Caso “contrassegno SIAE”: è l’ora dei rimborsi

Redazione 09/02/12
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E’ una sentenza storica quella con la quale il Consiglio di Stato ha definitivamente accertato l’illegittimità della previsione contenuta nel D.p.c.m. n. 31 del 23 febbraio 2009 relativo alla nuova disciplina sull’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE, l’anacronistica ed inutile pecetta adesiva che continua a campeggiare su CD e DVD distribuiti nel nostro Paese ed a fruttare milioni di euro all’anno alla Società italiana autori ed editori.

Come qualcuno, forse, ricorderà, all’indomani della decisione – era il lontano novembre 2007 – con la quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva dichiarato l’illegittimità della previgente disciplina italiana in materia, appunto, di obbligo di apposizione del contrassegno SIAE, la Presidenza del Consiglio dei Ministri era corsa ai ripari, varando – su commessa e suggerimento della SIAE – un nuovo regolamento destinato a prendere il posto di quello appena dichiarato illegittimo, a reintrodurre l’obbligo di “pecettare” CD e DVD e, soprattutto, a salvare il portafoglio della SIAE da un epilogo ineluttabile: dover restituire a migliaia di imprenditori decine di milioni di euro incassati negli ultimi anni in forza di una norma ormai dichiarata inopponibile ai privati dalla Corte di Giustizia.

Nel Regolamento, infatti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva, tra l’altro, scritto che i rapporti patrimoniali intercorsi in epoca anteriore alla decisione della Corte di Giustizia tra i privati e la SIAE venivano fatti salvi.

Come dire che, nonostante l’illegittimità della norma impositiva dell’obbligo di apposizione del contrassegno e di pagamento del correlato balzello, SIAE avrebbe potuto trattenere la montagna di euro sin li incassati.

Si trattava di un’autentica aberrazione giuridica figlia di un’amministrazione [n.d.r. la Presidenza del Consiglio dei Ministri] che aveva ritenuto di poter difendere il proprio portafoglio e quello di un ente pubblico economico come la SIAE a discapito dell’interesse pubblico a che chi aveva versato milioni di euro in forza di una norma impositiva illegittima li riavesse indietro.

Chiamatelo senso di onnipotenza o, piuttosto, assenza totale di etica dello Stato. Il risultato non cambia.

Il Consiglio di Stato ha fatto ora giustizia e ricordato che un’amministrazione, con un Regolamento, non può riscrivere la storia a ritroso sollevando sé stessa ed un altro soggetto giuridico dall’obbligo di restituire a centinaia di imprese quanto indebitamente percepito.

La brutta storia del contrassegno SIAE e del balzello ad esso collegato – un balzello che, val la pena ricordarlo frutta, ogni anno, alla SIAE, circa dieci milioni di euro – è, ora, vicina al capolinea.

Stante il rifiuto della SIAE di restituire il maltolto, toccherà ai giudici tributari – cui la Corte di Cassazione ha attribuito la giurisdizione in materia – condannarla a restituirlo agli imprenditori.

Questi ultimi, dal canto loro, non dovranno far altro che chiedere indietro quanto versato almeno sino alla data di entrata in vigore della nuova disciplina ovvero fino al febbraio del 2009.

Un fiume di denaro che, in un momento di crisi, potrebbe, finalmente, tornare dove avrebbe dovuto restare: nelle casse delle imprese italiane che, invece, si sono ritrovate costrette a privarsene per deturpare le confezioni dei propri CD e DVD con odiose e costose pecette adesive.

Redazione

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