Decreto taglia-riti, panacea di tutti i mali… o forbici dalle lame non affilate?

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In ossequio alla delega conferita dalla L. 69/2009 e precisamente dall’art. 54 relativamente alla riduzione e semplificazione dei procedimenti civili, alla scadenza dei 24 mesi vede la luce il decreto taglia-riti che sarà a breve pubblicato in Gazzetta Ufficiale con il testo definitivo.

Non è stato necessario il possesso della stesura ufficiale affinché si parlasse di questa riforma tra non celati ottimismi e dubbi di efficacia e Costituzionalità. Il provvedimento tende alla semplificazione tramite la riduzione dei riti, oggi previsti sia nel codice che in svariate leggi speciali proliferate negli anni, riconducendoli ai tre principali previsti dal codice di procedura civile: rito lavoro, rito sommario di cognizione e rito ordinario. In realtà la riduzione a tre riti non è effettiva poiché la stessa legge e l’emanando decreto hanno fatti salvi determinati e specifici procedimenti.

In relazione al rito lavoro, lo stesso era già ampiamente usato in diverse materie ove una procedura abbreviata e snella risultava essere maggiormente calzante ed economica. Tuffandoci in un passato recente non si può certo dimenticare che per i danni fisici da sinistro stradale il giudizio non doveva più essere incoato a mezzo di citazione ma con ricorso proprio al fine di sfruttare il rito lavoro. Il tempo di creare le giuste incertezze nonché l’esitazione di tutti i colleghi per i casi di danni materiali e fisici attinenti il medesimo sinistro che tutto tornò ai “paterni lidi”.

Nulla da dire per quanto attiene il rito ordinario non essendo il fulcro della riforma.

La patata bollente, ad avviso di molti, è ricollegabile al rito sommario di cognizione, nato con la medesima legge 69/09 e di conseguenza nella stessa ottica di semplificazione, ma irrigidito con il pubblicando decreto. Quest’ultimo prevede che per alcune materie, ritenute non necessitanti delle formalità del rito ordinario, le controversie debbano essere esclusivamente incoate in ossequio dell’art. 702 bis c.p.c. e seg. Non occorrendo ricordare il recente rito è, invece, opportuno sottolineare che ulteriore innovazione legislativa si rinviene nella impossibilità di conversione del procedimento sommario in procedimento di cognizione ordinario.

Una scelta di campo così netta, seppur encomiabile nell’intento di deflazione dei tempi, ha suscitato dubbi che personalmente in parte condivido. Dal punto di vista prettamente teorico – dottrinario si è eccepito che per i procedimenti ove è specificatamente prevista l’inappellabilità – vedasi le controversie in materia di liquidazione di diritti ed onorari degli avvocati – il rito di cui agli art.702 bis c.p.c. e seg., per l’intrinseca natura sommaria, determinerebbe a causa della “superficiale” istruttoria lasciata, inoltre, al mero arbitrio del Giudice (art. 702 ter V comma) una lesione del diritto di difesa nonché violazione dell’art. 111 Cost. Dottrina maggioritaria ha di contro sostenuto che il rito sommario non sacrifica la difesa in quanto ha comunque una piena attività istruttoria incanalata dal Giudicante verso i mezzi probatori rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto. A voler analizzare con attenzione la questione, se l’art. 702 ter va in realtà letto come sostenuto dalla dottrina maggioritaria, non ne comprendo la differenza, a grandi linee, con il rito ordinario. A seguito delle richieste istruttorie il G.I. di norma pone in essere la medesima valutazione: se un mezzo istruttorio non rileva ai fini di causa non viene ammesso. Si potrebbe eccepire la differenza “ai fini della causa” da “ai fini del provvedimento richiesto” ma ogni causa tende ad un provvedimento finale.

Queste le possibili valutazioni tecnico-teoriche; però, poiché sono convinta che le leggi sono ben scritte e realmente efficaci quando superano la prova sul campo, ritengo opportuno rapportare il tutto al lavoro giornaliero fra le aule dei Tribunali. Esperienze personali proprio in materia di liquidazione di onorari di colleghi, mi hanno confermato che ritenere tali cause semplici o con istruttorie semplici è assolutamente errato; i Giudici stessi, anche prima della richiesta di parte convenuta, hanno spesso provveduto al mutamento di rito proprio perché, sul campo, il rito sommario sottendeva una istruttoria semplice e veloce. A ciò si aggiunga che, almeno come rilevato da alcuni dati statistici, non c’è stata un’ampia fruizione di tale rito oggi divenuto obbligatorio.

Giungendo al dunque questo decreto sarà o no la soluzione delle lentezze della giustizia? Di processi che instaurati nel 1988 concludono il loro grado d’appello nel 2011?

Difficile la risposta, di certo l’intento di riunire in un unico testo e semplificare i riti è encomiabile, ma se questo permetterà di abbreviare il tempo della legge non ne ho certezza. Una tale asserzione deriva anche da quanto detto in merito all’art. 702 bis ed all’istruttoria più o meno sommaria. Se l’istruttoria sarà piena come affermato da parte della dottrina maggioritaria il risparmio di tempi sarà difficile da realizzare. Inoltre, è mia impressione che il problema-fulcro non è il rito ma piuttosto altro, altrimenti non si spiegherebbe per quale arcano motivo un appello senza istruttoria per la decisione venga rinviato a 3 anni (in media).

Da scettica attendo di vedere, augurandomi di essere sempre la “mal pensante”… ma come disse qualcuno più saggio di me “a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca..”

Antonella Gubernale

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