Il carcere per la violazione del divieto di bloggare sull’ex partner

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La pratica giudiziaria anglosassone ci offre un caso curioso. Un infermiere è stato incarcerato per aver «bloggato», cioè scritto un intervento nel proprio blog, su di una persona che aveva avuto con lui una relazione di circa un mese.

Le cose, a quanto è dato di capire, sarebbero andate così: i due si erano incontrati ed avevano iniziato ad uscire insieme; dopo circa un mese, alla richiesta di lui di andare a convivere, lei troncava la relazione. A questo punto, lui iniziava a perseguitarla con telefonate, email, sms e messaggi su facebook, implorandola di ricominciare. La donna, esasperata, chiudeva i suoi account nei social network e lo minacciava di rivolgersi alle Autorità. A questo punto lui, dalla insistente richiesta di riavvio della relazione, è passava alla denigrazione della sua ex partner, iniziando a tenere un blog il cui scopo sarebbe stato quello di «avvertire tutti gli altri uomini» della pericolosità e scorrettezza di questa donna. In questo blog, arrivava a scrivere 35 interventi, con tanto di collegamenti ad altri siti con foto e altro materiale del periodo in cui erano stati insieme, in modo da rendere ancora più verosimili i suoi resoconti.

A questo punto la donna si rivolgeva alla magistratura, che, dopo adeguata istruzione, emetteva un ordine di protezione consiste nel divieto, per tutta la vita del molestatore, di scrivere qualsiasi post riguardante la donna nel suo blog. Purtroppo, due mesi dopo il provvedimento, l’infermiere pubblicava un nuovo post, in cui definiva la sua ex come una «bugiarda» e una «sociopatica». A questo punto, veniva arrestato e condannato a 18 settimane di carcere per violazione del «restraining order».

In diritto, c’è da dire che la sanzione sembra abbastanza appropriata alla violazione, considerato che non si tratta solo di aver diffamato una persona innocente con uso di mezzi di comunicazione in grado di raggiungere un vasto pubblico, ma anche dell’aver contravvenuto ad un ordine del Magistrato, che rappresentava un primo importante avvertimento e invito al ravvedimento al tempo stesso. Soprattutto, c’è da dire che in casi come questi se si vuole dare efficacia alla tutela della vittima non si può non ricorrere, in caso di reiterazione e insistenza, a sanzioni di tipo custodiale. Ciò anche se, data la natura della condotta che fa presumere la possibilità di un qualche squilibrio o problema psichiatrico, forse sarebbe il caso di valutare trattamenti sanitari obbligatori in luogo del carcere vero e proprio.

Nel nostro Paese, dove nel pur vasto mare magno delle cronache non si ha per il momento notizia di un caso analogo, solo negli ultimi anni si è aperta la porta a strumenti di tutela paragonabili ai tradizionali restraining orders anglosassoni, rappresentati in molte pellicole riguardanti la crisi della famiglia in quella particolare loro «declinazione» che è il divieto di avvicinarsi entro un certo raggio dalla vittima, espresso in metri. La legge sullo stalking è solo del 2009, il D.L. 23 febbraio n. 11 (decreto Maroni), mentre gli ordini di protezione sono del 2001, introdotti con la Legge n. 154 che, come noto, ha introdotto nuove disposizioni nel codice civile e nel codice di procedura penale.

Anche nell’ordinamento italiano, il concetto di gradualismo nell’applicazione delle sanzioni, che prevede spesso un primo avvertimento e poi una sanzione più corposa, è presente. In materia di stalking, ad esempio, la vittima può chiedere al Questore, senza bisogno di presentare una denuncia penale, che il persecutore sia formalmente ammonito a desistere con le sue molestie. Gli stessi ordini di protezione, nella pratica giudiziaria, sono applicati in maniera più leggere nelle prime violazioni e man mano più pesanti in caso di violazioni ulteriori. Si stanno muovendo, a quanto pare, i passi giusti. Quello che manca, o comunque la mancanza più grande, è la fermezza nelle sanzioni per chi non rispetta i provvedimenti del Magistrato, che spesso come sappiamo sono peraltro molto faticosi da ottenere. Qui abbiamo una disposizione apposita, l’art. 388 cod. pen., che tuttavia prevede una pena edittale ridicola e affrontabile, da parte chi è incensurato o con pochi precedenti, con un buon rito alternativo. Soprattutto, credo che manchi l’affermazione del principio, anche a livello culturale, per cui, una volta avvertito il potenziale reo, se questi sgarra bisogna con fermezza e rigore applicare le sanzioni più gravi compresa quella custodiale. Gli ordinamenti anglosassoni, che per molti versi non rappresentano un esempio di civiltà e cultura giuridica, in questo, tuttavia, credo siano da ammirare, dal momento che in quei Paesi non si fanno scrupoli a incarcerare persone anche molto importanti, spesso anche celebrità, semplicemente per aver violato un provvedimento del giudice.

Un principio del genere, specialmente in materia di famiglia, che richiede una disciplina effettiva e pronta, sarebbe molto importante anche per noi, per una giustizia davvero efficace.

Tiziano Solignani

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