orientamento si incentrano prevalentemente sugli artt. 2 e 3 della Carta Costituzionale. Il diritto all’abitazione, costituzionalmente parlando, infatti, non si indirizza alla proprietà della casa in sé, ma alla casa in quanto essa sia destinata all’abitazione ‘’del proprietario’’. In tal senso, l’art. 47 Cost. disegna un tipo di proprietà che, da un punto di vista giuridico, può essere distinta e separata dall’art. 832 c.c.. Più precisamente, la prescrizione di favorire l’accesso alla proprietà dell’abitazione si è tradotta in una legislazione diretta ad agevolare l’acquisto di una casa. Gli istituti autonomi case popolari (IACP) sono, per l’appunto, degli enti creati al fine di rispondere alle esigenze abitative dei cittadini meno abbienti. I destinatari dell’attività di realizzazione e assegnazione di alloggi popolari sono identificati dalla legge, essenzialmente, in ragione della loro condizione di disagio economico. Gli alloggi IACP, pertanto, risolvono esigenze abitative attraverso peculiari procedure pubbliche e regolamentate. Ma di fronte a questa panoramica normativa-giurisprudenziale va ulteriormente evidenziato, in combinato disposto, che l’art. 54 c.p. per la configurabilità dello stato di necessità richiede che il pericolo (diretto o indiretto che sia) all’integrità fisica, oltre a sussistere, debba essere ‘’attuale’’, ‘’immanente’’, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio.

La Corte di Cassazione, con sentenza nr. 9265 del 9 marzo 2012, ritiene che nel caso di specie la doglianza della donna sia infondata in quanto una precaria ed ipotetica condizione di salute non può legittimare ai sensi dell’art. 54 c.p. un’occupazione ‘’permanente’’ di un immobile per risolvere, in realtà, in modo surrettizio, un’esigenza abitativa. Lo stato di necessità, continua la Suprema Corte di Cassazione, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio non certo per sopperire alla necessità di trovare un alloggio (…). La Corte ha più volte chiarito che non basta un mero stato di disagio abitativo ai fini della ricorrenza della scriminante, potendo essere questo ovviato mediante la richiesta di ausilio ai servizi sociali.

In tal senso, ci si chiede: le pratiche sociali oggi esistenti si spingono aldilà dei formalismi? Aldilà delle mere procedure pubbliche viene sempre garantito un ausilio alle persone in condizione di “permanente” disagio abitativo? E’ senza dubbio necessaria un’azione sociale sinergica che permetta alle Istituzioni impegnate a garantire sul territorio il diritto alla casa di concretizzare il perseguimento degli obiettivi sociali e di eguaglianza. Va ribadito che da un alloggio adeguato dipendono ulteriori connessi diritti essenziali: il diritto alla privacy, il diritto ad essere liberi dalla discriminazione, il diritto allo sviluppo, ma soprattutto il diritto a conseguire il più alto livello di salute mentale e fisica.

Qui il testo integrale della sentenza della Suprema Corte n. 9265/2012

Tiziano Solignani

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento