Si può comprimere il diritto di elettorato con un decreto legge?

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La questione in esame

E’ possibile comprimere il diritto di elettorato attivo e passivo con un decreto legge?

A seguire la recente evoluzione normativa sembrerebbe di sì.

Ben sette province (Vicenza, Ancona, Ragusa, Como, Belluno, Genova e La Spezia), di cui una situata in una Regione a statuto speciale con competenza esclusiva in materia di “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative”, dovrebbero andare al voto per scadenza naturale al prossimo turno elettorale del 6-20 maggio 2012 e invece, in forza del decreto “Salva Italia”, i cittadini non potranno più eleggere i loro rappresentanti provinciali.

Le fonti normative

La norma che introduce questa inedita situazione è l’art. 23, comma 20, del D. L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito in Legge 22 dicembre 2011 n. 214, che così prevede: “Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013 l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, si procede all’elezione dei nuovi organi provinciali di cui ai commi 16 e 17.”.

Tale disposizione si inserisce nel contesto della riforma delle Province che, nello stesso art. 23, prevede ancora, ai commi 15-17, che:

  1. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni;
  2. Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.
  3. Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalità stabilite dalla legge statale di cui al comma 16.

A completare i riferimenti normativi va richiamato infine l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000, che, sotto la rubrica Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali” prevede: “I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno:

a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico;

b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause:

1)  impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;

2) imissioni del sindaco o del presidente della provincia;

3) cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia;

4) riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio;

c) quando non sia approvato nei termini il bilancio;

d) nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei mille abitanti siano sprovvisti dei relativi strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di elezione degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato su proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”.

(…)

4. Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge.

5. I consiglieri cessati dalla carica per effetto dello scioglimento continuano ad esercitare, fino alla nomina dei successori, gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti.

La tecnica legislativa

Alcune considerazioni sono d’obbligo.

Numerosi approfondimenti dottrinari sono dedicati al tema, non certo banale, allorché si voglia porre l’attenzione sul concetto di tecnica legislativa inteso come l’esigenza di porre  ordine nel caos normativo crescente in misura esponenziale, e ciò sia in relazione al rapporto tra le fonti giuridiche sia in relazione al linguaggio, alla struttura e allo stile che caratterizzano la legislazione di oggi.

L’art. 23 citato non è certamente un grande esempio di buona tecnica legislativa.

Ma soffermiamo l’attenzione esclusivamente alla parte relativa alle province che dovrebbero andare al voto per scadenza naturale al prossimo turno elettorale del 6-20 maggio 2012.

Testualmente il comma 20 sancisce: “Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013 l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni”.

Abbiamo visto che l’art. 141 individua le ipotesi tassative di scioglimento anticipato dei consigli provinciali e comunali; non dispone alcunché ovviamente in tema di sospensione del rinnovo elettorale; al contrario al comma 4 precisa che “Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge”.

Dunque, seguendo l’interpretazione letterale della norma, come sarebbe previsto dall’art. 12 delle Preleggi, la disposizione non avrebbe alcun effetto, in quanto direbbe ciò che è già previsto e cioè che agli organi provinciali si applica l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000; anzi, a volere ulteriormente disquisire, sembrerebbe una norma che circoscrive l’ambito di applicazione dell’art. 141 esclusivamente “agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 e sino al 31 marzo 2013”.

Evidentemente non ha alcun senso.

Come non avrebbe alcun senso giuridico, se non quello di ribadire un principio ovvio, la disposizione contenuta nel secondo periodo del comma 20: “Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale”.

Ovvio, si direbbe.

Per cercare di interpretare l’intenzione del legislatore forse soccorre l’ultimo periodo del comma 20: “Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, si procede all’elezione dei nuovi organi provinciali di cui ai commi 16 e 17”.

Ma i commi 16 e 17 fissano principi generali non immediatamente applicabili (16.  Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012. 17.  Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalità stabilite dalla legge statale di cui al comma 16), in quanto rinvia alla legge dello Stato che deve essere emanata entro il 31 dicembre.

Ed allora si può davvero considerare compatibile con il nostro ordinamento giuridico che da tali disposizioni, così maldestramente formulate se non altro in rapporto ad una buona tecnica legislativa, derivino come effetti che:

1)     Si possano sospendere le elezioni amministrative per il rinnovo di sette consigli provinciali pur in assenza di una nuova disciplina elettorale?

2)     Si possa estendere l’applicazione della normativa straordinaria sullo scioglimento anticipato di organi democraticamente eletti e sul commissariamento di Enti costitutivi della Repubblica ad una fattispecie nuova, diversa, non patologica, introdotta con decreto legge e riferita alla scadenza naturale degli organi stessi?

Ma questa, appare fuor di dubbio, essere l’intenzione del legislatore!

Il rispetto della costituzione

Come ha rilevato l’UPI, il comma 20, prevedendo il commissariamento delle Province che dovrebbero andare al voto nel 2012, incide non solo sull’autonomia delle Province garantita dalla Costituzione ma anche sui diritti dei cittadini ad eleggere democraticamente gli organi di governo delle Province. Questo comma viola gli articoli 1, 5 e 114 della Costituzione e allo stesso tempo i principi della Carta europea delle autonomie locali ratificata dal nostro Parlamento. Il comma viola l’art. 3 della Costituzione per eccesso di potere legislativo ed è in contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto subordina il venir meno degli organi attuali ad una futura legge dello Stato di cui non vi è alcuna certezza e, soprattutto, prevede il commissariamento degli enti che dovrebbero andare al voto nel 2012, rinviando all’art. 141 del TUEL, ovvero ad una norma pensata per altre ipotesi di scioglimento dei consigli non applicabile in questo caso.

Tali disposizioni non appaiono compatibili con il carattere originario di ente territoriale rivestito dalla Provincia nel nostro ordinamento.

Si tratta di un carattere che la Costituzione ha riconosciuto e, perciò, sul quale non ha il potere di incidere essa stessa.

Il legislatore ordinario, pertanto e a maggiore ragione, non può toccare il carattere democratico della provincia.

La democrazia locale è una espressione, la più alta, dell’autonomia dell’ente che è stata riconosciuta a più riprese dalla costituzione.

Solo il fascismo nella storia d’Italia ha spezzato la continuità democratica delle autonomie locali.

Negli enti territoriali (Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni) il principio autonomista implica il principio democratico. Questo richiede che il popolo deve avere una rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete e che la rappresentanza abbia una consistenza tale da conseguire due risultati: in primo luogo, l’espressione del pluralismo politico, compatibilmente con la governabilità; in secondo luogo, la capacità di indirizzo e controllo da parte della rappresentanza medesima sull’ente.

Di recente la Corte Costituzionale ha avuto modo di ribadire con sentenza 16 febbraio 2012 n. 22 che, tra gli indici alla stregua dei quali verificare «se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza di provvedere», che legittima il ricorso alla decretazione d’urgenza ex art. 77 della Costituzione, vi è la «evidente estraneità» della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita.

La urgente necessità del provvedere, secondo la Corte,  può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.

L’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui all’art. 77. Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, anche se articolato e differenziato al suo interno.

Ora, come si possono considerare presenti detti requisiti nelle norme ordinamentali sulle Province, inserite in un decreto legge che pone il suo fondamento costituzionale nella necessità ed urgenza di dettare disposizioni per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici “al fine di garantire la stabilità economico-finanziaria del Paese nell’attuale eccezionale situazione di crisi internazionale e nel rispetto del principio di equità, nonché di adottare misure dirette a favorire la crescita, lo sviluppo e la competitività”?.

Come si possono considerare urgenti disposizioni che, come dichiarato nella Relazione Tecnica del Governo, non determinano alcun risparmio di spesa né per l’anno in corso né per il 2013 e che rinviano a successive leggi statali e regionali  la produzione di effetti?

Oppure davvero si può ritenere che la sospensione delle elezioni amministrative “possa garantire la stabilità economico-finanziaria del Paese nell’attuale eccezionale situazione di crisi internazionale” o si possa considerare una “misura diretta a favorire la crescita, lo sviluppo e la competitività”?

Conclusioni

All’interprete di oggi non resta che prendere atto, malgrado tanti dibattiti e tante dichiarate buone intenzioni, dell’involuzione della tecnica legislativa.

Oppure, al bando ogni principio di gerarchia delle fonti e di rispetto dei principi costituzionali, occorre prendere atto, con il sommo poeta, che “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.

Carlo Rapicavoli

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