Tar: arsenico nell’acqua, condannati Ministeri Salute e Ambiente

Redazione 26/01/12
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Il fatto illecito costituito dall’esposizione degli utenti del servizio idrico ad un fattore di rischio (l’arsenico disciolto in acqua oltre i limiti consentiti in deroga dall’Unione Europea), almeno in parte riconducibile, per entità e tempi di esposizione, alla violazione delle regole di buona amministrazione, determina un danno non patrimoniale complessivamente risarcibile, a titolo di danno biologico, morale ed esistenziale, per l’aumento di probabilità di contrarre gravi infermità in futuro e per lo stress psico-fisico e l’alterazione delle abitudini di vita personali e familiari conseguenti alla ritardata ed incompleta informazione del rischio sanitario“.

Con questa motivazione  il Tribunale Amministrativo del Lazio, sentenza numero 664 del 2012, ha condannato i Ministeri della Salute e dell’Ambiente a risarcire gli utenti dell’acqua delle regioni Lazio, Toscana, Trentino Alto Adige, Lombardia e Umbria per un totale di 200.000 euro (circa 100 euro a cittadino).

E’ stato accertato infatti che l’acqua distribuita in molti comuni (circa 130 di cui oltre 90 nel solo Lazio) delle suddette regioni, conteneva una percentuale di arsenico superiore ai limiti di legge. Da qui i ricorsi di associazioni di consumatori e cittadini.

Il Tar, sottolineando la pericolosità per la salute umana dell’arsenico presente nell’acqua anche se in quantità limitate, ha affermato che l’acqua fornita ai cittadini deve essere salubre e per questo individua responsabilità ai massimi livelli.

Importantissimo dunque, il principio affermato dal Tar Lazio, che verosimilmente aprirà le porte a decine di querele penali e denunce alle Procure della Repubblica.

E ancora – prosegue il Tar del Lazio – è certa la “pericolosità per la salute umana derivante da un’esposizione prolungata all’arsenico presente nell’acqua potabile, anche in quantità piccolissime, come risultante dalla ricerca condotta su oltre 11.700 persone in Bangladesh e pubblicato nell’edizione online della rivista scientifica The Lancet, che ha dimostrato che la presenza di arsenico in elevate concentrazioni nel sangue aumenta in modo significativo il rischio di tumori. Secondo le stime effettuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre, in Bangladesh a partire dagli anni ’70 almeno 35 milioni di persone hanno bevuto acqua contaminata con piccolissime quantità di arsenico, e secondo lo studio Heals (Health Effects of Arsenic Longitudinal Study) coordinato da Habibul Ahsan dell’Università di Chicago, ciò è stato sufficiente a provocare il 21% delle morti per tutte le cause e il 24% di quelle attribuite a malattie croniche (in prevalenza, tumori al fegato, cistifellea e pelle e malattie cardiovascolari)”.

La sentenza del Tar del Lazio è rivoluzionaria – ha commentato il Comitato per la Salute pubblica dei Borghi -. Dà ragione a quanto sosteniamo da tempo ed elimina di fatto il principio della “impunità” della pubblica amministrazione. Secondo la sentenza “l’illecito è costituito dall’esposizione (…) degli utenti del servizio idrico ricorrenti ad un fattore di rischio ed…è certa la pericolosità per la salute umana derivante da un’esposizione prolungata all’arsenico presente nell’acqua potabile, anche in quantità piccolissime, come risultante dalla ricerca condotta“.

Alla luce di questa pronuncia, il Codacons promuove adesso una nuova azione giudiziaria collettiva chiedendo il risarcimento di 1500 euro, calcolato in via equitativa per ciascun aderente e la riduzione della tariffa idrica applicata dalle relative Ato (Autorità di ambito territoriali ottimale) nei territori dove si è manifestato il problema. Infatti considerando che la tariffa è legata anche alla qualità della risorsa idrica distribuita, implicitamente il Tar dà indicazione di agire contro le Ato, inadempienti in tal senso.

Secondo l’Associazione la sentenza apre una strada di incredibile valore, affermando che fornire servizi insufficienti o difettosi o inquinati determina la responsabilità della pubblica amministrazione per danno alla vita di relazione, stress, rischio di danno alla salute.

Probabilmente questa strada oggi individuata dai giudici amministrativi, sarà la stessa che verrà percorsa anche per chiedere i danni da inquinamento dell’aria e da degrado sia a Napoli che a Roma e nelle altre grandi città in cui la vivibilità è fortemente pregiudicata dal degrado ambientale.

Qui il testo integrale della sentenza n. 664 /2012 del Tar Lazio

Redazione

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