La legge 180/2011 (ovvero lo “Small business act” italiano): prime criticità applicative in materia di appalti

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La legge 11 novembre 2011 n. 180 (“Norme per la tutela della liberta’ d’impresa. Statuto delle  imprese”) costituisce il primo approccio italiano  al c.d.  “Small business act” europeo, con la previsione di una serie di misure volte a valorizzare e promuovere il ruolo delle micro, piccole e medie imprese nel tessuto socio-economico nazionale e comunitario.

Come affermato dall’art. 1 “ I principi della presente legge costituiscono norme fondamentali di   riforma   economico-sociale   della   Repubblica   e    principi dell’ordinamento giuridico dello Stato e hanno lo scopo di  garantire la piena applicazione della comunicazione della  Commissione  europea COM(2008) 394 definitivo, del 25 giugno  2008,  recante  «Una  corsia preferenziale per la piccola impresa  –  Alla  ricerca  di  un  nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (uno “Small Business Act” per l’Europa)», e la coerenza delle normative adottate dallo Stato  e dalle regioni con i provvedimenti dell’Unione europea in  materia  di concreta applicazione della medesima.

Tra gli interventi previsti dalla legge 180, si inserisce anche l’adeguamento dell’intervento pubblico e l’attivita’  della  p.a. “alle esigenze delle micro, piccole  e  medie  imprese nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per  la  finanza pubblica”.

Nel quadro dei principi fissati dalla legge si prevedono “la progressiva riduzione degli  oneri  amministrativi  a  carico delle imprese, in particolare delle micro, piccole e  medie  imprese, in conformita’ a quanto previsto dalla normativa europea”; “la partecipazione e  l’accesso  delle  imprese,  in  particolare delle micro,  piccole  e  medie  imprese,  alle  politiche  pubbliche attraverso  l’innovazione,   quale   strumento   per   trasparenza della pubblica amministrazione;  “il  sostegno  pubblico,  attraverso  misure  di  semplificazione amministrativa  da   definire   attraverso   appositi   provvedimenti legislativi, alle micro, piccole e medie imprese,  in  particolare  a quelle giovanili e femminili e innovative”.

Di particolare rilievo per la materia degli appalti sono le disposizioni contenute negli articoli 13 e 15 della legge.

L’art. 12 aveva inizialmente stabilito l’innalzamento della soglia per l’affidamento dei servizi tecnici mediante procedura negoziata con invito ad almeno cinque operatori economici da 100.000 a tutto l’importo infra comunitario (fino al 31.12.2011 euro 193.000 per i settori ordinari), di cui all’art. 91, c.2, del Codice. Veniva dunque meno l’obbligo della “gara nazionale” da 100.000 fino all’importo sotto soglia. La norma ha avuto in realtà vita molto breve poiché, entrata in vigore il  30 novembre 2011 è stata subito  soppressa dall’art. 44, c.5 del D.L. 6 dicembre 2011 n.201 (c.d. manovra Monti).

L’art. 13 della legge 180 introduce disposizioni in materia di appalti pubblici che, da un lato,  hanno portata innovativa, mentre dall’altro paiono rafforzative di vincoli già esistenti nell’ordinamento.

Complessivamente si deve purtroppo, ancora una volta, stigmatizzare la scadente qualità della normativa in materia di appalti, con i ben noti riflessi sull’esegesi e sull’applicazione di disposizioni non coordinate con la disciplina previgente, sull’incertezza in ordine ai possibili effetti di abrogazione implicita di norme, insieme ad una insolita pletora di previsioni inutilmente duplicative di  altre disposizioni ordinamentali già vigenti.

Il primo comma stabilisce che “1. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, attraverso i  rispettivi siti  istituzionali,  rendono  disponibili  le   informazioni   sulle procedure di evidenza  pubblica  e,  in  particolare,  sugli  appalti pubblici di  importo  inferiore  alle  soglie  stabilite  dall’Unione europea nonchè sui bandi per l’accesso agli incentivi da parte delle micro, piccole e medie imprese”.   La norma pare, prima facie, ribadire stucchevolmente gli obblighi di pubblicità già da tempo previsti sia dal codice dei contratti pubblici che dal codice dell’amministrazione digitale. Essa potrebbe avere un senso proprio solo nella prospettiva di rafforzare i principi di trasparenza preventiva nelle procedure sotto soglia solo parzialmente codificate, quali ad esempio le procedure in economia sia per lavori che, soprattutto, per servizi e forniture, dove può in effetti cogliersi una maggiore consistenza dell’interesse delle micro-piccole-medie imprese ad ottenere chances di invito e di aggiudicazione dei cottimi fiduciari. Ove non si proceda con avviso per la singola procedura, sarà comunque necessario assicurare forme di trasparenza preventiva mediante avvisi di indagine di mercato ovvero avvisi istitutivi di elenchi aperti (la cui disciplina si rinviene nell’art. 332 del DPR 207/2010, che contempla la pubblicazione sul profilo di committente).

Si rammenta inoltre che con d.p.c.m. 26/4/2011 (pubblicato in GU 1/8/2011) si sono dettate regole tecniche per la “Pubblicazione nei siti informatici di atti e provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica o di bilanci”, tra le quali è prevista la diretta ed immediata accessibilità dalla home page del sito internet della stazione appaltante, della sezione del sito ove sono contenuti gli avvisi e gli esiti delle gare.

Di portata certamente innovativa è invece la disposizione del comma 2, a tenore del quale “Nel rispetto della normativa dell’Unione europea in  materia  di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle micro,  piccole e  medie  imprese,  la  pubblica  amministrazione  e   le   autorità competenti,  purchè  ciò  non  comporti  nuovi  o  maggiori   oneri finanziari, provvedono a:  a) suddividere, nel rispetto di quanto  previsto  dall’articolo  29 del codice dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,  gli appalti in lotti o lavorazioni  ed  evidenziare  le  possibilità  di subappalto, garantendo la corresponsione  diretta  dei  pagamenti  da effettuare tramite bonifico  bancario,  riportando  sullo  stesso  le motivazioni del pagamento, da parte  della  stazione  appaltante  nei vari stati di avanzamento”.

La norma è stata inoltre riprodotta dalla c.d. manovra Monti nel quadro dei principi generali dei contratti pubblici: L’art. 2 del codice appalti è stato arricchito, dal DL 201/2011,  di due nuovi commi: “1-bis. Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali.  1-ter. La realizzazione delle grandi infrastrutture, ivi comprese quelle disciplinate dalla parte II, titolo III, capo IV, nonché delle connesse opere integrative o compensative,  deve garantire  modalità di coinvolgimento delle piccole  e medie imprese.”. nuovo

Sul reale fondamento della relazione esistente tra frazionamento degli appalti ed ampliamento delle opportunità delle pmi di entrare nel mercato vi è peraltro da dubitare, attesa la particolare ampiezza applicativa già riconosciuta ai modelli collaborativi tra imprese quali raggruppamenti, consorzi ed in particolare l’avvalimento, salvo considerare che tali istituti comportano comunque oneri per il concorrente.

La norma è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti già in fase di “progettazione” dell’appalto, sia per lavori che per servizi e forniture (si veda per questi ultimi la nuova disposizione dell’art. 279 del Regolamento), vincolando la stazione appaltante, “purchè  ciò  non  comporti  nuovi  o  maggiori   oneri finanziari”, a frazionare l’appalto complessivamente considerato in più lotti, ovvero evidenziando, in particolare per servizi e forniture, accanto alla prestazione “principale” anche quelle “secondarie” (in realtà la norma già esiste nell’art. 275 del Regolamento), predisponendo  il correlativo sistema di qualificazione nel quale indicare con chiarezza la possibilità di assunzione in ATI verticale o in subappalto da parte delle piccole imprese “specializzate” nelle prestazioni scorporabili. Sull’obbligo di evidenziare le lavorazioni subappaltabili negli appalti di lavori, ovviamente nulla di  nuovo.

Si ricollega a tale assetto, e pare assistita dalla eadem ratio, anche l’ulteriore disposizione di cui alla lettera b) del comma 2, laddove si prevede  la semplificazione dell’accesso  agli  appalti  delle  aggregazioni  fra micro, piccole e medie imprese privilegiando associazioni  temporanee di imprese, forme consortili e reti  di  impresa,  nell’ambito  della disciplina che regola la materia dei contratti pubblici.  Quasi pleonastico osservare che l’affermato favor per tali configurazioni soggettive non può certo spingersi fino all’attribuzione di punteggi all’offerta, pena la palese violazione degli elementari principi di non discriminazione (verrebbe da dire, in tal caso, “a contrario”).

Altrettanto duplicativa di disposizioni ordinamentali già vigenti è la norma prevista al comma 3 dell’art. 13 della legge 180 laddove si stabilisce che “Le micro, piccole e medie imprese che partecipano alle  gare  di  appalto  di  lavori,   servizi   e   forniture   possono   presentare autocertificazioni per l’attestazione  dei  requisiti  di  idoneità.  Inoltre le amministrazioni pubbliche e le  autorita’  competenti  non possono chiedere alle imprese documentazione o certificazioni gia’ in possesso della pubblica amministrazione o  documentazione  aggiuntiva rispetto a quella prevista dal codice di cui al  decreto  legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.  Sul principio dell’autocertificazione integrale nella fase di ammissione alle gare d’appalto, non è oramai dato più dubitare dopo l’introduzione dell’art. 77-bis al DPR 445/2000 e le successive disposizioni del codice.

La norma potrebbe forse avere un senso se riferita in generale alla possibilità del concorrente di adempiere agli obblighi di produzione documentale mediante autocertificazioni superando la disciplina della verifica dei requisiti speciali di cui all’art. 48 del Codice, atteso che per la verifica del possesso dei requisiti generali opera da tempo il principio dell’acquisizione d’ufficio, ulteriormente rafforzato dalle nuove disposizioni dell’art. 15 della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012).

Peraltro il successivo comma 4 dell’art. 13 pare prevedere la deroga solo per i concorrenti non aggiudicatari, laddove si stabilisce che “La pubblica amministrazione e le autorità  competenti, nel  caso  di  micro,  piccole  e  medie  imprese,  chiedono  solo   all’impresa  aggiudicataria  la  documentazione  probatoria   dei   requisiti   di idoneità previsti dal codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.  Nel  caso  in  cui  l’impresa  non  sia  in  grado  di comprovare  il  possesso  dei  requisiti  si  applicano  le  sanzioni previste dalla legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché  la sospensione dalla partecipazione alle procedure di affidamento per un periodo  di un anno”.

Quest’ultima disposizione pare quella più densa di implicazioni interpretative ed applicative. La norma sembra infatti introdurre una modifica al meccanismo della c.d. verifica a campione, come delineato del comma 1 dell’art. 48 del Codice. La ridetta disposizione parrebbe dunque introdurre un “doppio binario” definito in relazione alla tipologia dei soggetti concorrenti: se alla gara partecipano micro-piccole-medie imprese a queste non è possibile richiedere la documentazione probatoria dei requisiti speciali, con la conseguenza che risulterebbe priva di scopo il computo di queste ai fini della determinazione del campione (10% delle offerte presentate arrotondato all’unità superiore); cosa diversa se il concorrente è un “grande” impresa, rispetto alla quale la deroga non opera e quindi andrebbe inclusa nel calcolo del campione.

A tal fine pare dunque decisivo il rinvio alle definizioni di  «microimprese»,  «piccole  imprese»  e  «medie imprese» di cui all’art. 3 della legge 180, che si ricollegano a quelle  recate  dalla raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE  del  6  maggio 2003 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. L 124 del 20 maggio 2003.

In particolare, l’art. 2 della citata raccomandazione stabilisce che:

“1. La categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.

2. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR.

3. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR”.

Pare evidente come i dati necessari per qualificare i concorrenti in una delle predette categorie debbano essere già acquisiti in fase di presentazione della domanda di partecipazione al fine di determinare l’applicazione o meno delle norme speciali recate dalla legge 180/2011 nella fase di gara.

Lascia inoltre decisamente perplessi il rinvio operato alla legge 28 novembre 2005, n. 246  (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005) per l’individuazione delle sanzioni da applicare in caso di mancata dimostrazione dei requisiti da parte dell’aggiudicataria: nel testo della citata legge non vi è traccia di sanzioni applicabili al nostro caso !

Infine, parimenti pleonastico, salvo ritenerlo meramente rafforzativa del generale principio di proporzionalità, è il disposto del comma 5, per il quale “E’ fatto divieto alla pubblica  amministrazione,  alle  stazioni appaltanti, agli enti aggiudicatori e ai  soggetti  aggiudicatori  di richiedere alle imprese che concorrono alle procedure di cui al comma 1 requisiti finanziari sproporzionati rispetto ai al valore dei  beni  e dei  servizi oggetto dei contratti medesimi”.

Anche in questo caso la norma può essere letta, specie per servizi e forniture – per i quali non opera un sistema di qualificazione formale come per gli appalti di lavori – nel senso di dimensionare nella misura strettamente necessaria la calibrazione dei requisiti speciali di fatturato (ad esempio il coefficiente rispetto all’importo a base di gara) e le stesse referenze bancarie (peraltro come noto non obbligatorie), insieme alla rimodulazione in ribasso della percentuale minima di qualificazione delle mandanti nel caso di raggruppamenti.

Alessandro Massari

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